PAROLA D’ AUTORE ⇒ T1 Alessandro Pizzorno | Perché paghiamo il benzinaio? In questo brano, il sociologo italiano Alessandro Pizzorno (1924-2019) s’interroga sul perché, quando si fa rifornimento di benzina al distributore, gli automobilisti pagano senza scappare (anche se questo gesto sarebbe facile da attuare), individuando nel processo di socializzazione e nel capitale sociale due importanti risposte. , in “Stato e mercato”, 3/1999, pp. 376-378 Perché si paga il benzinaio. Nota per una teoria del capitale sociale Si consideri l’episodio seguente. Un automobilista fa il pieno a un distributore di benzina sull’autostrada. Mentre l’addetto rimette a posto la pompa, l’automobilista sgomma via ad alta velocità senza pagare. A quanto se ne sa, sembra che, pur rappresentando potenzialmente un vantaggio per l’automobilista, si tratti di un comportamento che ha luogo raramente. Se ci chiediamo come mai, incontreremo tre possibili ragioni; tutte e tre hanno a che fare con circostanze di riconoscimento di identità. La prima ragione è che l’automobilista non fugge perché l’automobile ha una targa, il che significa che ha un’identità riconoscibile, la quale permetterà la denuncia del colpevole. Si noti che perché quella identità sia riconosciuta occorre che funzioni una determinata istituzione di riconoscimento (registro automobilistico, o simili), grazie alla quale si eserciti un potere di punizione, e sia abbastanza efficiente per esercitarlo con conseguenze dannose per chi si è sottratto allo scambio. [...] La seconda ragione potrebbe essere che quell’automobilista sia costretto, o abbia convenienza, a servirsi ripetutamente di quel benzinaio, e che quindi se gli facesse quello scherzo, ovviamente dovrebbe interrompere una pratica a lui conveniente. [...] E c’è, come appena suggerito, una terza ragione, la quale pur non ipotizza la convenienza della reiterazione, e neppure l’illeggibilità della targa posteriore della vettura, ed è semplicemente che quell’automobilista in gioventù ha [...] determinate regole di onestà, interiorizzato e che considera l’osservanza di quelle regole come costitutive della propria identità, e che quindi riterrebbe di non «essere più se stesso», «di non riconoscersi più» (o altre espressioni correnti in questi casi, che mettono a nudo qual è il fondamento del sentimento di ) vergogna se commettesse quell’atto disonesto. [...] L’episodio del benzinaio illustra una estrema pur improbabile situazione, tra quelle in cui anche rapporti di scambio, se sono tali da richiedere riconoscimento, personale o istituzionale o etico di identità, presuppongono la presenza di qualche forma di capitale sociale, cioè condizioni che realizzino la riconoscibilità duratura delle parti nel rapporto. Rispondi Per via di quali possibili ragioni, secondo Pizzorno, 1. gli automobilisti non fuggono via senza pagare quando fanno benzina? In che modo tali ragioni sono connesse al processo 2. di socializzazione? Perché, secondo l’autore, anche i rapporti di scambio 3. economico, come quello tra automobilista e benzinaio, presuppongono la presenza di un qualche tipo di capitale sociale? >> pagina 224 ⇒ T2 Peter Berger e Brigitte Berger | Routine e strutture sociali In questo brano i sociologi statunitensi Peter Berger e Brigitte Berger riassumono uno dei motivi principali del perché abbiamo bisogno di strutture e ruoli sociali nella nostra vita quotidiana: perché, per semplificare la nostra attività, è utile che molti aspetti della nostra esistenza siano ripetitivi e routinari, così che non sia necessario, ogni volta, mettere in discussione ogni aspetto delle nostre relazioni con gli altri. , il Mulino, Bologna 1997, pp. 12-13 La Sociologia Che sia un bene o se è un male, la nostra esperienza della società è in massima parte un’esperienza fatta di routine. Ciò può dispiacerci, poiché toglie interesse alla vita, ma possiamo anche consolarci al pensiero che è solo perché la nostra esperienza è in gran parte normale che ci resta dell’energia per le cose straordinarie che capitano di tanto in tanto. In ogni caso, spiacevole o confortante che sia, il carattere di routine e di quasi tutta la nostra esperienza con gli altri è una condizione necessaria della società in quanto impresa continuativa. Non si potrebbe mai insegnare un corpo di conoscenze in una classe nella quale ogni momento fosse eccitante come il primo incontro di Adamo con Eva. Analogamente, nessuna transazione continua, di qualsiasi genere, potrebbe avvenire tra persone che, ogni volta che si incontrano, dovessero avere bisogno di definire tutti i termini del loro rapporto e tutte le regole delle loro contrattazioni. Se una società di tal genere fosse possibile – ma non lo è – la vita in essa sarebbe forse molto eccitante, ma sarebbe, a dire il vero, anche molto difficile: nella migliore delle ipotesi tutti saremmo sempre stanchi, nella peggiore perderemmo tutti la testa. L’analisi del carattere di routine, necessariamente di routine, della società implica una conseguenza molto importante: dal momento che gran parte della nostra esperienza con gli altri consiste in fatti abituali è possibile rappresentare tale esperienza come una costruzione che dura un certo periodo di tempo; in altri termini, come amano dire i sociologi, la società consiste di . Questo termine acquista diversi significati strutture squisitamente tecnici in sociologia, ma, per le nostre finalità immediate, possiamo immaginare che esso si riferisca a qualche cosa di piuttosto semplice, e precisamente alle reti di modelli ricorrenti secondo i quali le persone si comportano nelle situazioni abituali. Rispondi Perché la nostra vita sociale è fatta di routine? 1. Quale relazione c’è tra le routine e la struttura sociale? 2. Ti viene in mente un momento routinario della tua 3. esperienza sociale da collegare alle riflessioni degli autori? >> pagina 225 ⇒ T3 Arnold Van Gennep | I riti di passaggio In questo testo l’etnologo e studioso di culture popolari Arnold Van Gennep (1873- 1957) descrive alcune caratteristiche dei riti di passaggio, facendo dei paralleli tra la società a lui contemporanea e i popoli semi-civilizzati. , Bollati Boringhieri, Torino 1981, pp. 5-6 I riti di passaggio In qualsiasi tipo di società la vita dell’individuo consiste nel passare successivamente da un’età all’altra e da un’occupazione a un’altra. Là dove le età, e quindi le corrispondenti occupazioni, sono tenute separate, questo passaggio si accompagna ad atti particolari: essi, per esempio, costituiscono, rispetto ai nostri mestieri, l’apprendistato, mentre, per i popoli semicivilizzati, si espletano in cerimonie religiose, giacché presso di loro nessun atto è completamente svincolato dal sacro. Ogni mutamento di situazione dell’individuo viene a comportare dunque delle azioni e delle reazioni tra il profano e il sacro; queste azioni e reazioni devono essere appunto regolamentate e controllate, affinché la società generale non subisca né disagi, né danni. È il fatto stesso di vivere che rende necessario il passaggio successivo da una società speciale a un’altra e da una situazione sociale a un’altra, cosicché la vita dell’individuo si svolge in una successione di tappe nelle quali il termine finale e l’inizio costituiscono degli insiemi dello stesso ordine: nascita, pubertà sociale, matrimonio, paternità, progressione di classe, specializzazione di occupazione, morte. A ciascuno di questi insiemi corrispondono cerimonie il cui fine è identico: far passare l’individuo da una situazione determinata a un’altra anch’essa determinata. Essendo identico il fine, è perciò necessario che i mezzi per conseguirlo siano, se non proprio identici nei particolari, almeno analoghi: l’individuo infatti si è venuto modificando, giacché ha superato parecchie tappe e ha oltrepassato molte frontiere. Di qui la somiglianza generale delle cerimonie della nascita, dell’infanzia, della pubertà sociale, del fidanzamento, del matrimonio, della gravidanza, della paternità, dell’iniziazione alle società religiose e dei funerali. Rispondi L’autore nel testo sottolinea la somiglianza tra una 1. serie di cerimonie e riti che accompagnano la vita delle persone. Prova a descrivere una di queste cerimonie a cui hai partecipato, mettendo in evidenza i gesti e i momenti rituali che le caratterizzano. >> pagina 226 ⇒ T4 Ivan Illich | La mentalità “scolarizzata” Ivan Illich (1926-2002) è stato un importante sociologo vicino alla Scuola di Francoforte. Nel 1970 pubblicò il libro intitolato , in cui Descolarizzare la società criticava fortemente l’istituzione scolastica occidentale dell’epoca, accusandola di riprodurre le discriminazioni di classe presenti all’interno della società, di educare gli studenti a diventare consumatori invece che cittadini e di non permettere lo sviluppo di capacità creative di studio e di apprendimento. , Mondadori, Milano 1972, pp. 34-41 Descolarizzare la società Un buon sistema didattico dovrebbe porsi tre obiettivi: assicurare a tutti quelli che hanno voglia d’imparare la possibilità d’accedere alle risorse disponibili, in qualsiasi momento della loro vita; permettere, a tutti quelli che vogliono comunicare ad altri le proprie conoscenze, di incontrare chi ha voglia di imparare da loro; offrire infine a tutti quelli che vogliono sottoporre a pubblica discussione un determinato problema la possibilità di render noto il loro proposito. […] I discenti non dovrebbero essere costretti ad assoggettarsi a un programma obbligatorio, o discriminati in base al possesso di un certificato o di un diploma. Né il pubblico dovrebbe essere costretto a sostenere, mediante una tassazione regressiva, un enorme apparato professionale di educatori e di edifici che, di fatto, limita le possibilità d’apprendimento dei cittadini ai servizi che la categoria dei docenti è disposta a immettere sul mercato; dovrebbe invece utilizzare la tecnologia moderna per rendere veramente universali, e quindi totalmente educative, le libertà di parola, di riunione e di stampa. […] Le scuole sono basate sul presupposto che ogni aspetto della vita abbia il suo segreto; che la qualità della vita dipenda dalla conoscenza di questo segreto; che i segreti si possano apprendere soltanto in una sequenza ordinata; e che solo gli insegnanti possano svelarli nel modo giusto. Un individuo dalla mentalità scolarizzata vede il mondo come una piramide di prodotti confezionati, riservati esclusivamente a chi possegga il prescritto scontrino. Le nuove istituzioni didattiche abbatterebbero questa piramide. Il loro scopo dovrebbe essere quello di facilitare l’accesso al discente, di permettergli cioè, se non ha la possibilità di entrare dalla porta, di guardare dalle finestre nella stanza dei bottoni o nel parlamento. Inoltre, queste nuove istituzioni dovrebbero essere canali accessibili senza particolari credenziali o pedigree, spazi pubblici nei quali il discente possa incontrare coetanei e anziani estranei al suo orizzonte immediato. […] Basterebbero quattro, e forse anche soltanto tre, “canali” o centri di scambio dell’apprendimento, per radunare tutte le risorse necessarie a imparare veramente. Il bambino cresce in un mondo di cose, circondato da persone cui si ispira come modelli per le capacità e i valori. Trova dei coetanei che lo stimolano a discutere, a competere, a cooperare e a capire; e se è fortunato, è anche soggetto alla verifica o alle critiche di un anziano più esperto cui sta realmente a cuore. Cose, modelli, coetanei e anziani sono quattro risorse, ognuna delle quali richiede un tipo particolare di organizzazione per garantire che tutti abbiano ampie possibilità di accedervi. Rispondi In che cosa consiste, secondo Illich, una mentalità 1. scolarizzata? E perché è negativa? Quali caratteristiche dovrebbe avere un buon sistema 2. scolastico secondo l’autore?