3. La Scuola di Chicago e l’interazionismo simbolico 3.1 LA SCUOLA DI CHICAGO E LA RICERCA ETNOGRAFICA A partire  dagli anni Venti del secolo scorso, negli Stati Uniti inizia a prendere forma  un indirizzo di studio della società che, nel corso dei decenni successivi, si  distinguerà in maniera profonda sia dalla tradizione struttural-funzionalista  di Parsons e Merton sia dalla teoria critica di matrice europea, rappresentata  dalla Scuola di Francoforte. Si tratta di una tradizione che prende avvio con la cosiddetta “ Scuola di  ”, dal nome della città in cui se ne posero le basi di studio. Prima  Chicago della Seconda guerra mondiale, alcuni sociologi attivi presso l’università di  Chicago si specializzarono nello studio dei che emergevano  problemi sociali nei nuovi contesti urbani, quale rapido risultato dei processi di ,  urbanizzazione generati dalla nascita delle industrie alla fine dell’Ottocento, e di  migrazione dall’Europa verso gli Stati Uniti. Fondatori della Scuola di Chicago furono e , il cui approccio si caratterizzava, oltre che per lo studio delle realtà urbane, Robert Park Ernest Burgess per una particolare enfasi sulla . ricerca empirica Park propose di adottare nei confronti dello studio delle culture urbane gli stessi adottati dagli antropologi nei confronti delle popolazioni indigene; ciò al fine di cogliere le conseguenze sociali e culturali ⇒  metodi etnografici dell’insediamento negli Stati Uniti delle numerose popolazioni di migranti  provenienti dai paesi europei. Oggetto del suo studio diventano, da un lato, i che si verificano  contatti nelle società complesse e, dall’altro, l’“ ”  tra le diverse culture uomo marginale che si identifica in chi vive quotidianamente ai margini della società. Park  invita i sociologi a “guardarsi intorno”, a uscire dalle università e a “sporcarsi  le mani” entrando in contatto con la realtà che si vuole studiare. Protagonisti  degli studi della Scuola di Chicago diventano così i ghetti delle città americane,  le minoranze etniche, i vagabondi, le prostitute e le gang giovanili. radici delle parole deriva dal termine di origine greca “etnografia”, che indica la pratica dello scrivere ( ) a proposito di culture locali ( ); ed è un metodo usato non solo in antropologia, ma anche in sociologia, per studiare i costumi e le tradizioni dei popoli. Si basa sull’incontro con l’altro e consiste nell’esperienza diretta e prolungata sul campo, durante la quale l’etnografo raccoglie i suoi “dati” attraverso i colloqui, la partecipazione alla vita quotidiana o la semplice osservazione della realtà socio-culturale che intende descrivere. metodo etnografico: graphéin éthnos Park e Burgess concentrano i loro studi sui problemi sociali derivati dai fenomeni di urbanizzazione e di migrazione negli Stati Uniti. In particolare, oggetto delle loro ricerche diventano i cosiddetti “uomini marginali”, cioè coloro che vivono ai confini della società, sia a livello di integrazione sia a livello territoriale.  >> pagina 147  La città di Chicago Fino al 1860, Chicago è una piccola cittadina con una  popolazione di circa 10.000 abitanti; poi, in seguito al processo di industrializzazione,  cresce velocemente, tanto che, all’inizio del Novecento, è ormai  una vera metropoli, con una popolazione che supera i due milioni di abitanti.  La rapidità dell’aumento della popolazione, dovuta soprattutto all’afflusso  massiccio di immigrati da altre città e dal lontano continente europeo, genera  una serie di conseguenze, come la moltiplicazione dei senzatetto, la  diffusione di condizioni abitative disagiate e lo sfruttamento dei lavoratori. Molte delle ricerche dei sociologi di Chicago cercano di comprendere che  cosa succede quando grandi quantità di persone provenienti da altri paesi  e culture si riversano in una nazione con una lingua, una cultura e abitudini  diverse. È questo uno dei temi trattati in uno dei libri di riferimento  dell’approccio della Scuola di Chicago, una fondamentale ricerca realizzata  da Thomas e Znaniecki sulle dinamiche sociali e culturali degli immigrati  polacchi in America.   VERSO LA PROFESSIONE     L’assistente sociale L’attenzione della Scuola di Chicago per le forme  di marginalità sociale è l’occasione per riflettere  sulla professione dell’assistente sociale. L’assistente  sociale è un lavoro nell’ambito dei servizi  sociali in cui un professionista mette le proprie  conoscenze e capacità a disposizione per risolvere  o semplificare i problemi di singoli cittadini,  famiglie o gruppi di persone. L’assistente sociale  può lavorare sia per enti pubblici (come i Comuni,  le Regioni o le Asl), sia per associazioni o comunità  private, che si occupano di gestire e supportare  persone disagiate. Uno dei suoi obiettivi è dunque  quello di prevenire e risolvere situazioni di disagio  sociale e di bisogno, interagendo direttamente  con chi vive ai margini della società per ragioni  differenti, come, per esempio, per la mancanza  di risorse economiche, per un disagio psichico o  per problemi di tossicodipendenza. Proprio perché  l’assistente sociale deve frequentare contesti  sociali problematici, tra le competenze che egli  deve acquisire vi sono anche una serie di conoscenze  di tipo propriamente sociologico, che possono  aiutare a comprendere le ragioni del disagio  e identificare le più adeguate forme di supporto. Cerca online informazioni utili su come si diventa assistenti sociali, quali studi ed esami è necessario compiere, quali problemi presenta questa professione. Nella ricerca delle informazioni puoi provare anche a contattare una sede locale dell’Ordine nazionale degli assistenti sociali della tua regione.  >> pagina 148  3.2 LO STUDIO DEGLI IMMIGRATI POLACCHI NEGLI STATI UNITI Il  di William Isaac Thomas e Florian  contadino polacco in Europa e in America Witold Znaniecki è un libro pubblicato in più volumi tra il 1918 e il 1920 ed  è considerato uno dei classici della sociologia anche per l’utilizzo di un metodo  di ricerca che, all’epoca, si dimostra particolarmente innovativo: quello  della . Si tratta infatti di uno studio sulle documentazione scritta traiettorie  e delle loro famiglie negli Usa, realizzato  di vita degli immigrati polacchi analizzando lettere personali, ma anche articoli di giornale, opuscoli e documenti  del tribunale. L’ideatore iniziale di questo studio e del metodo che lo sostiene è William  (1863-1947), mosso dal suo interesse per le dinamiche  Isaac Thomas comunitarie degli immigrati a Chicago, un tema che aveva iniziato a trattare  già nel 1890. (1882-1958) è, invece, un professore polacco, con spiccate attitudini filosofiche, chiamato negli Stati Uniti  Florian Witold Znaniecki da Thomas a collaborare all’iniziale progetto che, in capo a poco tempo, si  trasforma in un’opera mastodontica di più di duemila pagine. L’obiettivo dei due sociologi è quello di esplorare la relazione tra gli immigrati  , concentrandosi su gruppi di individui (come  polacchi e la società famiglie o interi quartieri) e sui legami di comunità, ritenuti fondamentali  per comprendere i cambiamenti della società americana dell’epoca. Agli inizi  del XX secolo, gli immigrati polacchi, infatti, sono molto numerosi negli  Stati Uniti, costituendo circa un quarto di tutti i nuovi immigrati nel paese.  La sola città di Chicago ne ospita circa 350.000. Gli autori sostengono che le dinamiche comunitarie dei polacchi a Chicago sono state influenzate non tanto dalle politiche ufficiali sull’immigrazione del governo degli Stati Uniti, quanto dalla dei polacchi stessi e dai loro con gli altri connazionali. cultura di origine legami sociali Partendo dall’analisi delle circostanze che avevano spinto molti polacchi a  muoversi dalle campagne europee per cercare fortuna negli Usa, essi dimostrano  che questi immigrati, col passare del tempo, non sono più unicamente  polacchi ma nemmeno pienamente americani, ma costruiscono un’ identità  , quella di “polacco-americani”. In questo modo, costituiscono un  particolare , caratterizzato da una che riprende alcuni  nuovo gruppo etnico nuova cultura tratti tipici della cultura contadina polacca riadattata al nuovo contesto  americano. Oltre a fornire un’enorme conoscenza sui processi d’immigrazione e sulla  traiettoria d’inserimento degli immigrati polacchi nella società americana,  questa ricerca di Thomas e Znaniecki ha rappresentato un contributo fondamentale  anche per lo sviluppo di una nuova metodologia delle scienze sociali,  contribuendo a . Come vedremo  fondare la sociologia come scienza empirica nell’unità dedicata alle metodologie delle scienze sociali , p. 233 ,  | ▶  UNITÀ 6 | questa ricerca rappresenta infatti un caposaldo per il successivo sviluppo dei  metodi basati sull’ . analisi dei documenti Agli inizi del XX secolo circa un quarto dei nuovi immigrati negli Stati Uniti è di origine polacca e solo a Chicago ne sono presenti circa 350.000.  >> pagina 149  3.3 GLI STUDI SULLE ZONE DELLA CITTÀ Come abbiamo già visto,  uno dei temi che ha caratterizzato il lavoro dei primi sociologi della Scuola  di Chicago ha riguardato le , con l’obiettivo di  trasformazioni della città fornire indicazioni utili per la pianificazione urbana e per sviluppare forme  di intervento atte a migliorare le condizioni delle aree più disagiate. I  ricercatori legati a questa tradizione di studi ritenevano l’ambiente urbano  un fattore capace di influenzare il comportamento degli individui e delle  comunità: per questa ragione era per loro fondamentale studiare la forma e  le caratteristiche dell’ambiente urbano in rapporto alle dinamiche relazionali  fra gli individui che vi abitavano e vi lavoravano. Uno dei libri più significativi su questo argomento, scritto nel 1925 da due  importanti studiosi della Scuola di Chicago,   Robert Ezra Park | ▶  L’AUTORE | e , è intitolato, appunto, . Ernest Watson Burgess | ▶  L’AUTORE | La città Una delle idee portanti del libro è che la città possa essere analizzata come  un ; da qui la sua suddivisione in zone,  ambiente in cui tutto è in relazione caratterizzate da attività differenti e da gruppi diversi di persone che vi abitano  e vi lavorano. Questo approccio di studio viene chiamato modello di  . I due sociologi notano, infatti,  analisi delle zone concentriche della città che nelle grandi città americane è ricorrente l’esistenza di una zona centrale  – solitamente caratterizzata dalla presenza del quartiere degli affari – circondata  da una seconda zona circolare costituita da “zone di transizione”, che  raccolgono, generalmente, costruzioni industriali ed edifici in disuso. Segue  un terzo cerchio, caratterizzato dalle zone residenziali dei lavoratori e degli  operai, che includono anche le case dei ceti popolari. Una quarta zona è poi  rappresentata dalla cerchia di case residenziali delle classi medie mentre, al  limite della città, si rilevano le zone suburbane più distanti, costituite dalle  case dei pendolari. Se questo modello viene messo a confronto con la struttura delle città  italiane, si notano forti differenze che sono spesso determinate dalla loro impostazione  medievale e rinascimentale. Tuttavia, il modello dimostra ugual mente la sua validità perché rivela, in tutti i casi, che l’organizzazione della  vita sociale è, in ogni luogo, in relazione con la forma dell’ambiente fisico  urbano. L’idea alla base del libro di Park e Burgess è che le città costituiscono  ambienti con un , organizzati in base a particolari dinamiche,  proprio equilibrio come la suddivisione di determinate zone tra differenti gruppi sociali.  Essi notano, per esempio, che alcune parti della città si organizzano in modo  distinto da altre poiché abitate da gruppi con caratteristiche economiche,  sociali e culturali omogenee. Di fondamentale importanza il fatto che questo modello servirà a Park,  Burgess e altri studiosi della Scuola di Chicago come punto di partenza per  analizzare alcuni dei problemi sociali tipici delle grandi città, come la   criminalità e la . disoccupazione ⇒ |  T3 Le città p. 170 Il modello della città in zone concentriche di Park e Burgess.   Robert Ezra Park l’autore Robert Ezra Park (1864-1944) è un sociologo  americano, noto soprattutto per il suo lavoro  di ricerca sulle minoranze etniche, in particolare  afroamericane, oltre che sull’“ecologia  umana”, un’espressione da lui stesso creata,  cioè sul comportamento dei gruppi nello  spazio urbano inteso in chiave naturalistica  come comunità biologica, e sui contesti fisici  entro cui tale comportamento si esplica. Dopo aver svolto attività di giornalista, inizia  a insegnare sociologia ad Harvard nel 1904,  per poi trasferirsi all’università di Chicago,  dove diventa una delle figure di spicco della  Scuola di Chicago. Qui avvia una grande  quantità di ricerche sul campo, esplorando  alcuni importanti problemi sociali ancora  oggi fondamentali, come le relazioni etniche,  le migrazioni e i movimenti sociali.  >> pagina 151    Ernest Watson Burgess l’autore Ernest Watson Burgess (1886-1966) è un  sociologo americano che dedica il proprio  lavoro allo studio delle trasformazioni della  famiglia come unità base della società  e delle trasformazioni sociali della città di  Chicago. Rivolge la sua attenzione anche  all’istituzione del matrimonio: nel suo libro  Predire successo o fallimento nel matrimonio  (1939) sviluppa un sistema scientifico  per prevedere il tasso di riuscita di un’unione  coniugale. Dopo aver ricevuto il dottorato  dall’università di Chicago nel 1913,  insegna sociologia in altri atenei, per poi  ritornare nella stessa Chicago, dove inizia  una solida collaborazione con Robert Ezra  Park, con il quale si interessa all’uso del  territorio locale e agli aspetti sociali delle  comunità urbane. esperienze   attive Le differenti zone della tua città  Prova a identificare  in che modo nella città o nel paese in cui vivi esistono  differenti zone, associate a gruppi sociali diversi,  come hanno fatto Park e Burgess in relazione alla Chicago  di inizio Novecento. È possibile secondo te identificare  una zona “centrale”, caratterizzata dal quartiere  degli affari, dove per esempio ci sono i negozi più costosi?  C’è invece una zona residenziale, dove vivono le  classi medie? E, infine, c’è una zona simile a quella che  i sociologi della Scuola di Chicago definivano come “di  transizione”, con costruzioni industriali o edifici in disuso,  spesso accompagnata da forme di marginalità sociale? Come ulteriore esercitazione potresti scegliere una di  queste zone, quella che ti sembra più interessante o più  facilmente raggiungibile, recarti in questa parte della  città e descrivere in un tema le persone che incontri e le  situazioni che colpiscono maggiormente la tua curiosità.  >> pagina 152  3.4 L’INTERAZIONISMO SIMBOLICO Dopo la Seconda guerra mondiale,  la tradizione teorica e i metodi qualitativi della Scuola di Chicago continuano  a orientare con forza studiosi attivi in altre università statunitensi,  anche se attratti da temi non più esclusivamente legati all’immigrazione nelle  metropoli. In questa fase, la linea teorica sociologica capace di maggiore  dialogo con l’impostazione sviluppatasi a Chicago è quella dell’ interazionismo  . Si tratta di un approccio sociologico sviluppatosi tra gli anni  simbolico Cinquanta e gli anni Settanta, che continua a essere molto influente anche  nella sociologia contemporanea. Dal punto di vista teorico, l’interazionismo simbolico affonda le sue origini  nella . L’aspetto caratteristico di questa  filosofia americana pragmatista corrente filosofica è quello di considerare gli individui come agenti attivi  , invece che come soggetti  nel dare forma alle interazioni e ai ruoli sociali passivi influenzati da grandi strutture e sistemi sociali (come nelle descrizioni  del sistema sociale date da Comte, Marx, Durkheim e, poi, da Parsons).  La definizione di interazionismo simbolico rimanda all’idea che la società  prende forma nel corso delle interazioni concrete tra gli attori sociali, interazioni  che avvengono grazie a sistemi simbolici e alla creazione collettiva  di significati, non solo in relazione alla lingua usata, ma anche ai codici di  comportamento condivisi. Per l’interazionismo simbolico le situazioni acquisiscono significato grazie a un processo di interpretazione che si sviluppa nel corso delle interazioni tra gli individui. Mead e Blumer Il punto di partenza teorico dell’interazionismo simbolico  è il lavoro del filosofo (1863-1931), il quale sostiene  George Herbert Mead che, se è vero che il comportamento delle persone è in qualche modo il frutto  delle strutture e dei vincoli che la società impone loro, è anche vero che gli  individui possiedono la capacità di creare e dare forma ad alcuni elementi  che organizzano la vita sociale. Le idee di Mead sono state riprese dal suo allievo   Herbert George Blumer (1900-1987), che ne ha tradotto i principi filosofici in un ambito rigorosamente  sociologico, coniando tra l’altro la definizione di interazionismo simbolico.  Per Blumer, gli individui agiscono rispetto al mondo che li circonda  in base ai che  significati che essi attribuiscono alle persone e agli oggetti incontrano. Tuttavia, tali significati sono creati nel corso dell’interazione tra  gli stessi attori sociali, i quali dunque contribuiscono attivamente a creare i  significati fondamentali per la vita di gruppo. : alcuni bambini giocano con le figurine. Le figurine sono normalmente  ESEMPIO dei prodotti da collezione da raccogliere in un album ma, quando i  bambini se le scambiano, nel corso delle loro interazioni, attribuiscono un  particolare valore ad alcune di esse, identificando per esempio delle differenze  specifiche tra una figurina e un’altra, e in tal modo stabiliscono un  intero mondo di significati attorno a questi semplici oggetti, creando spesso  nuovi giochi di gruppo. Nel corso delle loro interazioni, dunque, attraverso  l’attribuzione creativa di particolari significati, i bambini contribuiscono a  dare forma ai riferimenti e alle regole del proprio passatempo basato sulle  figurine. Nonostante l’interazionismo simbolico sia una delle correnti fondative  della sociologia empirica, esso è stato spesso criticato per non essere sufficientemente  rigoroso nella definizione del proprio metodo di ricerca e per  una scarsa sistematizzazione delle teorie e dei concetti: certamente ogni studioso aderente a questa corrente ne ha dato una sua particolare e originale  interpretazione. Vediamo dunque più in dettaglio il lavoro di due dei sociologici  considerati tra i maggiori rappresentanti della tradizione dell’interazionismo:  Erving Goffman e Howard Becker.  >> pagina 153  3.5 GOFFMAN E L'APPROCCIO DRAMMATURGICO ALLA SOCIETÀ , p. 154 è il più noto esponente di un ramo della  Erving Goffman | ▶  L’AUTORE | sociologia conosciuto come “ ”, un termine che viene utilizzato,  microsociologia in contrasto con “macrosociologia”, per descrivere quelle applicazioni  della disciplina che non si occupano della società dal punto di vista delle sue  strutture (come nel caso di Parsons), ma si concentrano sulla comprensione  . Pur non avendo mai  delle forme di interazione tra i singoli individui dichiarato un’esplicita adesione all’interazionismo simbolico, Goffman ne è  considerato l’esponente di maggiore spicco, proprio perché, più e meglio di  altri, è riuscito a descrivere come le persone costruiscono la propria identità  attraverso i più semplici e banali comportamenti di ogni giorno, interagendo  con gli altri individui.  >> pagina 154  La metafora del teatro Il primo e forse più celebre lavoro di Goffman è  intitolato , pubblicato per la prima  La vita quotidiana come rappresentazione volta in Inghilterra nel 1956 e ripubblicato successivamente negli Stati Uniti  nel 1959. In questo libro egli adotta la per fornire una  metafora del teatro chiave di lettura del modo in cui gli individui si presentano pubblicamente  davanti agli altri: proprio per questa ragione, la sua prospettiva è stata definita  come un allo studio della società. approccio drammaturgico Goffman sostiene che la vita sociale prende forma e si organizza attraverso  le azioni quotidiane compiute dagli individui che sono il più delle volte  routinarie. Tali azioni possono essere comprese attraverso la metafora dello  spettacolo teatrale: quando gli individui si incontrano, si comportano come  degli attori teatrali, sia perché devono rappresentare se stessi in un certo  modo, sia perché nel fare questo devono collaborare con gli altri affinché la  rappresentazione della vita sociale si svolga senza intoppi, in modo da rassicurare  reciprocamente tutti i partecipanti all’interazione. Uno degli elementi particolarmente efficaci nella descrizione di Goffman  delle interazioni tra gli individui è che questi solitamente offrono una particolare  di se stessi agli altri. Per esempio, quando, di  rappresentazione fronte agli amici, vogliono mostrarsi esperti di qualcosa, essi utilizzano,  secondo Goffman, delle e cercano di  tecniche di “auto-presentazione” che danno. Ovviamente, il successo di queste performance  “gestire l’impressione” rappresentative dipende anche dalle reazioni del “pubblico” che  hanno di fronte, che influenzano le strategie attraverso cui si rappresentano  e che contribuiscono a modificare il modo di presentarsi nel corso  dell’interazione. Secondo Goffman la vita sociale e le interazioni tra gli individui possono essere paragonate a uno spettacolo teatrale: il luogo della relazione è un palcoscenico in cui ogni individuo-attore è chiamato a recitare una parte per se stesso e per il bene dell’intera rappresentazione.   Erving Goffman l’autore Erving Goffman (1922-1982) è uno dei più  importanti sociologi nord-americani della  seconda metà del Novecento, svolgendo  un ruolo significativo nello sviluppo della  sociologia americana moderna, grazie soprattutto  ai suoi studi sulla comunicazione  faccia-a-faccia e sui rituali dell’interazione  sociale. Ottiene il dottorato all’università  di Chicago nel 1953, compiendo i suoi  studi nel solco della tradizione di ricerca  della Scuola di Chicago, ma venendo poi influenzato  anche dal lavoro di altri studiosi,  tra cui in particolare Émile Durkheim. Nel  1958 inizia a insegnare all’università della  California a Berkeley, dove successivamente  diventa professore di sociologia, sviluppando  una propria prospettiva originale,  incentrata sulla teoria dell’interazionismo  simbolico e sull’approccio definito “drammaturgico”.  >> pagina 155  Le due dimensioni spaziali dell’interazione Un’altra delle intuizioni  dell’approccio drammaturgico di Goffman è l’idea che le interazioni possano  essere studiate considerando , ancora  due dimensioni spaziali particolari una volta tratte dal mondo del teatro: la prima dimensione spaziale è quella del frontstage o della ribalta , in cui  gli individui presentano la propria identità pubblica a chi gli sta di fronte  a partire da certi ruoli che sono adeguati o attesi. In altre parole, fanno ciò  che gli altri si aspettano che facciano; la seconda dimensione spaziale è, invece, quella del backstage o del retroscena ,  dove le persone possono uscire dal ruolo specifico che devono rappresentare  e, dunque, violare consapevolmente le loro identità pubbliche. : per illustrare questa differenza, uno degli esempi proposti da  ESEMPIO Goffman è quello delle . Il salone e la sala da pranzo  stanze in un’abitazione sono spazi in cui si esibisce il della vita sociale familiare, ovvero  frontstage i luoghi in cui si invitano gli  amici e si realizza la performance  dell’ospitalità. Nel salotto,  dunque, tutto è ordinato  e vengono messe in mostra  foto di famiglia, quadri, soprammobili  e accessori preziosi.  Al contrario, le camere  da letto o il bagno sono ritenute  aree del , spazi  backstage privati in cui i membri della  famiglia possono ritirarsi ed  essere se stessi. In queste stanze  non è difficile trovare vestiti  in disordine e accessori personali piuttosto che oggetti  di rappresentanza. Ovviamente, il confine tra  questi due spazi dell’interazione non è così netto e  definito e Goffman più volte sottolinea l’imbaraz zo che si può creare socialmente se il confine tra queste due regioni viene  trasgredito, per esempio quando un ospite entra per sbaglio nella camera da  letto disordinata, scoprendo magari che lì sono stati accatastati tutti i vestiti  per lasciare pulito e ordinato il salotto! : un altro esempio fatto da Goffman è quello del comportamento  ESEMPIO di un . Quando il cameriere interagisce in sala  cameriere in un ristorante ( ) con un cliente particolarmente seccante, rimane comunque gentile  frontstage e premuroso ma, una volta oltrepassata la soglia della cucina (il ),  backstage si lascia andare all’aggressività e alla volgarità. ⇒ |  T4 La ribalta e il retroscena p. 172 Nella dimensione della ribalta, e cioè di fronte agli altri, un cameriere si comporterà in modo socialmente adeguato al suo ruolo: anche di fronte alle lamentele dei clienti non potrà perdere il controllo, salvo poi scaricare la frustrazione fuori dalla sala, nel retroscena.  >> pagina 156  Influenza e critiche Il pensiero di Goffman ha influenzato enormemente  i sociologi di tutto il mondo e il suo lavoro rimane uno dei più stimolanti e  creativi della sociologia moderna. Tuttavia le sue idee sono state anche oggetto di alcune critiche, relative  soprattutto al fatto che egli non si sia interessato, all’interno della sua  teoria microsociologica, delle forme di disuguaglianze strutturali della società,  come per esempio della povertà, concentrandosi sui comportamenti  e i contesti tipici della classe media americana, bianca e laureata. Un’altra  critica ricorrente nei suoi confronti è stata che, a differenza di altri  studiosi, egli non ha dedicato particolare attenzione agli studi teorici di  chi lo ha preceduto, presentando spesso il proprio lavoro come se fosse a  quelli estraneo e indipendente. D’altronde, proprio questa sua riluttanza  a dedicare spazio ai grandi dibattiti teorici della sociologia è una delle  qualità dei suoi libri, che rimangono ancora oggi particolarmente leggibili  e contemporanei. 3.6 HOWARD BECKER E LA TEORIA DELL'ETICHETTAMENTO Howard  è una delle figure più influenti dell’interazionismo  Saul Becker | ▶  L’AUTORE | simbolico. Egli è diventato particolarmente famoso per i suoi studi  di , ma ha anche studiato e scritto ampiamente a  sociologia della devianza proposito di altri argomenti, come l’arte, la musica e il lavoro. A differenza  di Goffman e di altri studiosi appartenenti alla tradizione teorica dell’inte razionismo simbolico, Becker si è apertamente riconosciuto come sociologo  interazionista e diretto continuatore della tradizione della Scuola di Chicago,  città dove peraltro si era laureato.  >> pagina 157  per immagini La carriera da jazzista Il jazz (termine del gergo statunitense di origine incerta) è un genere  musicale nato agli inizi del XX secolo negli Stati Uniti, nell’ambito  delle trasformazioni sociali e culturali che affrontava in quel periodo  la comunità nera, da poco liberatasi dalla schiavitù. Questo fenomeno  musicale è stato analizzato da molti sociologi nel tentativo di comprendere  il rapporto tra la sua diffusione e l’intera società. Secondo  gli studi di , per esempio, il successo di un jazzista americano  Becker del XX secolo si misurava non solo per il suo talento musicale, ma  anche per una certa attitudine a stare sul palco e a interagire col pubblico  e gli altri musicisti. Non seguire questa strada e non fare musica  commerciale gradita al grande pubblico comportava il rischio di essere  etichettato come individuo “deviante”, escluso dalla “normalità”. Un gruppo jazz mentre si esibisce in un club americano. Lo studio sui jazzisti Per mantenersi agli studi, ma anche per passione,  Becker suonava il piano-jazz nei club. Avendo dunque l’opportunità di un accesso  diretto al mondo del jazz, decide di scrivere la sua tesi di dottorato sulla  . Il suo studio, condotto sulla base della sua esperienza e  carriera dei jazzisti di lunghe interviste, rivela che essere un bravo musicista jazz non significa  soltanto “suonare bene”, ma sapere come relazionarsi con il pubblico, con gli  altri musicisti, nonché sapersi atteggiare adeguatamente in sala o nel backstage.  Ma essere un musicista jazz significa anche vivere nel costante conflitto  , ossia per arrivare al successo oppure  tra due obiettivi fare musica commerciale , a rischio di essere condannati  suonare assecondando il proprio gusto alla marginalità dal grande pubblico ed essere catalogati quali “devianti” al  pari di qualunque altra persona non svolga un lavoro “normale”. Essere un  musicista jazz, infine, significa anche fumare marijuana, una pratica che serve  ai jazzisti a creare un particolare senso di comunità e di appartenenza.   Howard Saul Becker l’autore Howard Saul Becker (n. 1928) è uno dei  sociologi statunitensi più importanti tuttora  viventi, nonché l’ultimo rappresentante  diretto della tradizione sociologica della  Scuola di Chicago, dove ottiene il dottorato  nel 1951. Le sue prime ricerche si concentrano  sulle figure sociali devianti, un tema  trattato nel sul libro più famoso,   Outsiders (1963), che considera la devianza come il  prodotto culturale delle interazioni tra le  persone. Inoltre contribuisce alla sociologia  con una serie di riflessioni sui metodi di  ricerca sociale e sul lavoro del ricercatore,  formulando una visione originale della metodologia  della ricerca sociale riassunta nel  volume (1998). Trucchi del mestiere  >> pagina 158  Lo studio sui fumatori di marijuana Becker è incuriosito soprattutto dalla  e decide così  linea di demarcazione che separa normalità e devianza di condurre la sua ricerca successiva sui . Negli anni  fumatori di marijuana Cinquanta, l’assunzione di stupefacenti era spiegata o dalla scienza medica  come forma di “malattia” o dalle scienze sociali come forma di devianza  psicosociale: in entrambi i casi come un .  fattore puramente individuale Becker, al contrario, dimostra che diventare un fumatore di marijuana è un  ; le persone infatti imparano a fumare assieme ai più esperti  processo sociale e secondo precise tappe: riconoscere l’effetto della sostanza, gestire le reazioni  fisiche, sapere cosa fare nel caso in cui ci si senta male e così via. Quando  fumano assieme, gli individui si scambiano racconti, conoscenze e opinioni e  così facendo sviluppano un modo comune di interpretare la realtà e di relazionarsi  con determinati problemi. Dal punto di vista di chi fuma marijuana,  sono quelli che non fumano a essere percepiti come “strani”. La teoria dell’etichettamento Lo studio sul consumo di marijuana ha costituito  la base per sviluppare in sociologia una prospettiva particolare sulla  devianza, diversa da quella proposta da Merton e definita “teoria dell’etichettamento”.  Questa linea teorica rappresenta una risposta ai modelli convenzionali  di studio delle forme di devianza e criminalità. Becker sostiene che la devianza non è una caratteristica intrinseca di una  particolare persona, bensì un’ attribuita da parte dei membri della  etichetta società a coloro che ne infrangono le regole e i valori. La conseguenza principale  di questo ragionamento è che trasgredire le norme non è in sé condizione  sufficiente a essere “devianti”: è necessario essere definiti tali dagli  altri. Inoltre, dato che a gruppi sociali diversi corrispondono regole e valori  diversi, un medesimo comportamento potrà essere considerato come un’azione  deviante in un contesto, ma non in un altro. Becker e altri esponenti della teoria dell’etichettamento sottolineano anche  che le svolgono un ruolo importante nel processo  differenze di classe e di razza di assegnazione di etichette di devianza ad alcune persone piuttosto che  ad altre. È ciò che si verifica oggi con i cittadini stranieri, etichettati spesso con  troppa facilità come potenziali “criminali”. La teoria dell’etichettamento di Becker è stata criticata per essere troppo  , partendo dal presupposto che  “giustificatoria” nei confronti dei devianti essi siano vittime di una società repressiva, senza dunque spiegare perché  alcune persone tendono a infrangere le regole sociali, mentre altre tendono a  rispettarle. D’altra parte, però, questo approccio continua a essere un punto  di vista influente nella sociologia della devianza proprio perché permette di  non colpevolizzare a priori chi si trova in condizioni svantaggiate e marginali  all’interno della società.   Video – La teoria dell'etichettamento ⇒ |  T5 La devianza creata dalla società p. 173 La teoria dell’etichettamento sottolinea come la devianza sia il risultato di una costruzione sociale, e non una caratteristica intrinseca di una persona che infrange le regole: in una società, infatti, il comportamento deviante è definito tale perché la collettività applica un’etichetta alle azioni che si discostano dai propri valori condivisi.  >> pagina 159  La metodologia di ricerca sociologica Accanto agli studi sulla devianza  e su altri fenomeni specifici, Becker ha sviluppato una riflessione sui metodi  di ricerca in sociologia, con particolare riferimento a quelli qualitativi. Egli si  chiede se le scienze sociali siano o meno una e  disciplina scientifica obiettiva arriva a sostenere che i sociologi non possono mai essere completamente obiettivi  nel loro lavoro e, dunque, non dovrebbero nemmeno dichiarare di esserlo. Partecipando a un dibattito su questo tema, egli sostenne che gli interessi  personali dei ricercatori influenzano inevitabilmente il modo in cui essi selezionano  gli argomenti da studiare e, inoltre, contribuiscono a definire le  domande che essi si pongono rispetto alla società. Secondo Becker, l’idea di  una ricerca sociologica assolutamente obiettiva e distaccata da convinzioni e  valori dei ricercatori è un principio ideologico distante dalla realtà. per lo studio Perché secondo i primi sociologi di Chicago era importante studiare le dinamiche sociali tipiche della  1. città? Che cosa significa la definizione di "approccio drammaturgico" allo studio della società, caratteristico  2. di Goffman? In che cosa consiste la “teoria dell’etichettamento” di Becker? 3.     Per discutere INSIEME Uno dei contributi della Scuola di Chicago è stato quello di puntare  l’attenzione sulle dinamiche dell’immigrazione negli Stati Uniti dell’inizio del Novecento. Trasportando queste riflessioni nel mondo di oggi, provate a raccontare in classe qualche esperienza  diretta dei rapporti che si vengono a creare tra la cultura di origine degli attuali immigrati in Italia e la  cultura del nostro paese.