2. Le organizzazioni e il lavoro: tra industria e servizi 2.1 UNA SOCIETÀ POST-INDUSTRIALE Con l’espressione “società postindustriale”  si fa riferimento ad alcuni grandi cambiamenti che hanno investito  le società occidentali a partire dalla fine degli anni Settanta del secolo  scorso soprattutto dal punto di vista dei . Questi hanno  processi produttivi riguardato innanzitutto la transizione da un’economia fortemente basata sulla  , a un’economia centrata sui e  produzione industriale e di massa servizi sulla . personalizzazione dei prodotti Se nel dopoguerra la maggior parte della forza lavoro era impiegata nell’agricoltura  e nelle fabbriche, dagli anni Ottanta in poi sempre più persone lavorano nel cosiddetto . Tradizionalmente, infatti, il sistema produttivo viene suddiviso in tre settori: settore terziario primario , che include l’agricoltura, le attività minerarie, le foreste e la pesca; secondario , che include l’industria manifatturiera e le costruzioni; terziario , che raggruppa tutte le diverse tipologie di servizi. Del settore terziario fanno quindi parte tanto i trasporti e le comunicazioni,  gli esercizi pubblici e commerciali, i servizi immobiliari e quelli alle imprese,  quanto l’istruzione, la sanità pubblica e la pubblica amministrazione, nonché  la ricerca, la formazione e il volontariato. Nel complesso, quindi, del settore terziario fanno parte attività anche molto diverse tra loro, ma che hanno alcune caratteristiche in comune, che rendono possibile distinguerle dai beni. La differenza essenziale tra un bene e un servizio consiste nella loro materialità:  e possono essere toccati, come una bicicletta,  i beni sono materiali una lavatrice o un telefono, e, quindi, non possono  i servizi sono immateriali essere toccati, come nel caso di una lezione a scuola o delle cure mediche.  È possibile toccare il risultato di un servizio, come quando ordiniamo  qualcosa al bar o al ristorante, ma non il  servizio stesso, come l’atto di cucinare o  di servire una bevanda. Il primo a definire le caratteristiche dei  servizi, nel 1968, fu l’economista americano  Victor R. Fuchs (n. 1924), il quale  rilevò come l’immaterialità dei servizi  comporti alcune conseguenze. Il fatto  che i servizi siano intangibili fa sì che  si esauriscano nel momento della loro  : il servizio ricevuto al bar o  produzione al ristorante termina non appena abbiamo  finito di consumare ciò che abbiamo  ordinato. Ciò vuol dire che :  i servizi non sono immagazzinabili o trasportabili non possiamo mettere nello zaino e portare con noi il trattamento  ricevuto al ristorante, dal dentista o dal parrucchiere. I servizi, quindi, necessitano  di essere realizzati in presenza del consumatore, da cui sono inseparabili.  Un’operazione clinica, una lezione a scuola o un taglio di capelli, per esempio,  richiedono necessariamente la presenza di chi fruisce dei servizi stessi. In una società sempre più digitalizzata, tuttavia, alcune di queste caratteristiche  diventano meno stringenti. Le tecnologie digitali oggi consentono  lo sviluppo di . Per esempio, è possibile fruire di corsi di  servizi a distanza formazione anche online, parlare col proprio medico e ricevere referti di  analisi a distanza, ordinare da mangiare attraverso un’applicazione, acquistare  un biglietto ferroviario o aereo senza bisogno di recarsi in stazione o in  un’agenzia di viaggi e senza dover parlare con nessuno. Questo ci riporta al secondo fenomeno che caratterizza la società postindustriale,  ossia la diffusione delle tecnologie digitali e l’ automazione dei  ▶  processi produttivi . Già a partire dagli anni Settanta, all’interno delle grandi  fabbriche, gli operai addetti alla produzione iniziano a essere sostituiti da  macchinari computerizzati capaci di eseguire l’intera fabbricazione di un  prodotto. Il lavoro dell’operaio diviene dunque quello del tecnico specializzato  che controlla i macchinari. La sostituzione del lavoro umano con quello  delle macchine diminuisce la necessità di manodopera e può anche implicare  un aumento della disoccupazione. Allo stesso tempo, nuovi macchinari e  tecnologie richiedono e favoriscono la nascita di  nuove figure professionali . Il diffondersi delle tecnologie informatiche e dell’automazione  nuovi lavori porta così al tramonto di alcuni lavori – per esempio, quello dell’addetto alla  biglietteria ferroviaria, del cassiere del supermercato o del casellante autostradale  –, ma anche al sorgere di nuove professionalità quali il web designer,  il tecnico informatico o il programmatore. Come scriveva già nel 1973 il sociologo statunitense (1919- Daniel Bell 2011), in una società post-industriale l’informazione e la conoscenza rappresentano  . Ciò implica: la principale risorsa strategica il passaggio da un sistema basato sulla produzione delle merci a uno orientato  alla ; produzione del sapere l’aumento del numero di lavoratori impiegati nel settore terziario e dei  cosiddetti (“lavoratori della conoscenza”); knowledge workers la crescente centralità del saper fare , quale capacità di tradurre il sapere  teorico in idee e tecnologie in cui la collettività possa riconoscersi e identificarsi; la rilevanza che, a livello politico e sociale, assumono professionisti appartenenti  ai settori della scienza, della comunicazione, dell’informazione  e delle industrie culturali; la nascita e lo sviluppo di nuove discipline e teorie legate allo sviluppo  . sociale e tecnologico Qualche anno prima, nel 1969, il sociologo francese   Alain Touraine aveva usato l’espressione “società post-industriale” per riferirsi  | ▶  L’AUTORE | non tanto al tipo di sistema produttivo, quanto alla nascita di nuovi soggetti  . Se il movimento operaio si  politici e temi di rivendicazione sociale era infatti sempre concentrato su problemi riguardanti il lavoro e i diritti  dei lavoratori, i movimenti studenteschi, femministi e delle minoranze etniche  avevano messo in questione la gestione dell’istruzione, dei trasporti,  dei mezzi di comunicazione e, più in generale, della . Donne,  vita collettiva studenti e minoranze etniche divengono così nuovi attori collettivi capaci di  influenzare il dibattito politico e l’organizzazione dell’intera società. A circa mezzo secolo di distanza, i lavori di Bell e Touraine appaiono quasi  come una profezia: le tecnologie digitali hanno dato un ulteriore impulso ai processi  di automazione del lavoro; le professioni più ambite richiedono conoscenze  sempre più esperte; i movimenti sociali, più che i tradizionali partiti, orientano il  dibattito politico e cercano di dialogare con le istituzioni: si pensi, per esempio,  alla questione dei cambiamenti climatici e del riscaldamento globale. : una contrazione dell’espressione e si riferisce alla sostituzione del lavoro umano con macchine e tecnologie capaci di svolgere determinate sequenze di attività. automazione ( ) automation automatic production Il pacco che ci arriva a casa è un bene materiale, il servizio prestato dal fattorino è immateriale.   Kraftwerk, THE ROBOTS INVITO ALL’ASCOLTO     Le parole (“Siamo i robot”) cantate, nel 1978, dal  We are the robots famoso gruppo elettronico tedesco Kraftwerk, sono una profezia  della nostra era, caratterizzata dalla presenza pervasiva delle tecnologie  digitali, dai processi di automazione e dal “lavoro delle  macchine” (non a caso il termine “robot” deriva dalla parola ceca  , lavoro pesante). robota All’epoca unici nel loro genere ed espressione della scena musicale ed elettronica della  underground Germania Occidentale degli anni Settanta, i Kraftwerk sono divenuti nel tempo un riferimento essenziale  per tutta la successiva musica electro o synth-pop contemporanea.   Alain Touraine l’autore Alain Touraine nasce a Hermanville-sur-Mer  (Francia), nel 1925, e costituisce una figura  chiave per la sociologia del Novecento. Formatosi  presso l’École Normale Supérieure  di Parigi, Touraine diventa inizialmente  famoso per una ricerca intitolata Evoluzione  (1955). Qui, rifacendosi a Marx, individua tre modelli idealtipici di organizzazione del lavoro, a seconda del tipo di tecnologie impiegate e del livello di automazione del lavoro che queste implicano. In seguito, getta le basi teoriche per una sociologia dell’azione ( , 1965), che gli fornisce gli strumenti per chiarire il passaggio dalla società industriale verso un nuovo stadio, che egli definisce “post-industriale” ( , 1969). A partire dalla metà degli anni Settanta, privilegia lo studio dei movimenti sociali, cosa che lo porterà in anni più recenti a occuparsi anche di disuguaglianze sociali ( , 1997); globalizzazione ( , 2008); identità e diritti collettivi ( , 2017). del lavoro operaio nelle officine Renault Sociologia dell’azione La società post-industriale Eguaglianza e diversità. I nuovi compiti della democrazia La globalizzazione e la fine del sociale. Per comprendere il mondo contemporaneo Noi, soggetti umani. Diritti e nuovi movimenti nell’epoca post-sociale Alla base del suo pensiero vi è l’idea che la  società non possa ridursi alle sue regole e a  schemi di funzionamento e che, anzi, l’azione  collettiva tenda sempre a modificare e  superare tali regole. Per Touraine la società  è infatti un sistema d’azione, ossia un insieme  complesso di attori definiti da intenzioni,  orientamenti culturali e rapporti sociali.  >> pagina 402  2.2 LE ORGANIZZAZIONI: I MODELLI PRODUTTIVI I modelli produttivi  che avevano segnato il Novecento sono essenzialmente due. Ovvero, scomponendo i processi di lavoro in tante micro-fasi, calcolando  Il modello taylor-fordista era pensato per un mercato e una produzione di  Il taylor-fordismo . Nato durante gli anni Venti negli Stati Uniti nelle  fabbriche automobilistiche della Ford, è immortalato nell’immagine degli  operai che, all’interno di grandi ambienti produttivi, lavorano alla catena di  . Essa è l’applicazione della cosiddetta “ montaggio organizzazione scientifica  ” teorizzata da Frederick W. Taylor (1858-1915), da cui il  del lavoro nome taylor-fordismo. Secondo Taylor, l’organizzazione del lavoro poteva  essere “scientifica” grazie a una .  rigida definizione di tempi e metodi i tempi minimi necessari per ognuna di esse, e assumendo operai specializzati  capaci di rispettare tali tempi. Con l’introduzione della catena di montaggio,  infatti, sono i “pezzi” ad arrivare agli operai e il ritmo del lavoro è  dettato dalla macchina. Per limitare gli sprechi di tempo, il singolo operaio  deve concentrarsi unicamente sulla sua mansione, senza bisogno di conoscere  le diverse fasi del processo produttivo né di comunicare con i colleghi. massa: vendere . grandi quantità di prodotti il più possibile standardizzati Il toyotismo . Sul finire degli anni Settanta si assiste alla rapida ascesa nel  mercato automobilistico dell’industria giapponese, il cui modello si ispira  invece alla cosiddetta “ ” ( ). Tale modello  produzione snella lean production ribalta la concezione del mercato e del prodotto. Per massimizzare il loro  profitto, le organizzazioni devono essere capaci di adattare il prodotto a  quelle che sono le dei clienti e dunque passare dalla  richieste specifiche produzione di grandi quantità di prodotti altamente standardizzati a quantità  . Taiichi Ohno, manager e ingegnere  variabili di prodotti personalizzati della Toyota, identificò i principi della produzione snella nel cosiddetto  (“giusto in tempo”) e nella cosiddetta : just in time fabbrica a sei zeri zero stock; zero difetti; zero tempi morti di produzione; zero conflitto; zero tempo di attesa per il cliente; zero burocrazia. Le linee di produzione assumono una forma a U, in modo che gli operai possano  vedere ciò che accade nelle diverse fasi del processo produttivo, intervenendo  nel caso vi siano difetti e autocorreggendo l’errore in tempo reale. È questo il cosiddetto , che restituisce agli operai una maggiore autonomia e discrezionalità nell’eseguire il lavoro: a fronte di& gravi errori o problemi, essi ora possono addirittura fermare la produzione. Nella fabbrica toyotista il baricentro della produzione si sposta quindi dagli uffici dei manager alle officine: i tecnici si calano nei gruppi di lavoro (in produzione) e i manager diventano responsabili dei risultati delle unità loro assegnate. Ciò porta a costruire un senso di comunità, indispensabile  principio di auto-attivazione al fine di garantire la collaborazione tra i lavoratori. L’organizzazione  dev’essere capace di costruire attivamente tale attraverso  senso di comunità la . Essa comprende quell’insieme di  gestione della cultura organizzativa valori, simboli, artefatti e rituali tipici dell’organizzazione che producono  un senso di appartenenza in chi lavora, stimolando così l’impegno. Gli  stimoli al lavoro possono essere di carattere materiale, per esempio, premiando economicamente chi ottiene i risultati migliori, ma anche di carattere immateriale, per esempio incentivando la creatività, l’intraprendenza, l’autostima, il senso d’identità e di appartenenza collettiva. Il passaggio dal taylor-fordismo al toyotismo segna quindi una profonda  : produzione di massa, standardizzazione, gerarchia e sicurezza del posto  frattura di lavoro, da un lato, e, dall’altro, adattamento dei prodotti alla crescente  variabilità delle richieste degli acquirenti, maggiore qualificazione e autonomia  degli operai, incentivi materiali e immateriali, ma anche una maggiore intensità del flusso produttivo. Ma il passaggio dal taylor-fordismo al toyotismo è rilevante in quanto mostra come l’attenzione per la conoscenza e il lato “immateriale” del lavoro prenda forma non solo per la rilevanza acquisita dal settore terziario, ma anche all’interno della stessa industria manifatturiera. Il taylor-fordismo (prima immagine) e il toyotismo (seconda immagine) riflettono due modalità differenti di pensare alla produzione: il primo si basa sulla definizione rigida di tempi e mansioni della catena di montaggio per vendere grandi quantitativi di prodotti standardizzati; il secondo, invece, crede in una produzione “personalizzata”, da variare a seconda delle richieste dei clienti, e in cui gli operai possano collaborare attivamente in ogni fase del loro lavoro.  >> pagina 404  2.3 LE ORGANIZZAZIONI: I SERVIZI Le organizzazioni, sia che producano  servizi sia che producano beni materiali, prestano sempre più attenzione  agli che accompagnano i prodotti e la produzione. Che  aspetti intangibili il prodotto sia un’auto, un computer, una lavatrice o un abbonamento a una  compagnia telefonica, il servizio (quello alla clientela, per esempio) è sempre  . Talvolta, si preferisce un prodotto di  più parte integrante e qualificante una determinata marca a quello di un’altra proprio per i servizi connessi: una  compagnia telefonica può essere preferibile a un’altra perché ha un servizio  clienti molto efficiente o perché offre determinati servizi aggiuntivi ai suoi  abbonati; lo stesso dicasi per un’automobile o uno smartphone. Del resto, in  un mondo globalizzato, in cui i prodotti abbondano ed è possibile acquistarli  senza recarsi fisicamente in negozio, i servizi collegati e l’attenzione per il  cliente divengono proprio quegli elementi che possono fare la differenza. Sull’esempio della Toyota, le organizzazioni si distinguono oggi anche per  il loro porre sempre più attenzione alla costruzione dell’identità e della  . Imprese quali Google o Apple rappresentano gli  cultura organizzativa esempi più famosi di come oggi le aziende costruiscano la loro cultura e la  loro immagine attorno ad alcune caratteristiche specifiche: i rapporti informali,  il lavoro come passione e l’esaltazione della creatività individuale. Inoltre le organizzazioni dedicano molta attenzione alle attività di ricerca  e sviluppo e investono sempre di più nei processi di e automazione,  digitalizzazione tanto nel campo dell’industria, quanto dei servizi. Non a caso,  da alcuni anni si parla di “ ”, proprio per indicare la tendenza a  industria 4.0 creare nuovi modelli di business e aumentare la produttività degli impianti e  la qualità dei prodotti attraverso l’uso integrato di diverse tecnologie. Cambiano di conseguenza le competenze e le abilità ricercate: il ▶  problem  rimane la competenza non specifica più richiesta, e parallelamente,  solving diventano più importanti la creatività e la capacità di pensare fuori dagli  schemi tradizionali.  L’immagine a fianco (1), per esempio, riassume efficacemente alcuni dati che inquadrano il livello di “tecnologizzazione” delle imprese rilevato dall’Istat in Italia nel 2018. I valori riportati sono quelli medi, dunque bisogna guardare un po’ più  nel dettaglio. Del campione fanno infatti parte imprese diversissime, sia per  prodotto e settore di mercato, sia per dimensioni. In particolare, c’è un ampio  divario tra grandi e piccole imprese nel livello di digitalizzazione e di investimento  in specifiche figure professionali. Il grafico a fianco (2), per esempio, mostra come livelli “alti” o “molto  alti” di digitalizzazione siano presenti nel 44% delle imprese con almeno 250  addetti e solo nel 12,2% delle imprese da 10 a 49 addetti. Lo stesso dicasi per l’investimento in figure professionali con competenze  ICT, dove il divario tra imprese con almeno 250 addetti e imprese da 10 a 49 addetti è ancora maggiore, come indicato dal grafico a fianco (3). Al pari di ciò che accade con la scienza e la tecnologia, infine, nell’età postindustriale le organizzazioni sono sempre più in contatto con la . Ciò vuol dire che le organizzazioni vengono valutate non solo per quella  società che è la loro performance economica, ma anche in base a e . Il trattamento riservato ai lavoratori e il rispetto dei loro diritti, l’attenzione per gli impatti ambientali derivanti dalla produzione, il tipo di valori che l’organizzazione promuove divengono così parte della sua immagine e identità, al punto, in alcuni casi, da incidere sul suo successo . Non a caso, sempre più organizzazioni certificano la criteri di etica responsabilità sociale | ▶  APPROFONDIAMO | , la e la delle loro filiere produttive. Basti  qualità provenienza sostenibilità pensare a tutti i prodotti “bio” che si trovano nei supermercati o ai prodotti  del cosiddetto “mercato equo e solidale”, che cercano di valorizzare le piccole  aziende dei paesi in via di sviluppo. : capacità di analizzare una situazione problematica, ricorrendo a determinate tecniche e metodologie, per individuare e mettere in atto la soluzione migliore. problem solving Imprese ITC in Italia 1 Imprese per livello di digitalizzazione e classe di addetti; anno 2018, valori percentuali sul totale imprese con almeno 10 addetti. 2 Imprese che impiegano specialisti ICT o che, nell’anno, hanno assunto o provato ad assumere personale con competenze ICT per classi di addetti; anno 2018, valori percentuali sul totale delle imprese con almeno 10 addetti. 3  >> pagina 406  2.4 IL LAVORO NELLA SOCIETÀ CONTEMPORANEA Abbiamo detto  che nella società contemporanea – “post-industriale” o “della conoscenza” che  sia – l’ e la costituiscono importanti risorse strategiche  informazione conoscenza e . Non solo quindi crescono i lavori nel settore  fattori di produzione dei servizi, ma in generale aumenta la quantità di conoscenza incorporata  e richiesta dai diversi lavori. Per esempio, oggi anche chi fa il magazziniere  o il cameriere, per citare due lavori tradizionalmente considerati “semplici”,  deve comunque essere in grado di maneggiare alcune tecnologie digitali e  deve quindi possedere le adeguate competenze. Da notare che, al pari delle  competenze relazionali, ossia il saper interagire con gli altri in modo adeguato  alla situazione, anche le competenze digitali di base, quali usare un computer,  connettersi a Internet o scrivere una e-mail, sono sempre più spesso date per  scontate dalle imprese e dai profili professionali che esse ricercano. Se quello delle competenze e del continuo aggiornamento delle proprie  conoscenze è quindi un tema che oggi taglia trasversalmente diversi lavori e  professioni, varie ricerche sociologiche rilevano però come a livello strutturale  il lavoro segua : tendenze opposte crescita del settore terziario e, al contempo, permanenza della grande industria  e diffusione delle piccole imprese; nascita di nuove professioni ad alto contenuto  di conoscenza e crescita parallela  di lavori poco qualificati; occupazioni in cui il lavoro è garantito a  vita, come nel pubblico impiego, e occupazioni  precarie con contratti di lavoro a  scadenza mensile; maggiore autonomia, ma anche maggiori  possibilità di controllo dei lavoratori  attraverso le tecnologie digitali. Nella società contemporanea, quindi, il  lavoro si frammenta, sia in termini di pro fessioni e settori di produzione, sia in termini di condizioni  e diritti dei lavoratori. Come è stato notato dal sociologo statunitense (n. 1943)  Richard Sennett nel famoso testo pubblicato all’inizio degli anni 2000, , la  L’uomo flessibile società post-industriale non ha solo dato impulso a e portato  nuovi lavori alla diffusione di professioni prima considerate marginali, come il barman, il  tatuatore o il barbiere, ma ha dato vita a un nuovo paradigma nel mondo del  lavoro, quello della . Questa diventa la   flessibilità principale caratteristica tanto delle organizzazioni, quanto del lavoro e dei lavoratori, e si esprime  nella diffusione dei contratti di lavoro temporanei, nella maggiore facilità  che hanno le imprese nel licenziare i lavoratori, nel delocalizzare e affidare  ad altre imprese fasi della produzione così come, più in generale, in una gestione  . Questo infatti non è più rigido,  del tutto nuova del tempo di lavoro ma è sempre più variabile e può essere di mezza giornata (part-time), oppure  concentrarsi nel fine settimana, o variare a seconda dei periodi dell’anno o  dei mesi. In altre parole, viene meno la centralità dell’impiego a tempo indeterminato  o “a vita” e dell’orario di lavoro standard tipico del Novecento: 8  ore lavorative al giorno, per un totale di 40 ore settimanali. Secondo Sennett e altri sociologi contemporanei, in tal modo , in quanto vengono meno i legami forti che nel Novecento avevano caratterizzato la relazione tra individui e lavoro e che facevano sì che le persone si identificassero con il loro lavoro e l’organizzazione in cui erano impiegate. Soprattutto, è venuto meno il lavoro come , fonte di identità sociale e strumento per la costruzione della propria traiettoria di vita. cambia il significato stesso del lavoro principale elemento di stabilizzazione della vita delle persone , tra i più autorevoli sociologi italiani del Novecento,  Luciano Gallino | ▶  L’AUTORE | ha sottolineato come l’ , a livello professionale e individuale,  instabilità sia divenuta una . Ciò fa del lavoro qualcosa di  condizione “normale” sempre più , cioè riduce il lavoro, i diritti a esso collegati e  “individualizzato” le sue modalità di organizzazione a una dimensione sempre più individuale.  Come dire che se in epoca fordista tra i compiti dello Stato vi era anche  quello di assicurare un’occupazione al maggior numero di persone possibile,  il lavoro e la sua ricerca diventano ora una responsabilità individuale. : fino al 1990 in Italia sono esistiti gli Uffici di collocamento, presso  ESEMPIO i quali ci si poteva iscrivere in qualità di disoccupato per poi aspettare di  ricevere un’offerta di lavoro. Oggi esistono invece i Centri per l’impiego, il  cui compito rimane quello di facilitare l’incontro tra domanda e offerta i lavoro,  svolgendo però un’attività prevalentemente formativa, ovvero offrendo  corsi e tirocini utili a fornire a chi è in cerca di lavoro le conoscenze idonee  per rendersi appetibile sul mercato. Nella società contemporanea, l’incremento delle abilità, delle competenze  e dei saperi professionali si accompagna quindi a un’ incertezza dei rapporti  e all’ . La maggiore autonomia  d’impiego assenza di una sicura prospettiva di lavoro e libertà dei lavoratori prendono così forma in un contesto di maggiore  instabilità del mercato del lavoro e del proprio percorso professionale e di vita. In questa situazione, anche .  il ruolo dei sindacati cambia e si ridimensiona I sindacati sono le organizzazioni che si occupano di rappresentare e difendere  i diritti dei lavoratori e nel corso di tutto il Novecento, in particolare dagli  anni Sessanta in poi, hanno giocato un ruolo estremamente importante in  Europa, in quanto principale controparte in materia di lavoro delle imprese e dei governi. Erano i sindacati, attraverso la cosiddetta “contrattazione collettiva”, a discutere e a stabilire con le imprese e i governi i salari e le condizioni di lavoro per i lavoratori. In una situazione in cui il lavoro e l’identità professionale era stabile, i sindacati non avevano difficoltà a rappresentare gli interessi dei lavoratori, in quanto questi appartenevano a categorie altrettanto stabili e omogenee: gli operai, gli insegnanti, i contadini e così via. Oggi è difficile per i sindacati rappresentare le rivendicazioni e le identità di gruppi di lavoratori sempre più variabili, tanto per numerosità quanto per interessi e prospettive di carriera. ⇒ |  T1   How the work is changing p. 426 Oggigiorno, qualunque impiego presuppone prodelle competenze digitali di base, come il sapere utilizzare le nuove tecnologie (computer, tablet, Internet e così via).   IL “CASO” OLIVETTI approfondiamo L’esperienza dell’azienda Olivetti  – fondata da Camillo Olivetti nel  1908, a Ivrea – costituisce un’interessante  vicenda imprenditoriale,  nota a livello mondiale. L’Olivetti è stata per molti anni tra le eccellenze internazionali nella ricerca, nello sviluppo e nella produzione di prodotti tecnologici, facendo dell’Italia degli anni Cinquanta uno dei paesi all’avanguardia nel campo delle tecnologie dell’informazione. Tuttavia, la Olivetti divenne famosa non solo per i suoi prodotti, ma soprattutto per il suo modello di organizzazione aziendale e per le idee del suo presidente, Adriano Olivetti, che successe al padre Camillo nel 1938. Adriano Olivetti concepiva la fabbrica non solo come un luogo di produzione, ma soprattutto quale centro dello sviluppo della società e dell’economia. Un luogo di socializzazione che, oltre a produrre beni, doveva garantire la realizzazione dell’individuo. Egli pose quindi grande attenzione alle condizioni  di lavoro: ridusse l’orario di lavoro, introdusse il  sabato festivo e la tutela per il periodo di maternità  e offrì assistenza medica ai dipendenti e alle  loro famiglie, facendo vaccinare i loro bambini  contro la poliomielite prima ancora che divenisse  obbligatorio per legge. Non solo,  costruì quartieri per le abitazioni  dei dipendenti dotati di tutti i servizi  necessari (come biblioteche,  mense e asili), convinto com’era  che il benessere dei lavoratori si  costruisse anche al di fuori dei  luoghi di lavoro e che le imprese dovessero essere al servizio della comunità che le ospita. La sua biblioteca,  sempre aperta e a disposizione  di tutti i cittadini di Ivrea,  divenne ben presto un centro di  ritrovo culturale. Olivetti voleva che la fabbrica fosse un luogo di  cultura e innovazione: assunse anche artisti e fondò  un centro di formazione e ricerca fornendo un  contribuito sostanziale nel dare vita a una rilevante  generazione di sociologi. Introdusse inoltre  delle modifiche al lavoro in catena di montaggio,  cercando di assegnare agli operai mansioni più  complesse e soddisfacenti della replica continua  di un semplice gesto. In particolare, dette vita a  gruppi di produzione incaricati della costruzione  di una parte della macchina e responsabili della  sua qualità prima del passaggio del prodotto al  gruppo successivo. I risultati furono eccellenti e  permisero all’azienda di presentare nel 1959 il  calcolatore “Programma 101”, oggi considerato  il primo personal computer mai realizzato. Adriano Olivetti.   Luciano Gallino l’autore Luciano Gallino (1927-2015) è stato un eminente  sociologo italiano. La sua formazione sociologica inizia presso la fabbrica Olivetti,  dove collabora all’Ufficio studi relazioni sociali  e dove dal 1960 al 1969 ricopre la carica  di direttore del Servizio di ricerche sociologiche  e di studi sull’organizzazione. Dal 1971 al 2002 insegna sociologia all’università  di Torino, continuando a far parte e a  dirigere diversi centri di formazione e di ricerca  applicata e ricoprendo per alcuni anni  il ruolo di presidente del Consiglio italiano  delle scienze sociali e dell’Associazione italiana  di sociologia. Parallelamente alla sua  attività di ricerca e d’insegnamento, collabora  con autorevoli quotidiani nazionali (quali  “La Stampa” e “la Repubblica”) contribuendo  anche al dibattito politico ed economico. Attento osservatore della realtà che lo circonda,  Gallino concentra i suoi studi principalmente sulla sociologia del lavoro, sottolineando  sempre l’importanza del benessere dei  lavoratori e delle politiche a sostegno dell’occupazione.  I suoi scritti più recenti sono dedicati  ai rischi sociali derivanti dalla precarietà  del lavoro, dai processi di automazione in  fabbrica e dall’eccessiva importanza assunta  dai mercati finanziari nell’economia globale.  >> pagina 410  2.5 OCCUPAZIONE E DISOCCUPAZIONE Come si struttura il mercato  del lavoro nella società contemporanea? Innanzitutto il mercato del lavoro rappresenta un tipo molto particolare di  “mercato”. In economia, il mercato è il luogo, fisico o figurato, in cui avviene  l’incontro tra compratori e venditori, ovvero tra la domanda e l’offerta di un  determinato bene. La funzione del mercato è quella di rendere possibili gli  , sulla base dei quali si determinano i dei diversi beni. Se un  scambi prezzi bene è molto richiesto, ovvero se c’è , il suo  molta domanda e poca offerta prezzo sale, viceversa scende quando l’offerta è molto superiore alla domanda:  un esempio sono gli affitti degli appartamenti, che aumentano o diminuiscono  a seconda del numero di quelli disponibili e delle persone che cercano casa. Secondo l’economia, la dinamica della domanda e dell’offerta regola il  prezzo di qualunque bene o servizio venga scambiato; secondo la sociologia,  il lavoro è un bene con delle caratteristiche uniche, che lo rendono diverso  dagli affitti o dai pomodori. Innanzitutto, a differenza di altre merci, il lavoro non può essere fisicamente  separato dalla persona che offre la prestazione lavorativa. In secondo luogo, ciò  che di fatto le persone offrono sul mercato del lavoro è il proprio tempo, le proprie  competenze e le proprie abilità manuali, tutte cose che non nascono per  essere vendute. I lavoratori inoltre, diversamente da qualsiasi altro tipo di “merce”,  possono organizzarsi e contrattare il prezzo e le modalità di esecuzione del  loro operato. Se a ciò si aggiunge che il lavoro rappresenta uno dei principali  in età adulta,  ambiti di socializzazione e costruzione dell’identità sociale nonché il principale strumento per ottenere un reddito, accedere ai servizi di  ▶  , quali, per esempio, le pensioni, e, in alcuni casi, acquisire ed esercitare  welfare potere a livello sociale, si capirà come mai il funzionamento del mercato del  lavoro non sia riducibile alla pura dinamica della domanda e dell’offerta.   Video – Il Welfare State : sistema sociale che garantisce a tutti i cittadini la fruizione dei servizi sociali ritenuti indispensabili. welfare Il mercato del lavoro come istituzione sociale Per la sociologia, il mercato  del lavoro rappresenta una , in quanto il suo  vera e propria istituzione sociale funzionamento è regolato dal , ovvero da leggi e specifici  diritto del lavoro interventi dello Stato. In Italia, per esempio, così come in quasi tutti i paesi europei,  lo Stato, in accordo con i sindacati, stabilisce il salario minimo per le diverse  categorie di lavoratori. Non solo, il mercato del lavoro risente anche delle  come, per esempio, quando lo Stato abbassa le tasse che  politiche per il lavoro le imprese devono pagare per le nuove assunzioni così da incentivarle. Il mercato del lavoro presenta due componenti fondamentali: la popolazione attiva , composta da tutte le persone di età non inferiore ai  15 anni che hanno un’occupazione o che la stanno cercando attivamente;  comprende quindi sia gli occupati sia i disoccupati; la popolazione non attiva , che comprende chiunque abbia meno di 15  anni, ma anche chi, pur avendo un’età maggiore, non è impegnato nella  ricerca di lavoro, come nel caso degli studenti o dei pensionati. In Italia, è l’Istituto Nazionale di Statistica (Istat) a occuparsi della rilevazione  del numero di occupati e disoccupati. Vengono considerate “ ” le persone che hanno svolto almeno nella settimana che precede quella in cui si svolge la rilevazione dell’Istat, indipendentemente dalla regolarità o dal contratto di lavoro, che può essere a tempo  occupate un’ora di lavoro retribuito determinato, e avere quindi una data di scadenza, o indeterminato. Chi, invece, in età compresa tra i 15 e i 74 anni, non ha un’occupazione ma  è disponibile a lavorare entro due settimane dal momento della rilevazione  svolta dall’Istat e ha fatto almeno un’azione di ricerca attiva di lavoro nell’ultimo  mese, viene catalogato come “ ”. persona in cerca di occupazione Ma che cosa vuol dire ricercare attivamente lavoro? Vediamo un estratto  dal questionario utilizzato dall’Istat. QUALE DELLE SEGUENTI AZIONI DI RICERCA DI LAVORO HA FATTO  NELLE 4 SETTIMANE DAL …… AL ……: Ha avuto contatti con un Centro pubblico per l’impiego  (ex Ufficio di collocamento) per cercare lavoro. […] Ha sostenuto un colloquio di lavoro, una selezione presso privati. […] Ha sostenuto prove scritte e/o orali di un concorso pubblico. […] Ha inviato una domanda per partecipare a un concorso pubblico. […] Ha esaminato offerte di lavoro sui giornali. […] Ha messo inserzioni sui giornali o ha risposto ad annunci. […] Ha fatto domande di lavoro e/o inviato o consegnato curriculum  a privati. […] Si è rivolto a parenti, amici, conoscenti, sindacati. […] Ha cercato lavoro su Internet. […] Ha avuto contatti con un’agenzia di somministrazione (ex-interinale)  o con una struttura di intermediazione diversa da un Centro pubblico  per l’impiego per cercare lavoro. […] Ha cercato terreni, locali, attrezzature per avviare un’attività autonoma. […] Ha chiesto permessi, licenze, finanziamenti per avviare  un’attività autonoma. […] Altra azione (specificare) ………………………………………………………… (Questionario Istat - Rilevazione sulle Forze di Lavoro - 3° trimestre 2019) Come si può dedurre dalle domande riportate, cercare attivamente lavoro  può significare cose molto diverse, ma in ogni caso prevede una volontà e  da parte di chi cerca lavoro. un’azione concreta I principali indicatori utilizzati per lo studio del mercato del lavoro sono: il tasso di attività , che si riferisce alla partecipazione della popolazione al  e che è utile al fine di individuare l’ mercato del lavoro effettiva disponibilità  . Si calcola dividendo la popolazione attiva  delle persone a lavorare per la popolazione di 15 anni o più; il tasso di occupazione , che misura la percentuale di persone in età lavorativa  e che rappresenta in modo indiretto  che effettivamente lavorano un indicatore del , poiché indica in che misura la popolazione  benessere sociale partecipa alla produzione della ricchezza di una nazione. Si calcola  dividendo il numero degli occupati per la popolazione di 15 anni o più; il tasso di disoccupazione , che misura la percentuale di persone che , pur  essendo disponibili a lavorare, . Anche questo  non riescono a trovare lavoro rappresenta un indicatore indiretto del benessere sociale, poiché indica  quanto lavoro “manca” all’interno di un determinato territorio e, dunque, il  numero di persone che non percepiscono un reddito. Si calcola dividendo  il numero delle persone in cerca di occupazione per la popolazione attiva. Ecco, per esempio, come l’Istat riassume lo scenario circa la partecipazione  al mercato del lavoro della popolazione residente in Italia nel 2017 (1). Si possono poi calcolare percentuali specifiche dividendo la popolazione  per sesso (uomini/donne), classi di età (giovani/adulti), titolo di studio (diplomati/ laureati) o appartenenza geografica. Il grafico a fianco (2), per esempio, tratto da un’indagine sul lavoro in Europa  condotta dall’Eurostat nel 2017, descrive il tasso di occupazione per paese e  . Come si può notare, se le regioni del Nord  ripartizione geografica italiana Italia sono all’incirca in linea con quella che è la media europea (67%), il  Centro e, soprattutto, il Sud Italia si discostano di diversi punti percentuali. La differenza tra Nord e Sud Italia (3) diviene ancora più accentuata se si  confrontano i tassi di disoccupazione per paese e la ripartizione geografica  italiana: se nella parte settentrionale della penisola il tasso di disoccupazione  è addirittura inferiore a quello della media europea (7,6%), nel Mezzogiorno  l’indicatore si allontana ulteriormente da quello europeo, risultando il più  elevato (quasi 20 punti percentuali) dopo quello della Grecia. Vediamo ora la distribuzione del lavoro per sesso in Italia nel periodo  2004-2018. Come si può osservare, le stime Istat indicano una progressiva  , ma sussiste ancora un crescita dell’occupazione femminile forte divario  : in Italia, nel 2018, solo il 49,5% delle donne lavora (in  tra uomini e donne pratica, una donna su due), contro il 67,6% degli uomini (in pratica, due  su tre). Fonte: rilevazione ISTAT delle forze di lavoro 2004-2018 Rispetto al resto d’Europa, il cui tasso medio di occupazione femminile è  del 60% (con punte che superano il 70% nei paesi scandinavi), l’Italia risulta  essere la penultima in graduatoria, con un divario occupazionale di genere  , p. 292 . al 18% | ▶  UNITÀ 7 | Infine, il rapporto annuale Istat del 2018 indica una diminuzione del numero  di giovani tra i 15 e i 29 anni non occupati e non in formazione, i  cosiddetti “Neet” (acronimo dell’espressione  inglese ).  Not in education, employment or training L’incidenza dei Neet sul totale dei giovani  tra 15 e 29 anni nel 2017 è in media del  24%, ma si caratterizza anche questa per forti  differenze territoriali: 16,7% al Nord, 19,7%  al Centro e 34,4% nel Mezzogiorno. Fonte: ISTAT – Rilevazione delle forze di lavoro (R) 1 Fonte: EUROSTAT – Indagine sulle forze di lavoro 2 Fonte: EUROSTAT – Indagine sulle forze di lavoro 3 Ancora oggi, nonostante evidenti miglioramenti rispetto al passato, esiste un forte divario occupazionale fra uomini e donne. per lo studio I dati sull’occupazione cambiano di continuo e possono subire variazioni significative anche da un anno  1. all’altro. Cerca in Internet l’ultimo rapporto Istat o Eurostat sulle forze di lavoro e descrivi l’andamento  dell’occupazione e della disoccupazione. Con che tipo di organizzazioni entri in contatto nel corso della tua quotidianità? Che cosa producono?  2. Che tipo di tecnologie impiegano?     Per discutere INSIEME Descrivi il lavoro dei tuoi genitori e chiedi loro come l’hanno trovato,  quali sono le principali competenze richieste e come hanno fatto ad apprenderle. Confronta le  risposte con quelle dei tuoi compagni e discutete dei diversi modi in cui si può trovare un lavoro e  di come affinare le principali competenze che questo richiede.