PAROLA D’ AUTORE ⇒ T1  Orazio | Gratitudine verso il padre per l’educazione ricevuta Il poeta Quinto Orazio Flacco (65-8 a.C.) manifesta la sua gratitudine nei confronti  del padre in componimenti che sono tra i più belli della letteratura latina. Il padre  non considerò sufficiente mandare il figlio dal più affermato insegnante della città  di Venosa (Potenza) e, pur essendo di umili origini, si trasferì a Roma per offrirgli il  meglio dell’educazione. Inoltre non badava a spese e lo accompagnava alle lezioni. , I, 6, trad. di M. Labate, Bur Rizzoli, Milano, 2016, pp. 155-161 Satire […] Eppure, se la mia indole, per il resto diritta,  è intaccata soltanto da difetti non gravi  e non numerosi, come i nèi che tu riprendessi  sparsi qua e là in un corpo di egregia bellezza:  se nessuno potrà, in buona fede, rimproverarmi  avidità, sordidezza o malfamati bordelli; se  io vivo, tanto per lodarmi da me, puro e senza  colpe e caro agli amici, di tutto questo ha merito  mio padre: povero del suo magro campicello , egli non volle mandarmi alla scuola di  1 Flavio, dove andavano i ragazzi, grandi figli  dei gran centurioni , astuccio e tavoletta sulla  2 spalla sinistra, portando ogni quindici del  mese gli otto assi di retta; osò invece portarlo  3 a Roma il suo ragazzo, perché fosse istruito  nelle discipline che un qualsiasi cavaliere o senatore fa imparare ai suoi propri rampolli. Se  4 uno avesse visto il mio vestito e i servi al mio  seguito, come si usa nelle grandi città, avrebbe  creduto che i denari per quelle spese mi venissero  dal patrimonio degli avi. E poi, lui di  persona mi stava a fianco, il più impeccabile  degli istitutori, nel mio giro fra un professore  e l’altro. […] Mai avvenga, finché sono sano di mente,  ch’io mi mostri, neanche un poco, scontento  di un simile padre, mai dunque io abbia a cercarmi  delle scuse, come fa la più parte degli  uomini, che dice non esser sua la colpa se non  ha genitori nati liberi e illustri. Assai diversi  da questi sono, in me, e parole e pensiero: se  infatti la natura, a partire da una determinata  età, ci facesse percorrere a ritroso il tempo trascorso  e ci permettesse di scegliere, in ragione  della nostra vanità, altri genitori, ciascuno  quelli che preferisce, e se io, contento dei miei,  non volessi prendermeli onorati di fasci e di  seggi , pazzo certo sarei a giudizio del volgo,  5 savio forse per te […]. È questa la vita di chi  è libero dall’ambizione che rende infelici ed  opprime. Ed io mi consolo a pensare che, in  questa maniera, vivrò una vita più piacevole  che se avessi avuto un questore per nonno e  per padre e per zio. Il padre di Orazio era un liberto, cioè uno  1. schiavo affrancato, che a Venosa era riuscito  a mettere su un piccolo campo. Trasferitosi  a Roma, esercitò la professione di esattore  delle aste pubbliche. I centurioni erano i sottufficiali dell’esercito  2. romano posti al comando di una centuria,  raggruppamento di cento uomini che  costituiva l’unità base della legione. L’asse era una moneta romana di bronzo,  3. suddivisa in multipli e sottomultipli. Cavalieri e senatori erano i ceti più facoltosi  4. a Roma. Fasci e seggi erano i simboli del potere dei supremi magistrati. 5. Giacomo Di Chirico, , 1871, Pinacoteca provinciale, Potenza. Ritratto di Quinto Orazio Flacco Rispondi Da questa satira quali informazioni ricaviamo sul  1. padre di Orazio? Dal punto di vista etico, quali effetti ha sortito l’educazione  2. su Orazio? Da chi prende le distanze il poeta? A chi si contrappone? 3.  >> pagina 210  ⇒ T2  Quintiliano | Imparare insieme In questo brano dell’ , Quintiliano argomenta la validità di un  Institutio oratoria approccio educativo fondato sulla collaborazione tra compagni, anticipando  teorie e approcci contemporanei, quali l’educazione tra pari e l’apprendimento  cooperativo. , libro I, trad. di S. Corsi, Bur, Milano, 1997, p. 89 Institutio oratoria Come l’emulazione favorisce i progressi di  chi è più avanti negli studi, così ai principianti,  ancora giovanissimi, risulta maggiormente  piacevole l’imitazione dei compagni che non  quella dei maestri, per il semplice motivo che  è più facile. Chi ha a che fare con i primi elementi,  infatti, difficilmente oserà elevarsi fino  alla speranza di riprodurre l’eloquenza, che stima  l’obiettivo massimo. Abbraccerà piuttosto  le nozioni più vicine, come le viti abbarbicate  agli alberi prima afferrano i rami bassi e poi  si arrampicano verso l’alto. Ciò è tanto vero  che anche lo stesso maestro, purché preferisca  l’utilità all’ambizione, nel rivolgersi a menti  ancora inesperte ha il compito non di gravare  da subito con carichi eccessivi sulla debolezza  degli allievi, bensì di moderare le proprie forze  e abbassarsi alla loro capacità di comprensione. Rispondi Quali indicazioni pedagogiche è possibile estrapolare  1. da questo brano? Sottolinea nel testo la similitudine usata da Quintiliano,  2. poi commentala.  >> pagina 211  ⇒ T3  Seneca | Finché vivi, impara Le sono l’opera di Seneca che meglio esprime le dimensioni pedagogiche  Lettere a Lucilio del suo pensiero. La scrittura delle Lettere ha impegnato l’autore nell’ultima fase della  sua vita ed è stata bruscamente interrotta dalla condanna a morte. Anche se Seneca  e il suo amico Lucilio hanno mantenuto una comunicazione regolare, non è chiaro  se queste lettere siano state effettivamente inviate. Quel che è certo è che la forma  epistolare ha reso possibile all’autore un dialogo più ampio con se stesso e con i posteri. , Lettera 76, in , Bur Rizzoli, Milano, 2007, p. 246 Lettere a Lucilio Opere morali Sei pronto a rompere i rapporti con me, se ti tengo nascosta una sola delle mie azioni giornaliere. Vedi come sono sincero con te: voglio confidarti anche questo. Seguo le lezioni di un filosofo , e sono già cinque giorni che vado a scuola, per sentirlo parlare, alle due del pomeriggio. «Bell’età per istruirsi!» dirai. E perché no? Non è stolto rifiutarsi di apprendere solo perché si è rimasti a lungo senza apprendere? «E che? Farò come i bellimbusti e i giovincelli?» Buon per me, se solo questo è sconveniente alla mia vecchiaia: questa scuola ammette uomini di ogni età. «Val la pena d’invecchiare, per andar poi dietro ai giovani?». Dunque, io andrò a teatro o al circo; anzi, non mancherò a nessun combattimento di gladiatori; ma dovrò vergognarmi di andare da un filosofo? Bisogna cercare di apprendere finché si ignora qualcosa e, se crediamo al proverbio, «finché si vive». E tale espressione non trova un’applicazione più adatta che questa: finché viviamo, dobbiamo imparare l’arte di vivere. Del resto, in quella scuola ho ancora qualcosa da insegnare. «Che cosa?» mi domanderai. Che anche un vecchio deve imparare. Tutte le volte che entro in quella scuola, arrossisco per il genere umano. Come sai, chi va alla casa di Metronatte deve passare davanti al teatro dei Napoletani. È sempre pieno zeppo e vi si giudica con grande attenzione chi sia un buon flautista; il suonatore di tromba greco e il banditore hanno anch’essi una grande folla di ammiratori. Ma nel luogo in cui si ricerca la virtù, in cui si impara a diventare uomini onesti, siedono pochissimi;  1 2 3 e molti pensano che essi non abbiano niente  di meglio da fare e li chiamano esseri inetti e  oziosi. Seneca si recava con regolarità a Napoli  1. per assistere alle lezioni di Metronatte. Uomini frivoli, che amavano lo sfarzo e  2. l'eleganza nel vestire. Chi leggeva ad alta voce per le strade il  3. contenuto di un bando. Il ponte romano di Cordova, la città spagnola in cui nacque Seneca, eretto nel I sec. a.C. sul fiume Guadalquivir. Rispondi Seneca afferma di vergognarsi del genere umano,  1. perché? Che cosa si impara nella scuola di Metronatte? 2. Oggi è una consapevolezza acquisita da parte della  3. pedagogia che l’educazione sia un processo che  dura tutta la vita. All’epoca di Seneca questa concezione  non era così diffusa. Da quali frasi si può  comprendere?  >> pagina 212  ⇒ T4  Seneca | La virtù è armonia Il brano di Seneca che qui proponiamo è tratto dalla , che contiene  Lettera 74 un’intensa raffigurazione del saggio stoico. , Lettera 74, in , Bur Rizzoli, Milano, 2007, pp. 241-242 Lettere a Lucilio Opere morali Il saggio non si affligge per la perdita degli  amici o dei figli; sopporta la loro morte con lo  stesso animo con cui attende la sua; non teme  questa più di quanto provi dolore di quella. Infatti la virtù è armonia e tutte le sue azioni  concordano perfettamente con essa. Orbene,  questo intimo accordo si rompe se l’animo, che  deve dominare le avversità, cede al rimpianto  dei cari perduti. Ogni forma di trepidazione,  di ansia e di rilassamento è contraria alla virtù.  La virtù è, infatti, la sicurezza di un animo  libero nei suoi movimenti, imperturbabile,  pronto ad ogni evento. «Ma come! Il saggio  non soffrirà qualcosa di simile al turbamento?  Il suo volto non cambierà mai di colore e  le sue membra non saranno mai scosse da un  brivido? Non proverà nessuno di quegli impulsi  naturali che sfuggono al controllo dell’animo? » Sì, lo ammetto. Ma egli conserverà  sempre la convinzione che nessuna contrarietà  è un male reale che possa abbattere uno spirito  sano. Farà con ardimento e con prontezza tutto  quello che c’è da fare. Potrebbe dirsi stolto il  comportamento di chi agisce in modo fiacco e  contraddittorio, e va col corpo da una parte e  con l’animo dall’altra, e disperde le sue energie  fra impulsi del tutto contrari. Infatti non può  provocare che disprezzo chi si inebria di grandi  affermazioni e poi non fa volentieri neppure  quelle cose in cui si esalta a parole. Se poi teme  qualche male, si sente agitato nell’attesa come  se il male fosse già venuto, e ciò che teme di  dover soffrire lo soffre già in anticipo per paura.  Come nel corpo malato ci sono dei sintomi  che precedono la consunzione – una grande  1 apatia, una stanchezza non prodotta da alcuna  fatica, sbadigli e brividi per tutte le membra –,  così un animo debole si sente scosso dal male  prima di esserne colpito; lo previene e si abbatte  anzitempo. Ma è cosa veramente sciocca  stare in ansia per il futuro e, prima che giungano  i patimenti, farli venire e attirarli a sé; mentre  la cosa migliore sarebbe differirli, se non  è possibile evitarli. Vuoi tu la prova che non  bisogna angosciarsi per quello che deve ancora  venire? Se uno sente dire che fra cinquant’anni  avrà una disgrazia, non si turba, a meno che,  saltando il periodo intermedio, non si abbandoni  coll’immaginazione a quella pena che dovrà  patire fra tanti anni. E, alla stessa maniera,  ci sono anime deboli che amano rivangare le  loro antiche pene e si rattristano al ricordo di  avvenimenti da lungo tempo trascorsi. Sia le  cose passate, sia quelle che dovranno avvenire  sono lontane da noi: non le sentiamo. Non può  produrre dolore se non ciò che tocca la nostra  sensibilità. Addio. Decadimento generale del corpo. 1. Rispondi Quali sono le caratteristiche del saggio, secondo  1. Seneca? Perché la paura è da evitare? 2. Quale atteggiamento bisogna avere rispetto al  3. passato e al futuro?  >> pagina 213  ⇒ T5  Plutarco | Rispettare inclinazioni, desideri e tempi dei figli Nel seguente brano Plutarco espone le sue riflessioni su come alcuni genitori  educano i figli. Egli critica i genitori che venerano i propri figli e che, per il desiderio  che essi primeggino sugli altri, li caricano di troppe attività, senza rispettare  le loro inclinazioni e i loro tempi. Inoltre accusa anche quei genitori che non si  informano su come i propri figli vengono istruiti. L’estratto termina con un elogio  della memoria, che va continuamente allenata. , 13 b-e, in , a cura di E. Lelli e G. Pisani, Bompiani, Milano, 2017, pp. 15 e 17 De liberis educandis Tutti i Moralia Ho già visto alcuni padri per i quali il troppo  amore divenne causa di disamore. Che intendo  dire, tanto per rendere più chiaro il mio  discorso con un esempio? Smaniando dalla  voglia di veder primeggiare più in fretta i loro  ragazzi in ogni campo, li caricano di fatiche  sproporzionate, col risultato che non riescono  a reggerle e finiscono per crollare, e in ogni  caso, oppressi dai patimenti, non accolgono  docilmente l’insegnamento. Le piante si sviluppano  con la giusta quantità di acqua, ma se  si esagera soffocano: così anche la mente «con  giuste fatiche s’accresce, ma da quelle eccessive  finisce sommersa» […] Bisogna dunque dare  ai ragazzi la possibilità di riprender fiato dalle  continue fatiche, riflettendo come tutta la nostra  vita sia divisa fra riposo ed impegno. Per  questo furono inventate non solo la veglia ma  anche il sonno, e così la guerra e la pace, il tempo  brutto e quello buono, le attività lavorative  e le feste. Per dirla in breve, il riposo è il condimento  delle fatiche. Si può constatare come  questo non riguardi solo gli esseri viventi, ma  anche le cose inanimate, visto che allentiamo  archi e lire per poterli tendere di nuovo. In generale,  il corpo è preservato dal senso di vuoto  e di pieno, la mente dal riposo e dalla fatica. È giusto biasimare certi padri, che affidano  i figli a pedagoghi e maestri ma poi non si  premurano affatto di osservare o di ascoltare  di persona come li istruiscano, venendo così  meno in modo gravissimo ai propri doveri.  Dovrebbero invece controllare periodicamente  i loro ragazzi, a pochi giorni di distanza; gli  stessi maestri, poi, si prenderanno più cura degli  allievi, se saranno chiamati di volta in volta  a renderne conto. […] Più di ogni altra cosa, poi, si deve allenare la  memoria dei ragazzi e irrobustirla con l’abitudine,  perché essa è, per così dire, il magazzino  del sapere. Essa va esercitata sempre, con i ragazzi  che ne siano naturalmente ben dotati e  con quelli, al contrario, che ne abbiano poca,  perché nel primo caso rafforzeremo la ricchezza  delle doti naturali, nel secondo ne colmeremo  le carenze: così i primi saranno migliori  degli altri, i secondi di se stessi. Rispondi Quale ritmo dovrebbe avere l’insegnamento per  1. essere maggiormente efficace, secondo Plutarco? Che conseguenze ha sugli studenti esercitare tensioni  2. eccessive o avere pressanti aspettative? Perché la memoria è così importante nel processo  3. educativo?  >> pagina 214  ⇒ T6  Sesto Empirico | Non è possibile insegnare Il brano che proponiamo è un estratto dello scritto , dove Sesto  Contro i matematici Empirico mette in discussione l’insegnamento esaminando il rapporto che si crea  tra chi è esperto e colui che non lo è ancora. , trad. di A. Russo, Laterza, Roma- Bari, 1972, pp. 13-14 Contro i matematici Chi non è esperto non può insegnare a chi non  è esperto, proprio come un cieco non può fare  da guida a un altro cieco; né colui che è esperto  può insegnare a chi è parimenti esperto, giacché  nessuno dei due aspirava precedentemente  ad imparare e né questo ha maggiore bisogno  di imparare rispetto a quello né rispetto  a questo, essendo tutti e due parimenti dotati  di conoscenza. Né colui che è inesperto può  insegnare a colui che è esperto, giacché una  tal cosa sarebbe come se si dicesse che chi ha  la vista degli occhi si lascia guidare da chi ne  è privo. E in realtà l’inesperto, essendo privo  dei principi dell’arte, non potrebbe insegnare  a nessuno quelle cose che egli stesso non conosce  neppure in modo elementare, laddove  colui che è esperto, osservando accuratamente  i principi dell’arte e possedendone piena conoscenza,  non avrà affatto bisogno di uno che  glieli insegni. Ci rimane allora soltanto la possibilità  di affermare che colui che è esperto è  maestro di chi non è esperto. Ma ciò è ancora  più assurdo delle precedenti ipotesi: infatti in  un passo dei nostri è stato dimostrato  Scritti scettici che chi è esperto dubita insieme con noi  circa i principi dell’arte, laddove colui che non  è esperto, fin quando è non-esperto, non può  diventare esperto né, quando sia esperto, può  diventare esperto, ma lo è già. Difatti, se egli è  inesperto, è simile a chi è nato cieco o muto, e  allo stesso modo in cui quest’ultimo per le sue  condizioni naturali non è riuscito a pervenire  alla conoscenza dei colori o dei suoni, così anche  l’inesperto, in quanto è inesperto, è cieco  e sordo rispetto ai principi dell’arte e non può  né vedere né udire quale sia ciascuno di essi; se,  d’altra parte, egli è diventato esperto dell’arte,  egli non è più nell’atto di ricevere l’insegnamento,  ma lo ha già ricevuto. Rispondi Secondo te, che cosa significa essere esperti in  1. qualcosa? Rifletti sulle tue competenze. Quali  sono? E come le adoperi? Rifletti sull’importanza dell’apprendimento che  2. avviene attraverso esperimenti ed esperienze laboratoriali  a scuola. Che valore ha per te? Quali sono le pratiche di insegnamento che ritieni  3. per te più utili?  >> pagina 215  ⇒ T7  | Il libro di Rut La storia di Rut Tra i testi sacri dell’ebraismo, esprime con particolare bellezza la  Il libro di Rut pedagogia della terra. Narra le vicende di Rut, una giovane vedova , e di  moabita sua suocera, l’ebrea Naomi. La solidarietà tra suocera e nuora mette in moto gli  eventi del libro, che culmina con un colpo di scena: Rut, donna di origini pagane e  straniere, dà origine a una discendenza da cui nascerà il grande re Davide. , trad. di Erri De Luca, Feltrinelli, Milano, 1999, pp. 29-143 Il libro di Rut E fu nei giorni del giudicare i giudici e fu fame  1 nella terra. E andò un uomo da Bet Lèhem di  Giuda a emigrare nei campi di Moàb lui e la  sua donna e i due figli suoi. E nome dell’uomo è Elimèlec e nome della  sua donna è Naomi e nome dei due figli suoi  Mahlòn e Chiliòn, Efratiti 2 da Bet Lèhem di  Giuda. E vennero campi di Moàb, e furono là. E morì Elimèlec uomo di Naomi e fu lasciata  lei e i due figli suoi. E sollevarono per loro donne moabìte, nome  3 dell’una Orpà e nome della seconda Rut. E  abitarono là come dieci anni. E morirono anche loro due Mahlòn e Chiliòn.  E fu lasciata la donna dai suoi due nati e dal  suo uomo. […] E disse Naomi alle due sue nuore: “Andate,  tornate donna a casa di sua madre. Farà  Iod 4 con voi misericordia come voi avete fatto  con i morti e accanto a me. Darà Iod a voi e troverete quiete, donna casa del  suo uomo”. E baciò loro e sollevarono le loro  voci e piansero. […] E baciò Orpà sua suocera  e Rut si attaccò a lei [… e disse]: “Non premerai  in me per abbandonarti, per tornare via da  dietro di te. Perché verso ciò che andrai andrò  e in ciò che pernotterai pernotterò, tuo popo lo è mio popolo e tuo Elohìm 5 mio Elohìm.  In ciò che morirai morirò e là sarò sepolta.  Così farà Iod a me e così aggiungerà perché la  morte farà distacco tra me e te 6 ”. E vide che decisa è quella a andare presso di  lei. E cessò di parlare verso di lei. E andarono loro due finché vennero a Bet  Lèhem. […] E fu come vennero a Bet Lèhem  e tumultuò tutta la città sopra di loro e dissero:  “Questa è Naomi?”. E disse verso di loro: “Non chiamerete me  Naomi. Chiamate me Amara perché ha fatto  amarezza Saddài 7 a me molta. […] E tornò Naomi e Rut la moabìta sua  nuora con lei, che torna dai campi di Moàb. E  esse vennero a Bet Lèhem in inizio di mietitura  di orzi. […] E disse Rut la moabìta verso Noami:  “Andrò, su, al campo e racimolerò 8 nelle spighe  dietro chi troverò grazia nei suoi occhi”, E  disse a lei: “Vai, figlia mia”. E andò e venne e racimolò nel campo dietro i  mietitori. E avvenne sorte: parte del campo è a  Boàz che è dalla famiglia di Elimèlec.  E ecco Boàz venne da Bet Lèhem e disse ai  mietitori: […] “A chi è la giovane, questa?”. E rispose il giovane che sta sopra ai mietitori  e disse: “Giovane moabìta è lei che torna con Naomi dai campi di Moàb”. E disse: “Racimolerò, su, e raccoglierò negli  òmer 9 dietro i mietitori”. E è venuta e è stata  da allora, il mattino, e fino ad adesso, questo il  suo abitare a casa poco”. E disse Boàz verso Rut: “[…] Non andrai a  racimolare in un campo altro e anche non passerai  via da questo. E così starai attaccata con  le mie giovani. I tuoi occhi nel campo che mieteranno e andrai  dietro di loro, forse non ho ordinato ai giovani  di mai toccarti? E avrai sete e andrai verso i vasi  e berrai da ciò che attingeranno i giovani”. E cadde sul suo volto e si prostrò a terra e disse  verso di lui: “Per quale causa ho trovato grazia  nei tuoi occhi per farmi riconoscere e io sono  straniera?”. E risposte Boàz e disse a lei: “Raccontare è stato  raccontato a me tutto ciò che hai fatto presso  tua suocera dopo la morte del tuo uomo. E  hai abbandonato tuo padre e tua madre e terra  di tua nascita e sei andata verso un popolo che  non hai conosciuto ieri, l’altrieri. Fara integro Iod il tuo agire. E sarà la tua ricompensa  integra da parte di Iod Elohìm di  Israele, che sei venuta a ripararti sotto le sue ali”. […] E raccontò a sua suocera ciò che aveva  fatto con lui e disse [il suo nome]. E disse Naomi a sua nuora: “Benedetto lui a Iod che non ha abbandonato  la sua misericordia presso i vivi e presso i morti”.  E disse a lei Naomi: “Vicino a noi l’uomo, da parte di chi ha (diritto  di) riscatto 10 di noi è lui”. […] “È buono figlia mia che uscirai con le sue  giovani e non premeranno in te in un campo  altro”. E si attaccò nelle giovani di Boàz per racimolare  fino a terminare di raccolto degli orzi e  raccolto dei frumenti. E stette con sua suocera.  E disse a lei Naomi sua suocera: “Forse che  non cercherò per te un appoggio che sia bene  per te? E adesso non è Boàz nostro parente, che sei  stata con le sue giovani? Ecco lui sparge l’aia  di orzi la notte 11 . E ti laverai e spalmerai e metterai i tuoi manti  sopra di te e scenderai all’aia. Non ti farai conoscere  all’uomo fino a suo terminare di mangiare  e bere. E sarà nel suo giacere e conoscerai  il luogo che giacerà là e verrai e scoprirai un  lato dei suoi piedi e giacerai. E lui racconterà a  te ciò che farai”. E […Rut] scese all’aia. E fece come tutto ciò  che aveva ordinato sua suocera. […] E fu nel mezzo della notte e tremò l’uomo  [Boàz] e fu scosso: e ecco una donna che  giace a un lato dei suoi piedi. E disse: “Chi sei  tu?”. E disse: “Io sono Rut tua serva e hai steso  la tua ala sopra la tua serva perché riscattatore  sei tu”. E disse: “Benedetta tu per Iod figlia mia, hai  agito bene, la tua misericordia l’ultima è più  della prima: senza andare dietro ai ragazzi, sia  un povero che un ricco. E adesso figlia mia non temerai, tutto ciò che  dirai farò per te. Perché conosce ogni porta del  mio popolo che donna di valore tu sei. […] E prese Boàz Rut e fu a lui per donna e  venne verso di lei 12 . E dette Iod a lei gravidanza  e partorì un figlio. E dissero le donne verso Naomi: “Benedetto  Iod che non ha fatto cessare per te un riscattatore  oggi. E sarà chiamato il suo nome in  Israele. E sarà per te come chi fa tornare fiato e per sostenere  la tua vecchiaia. Perché tua nuora che  ti ha amato lo ha partorito, che lei è buona per  te più di sette figli”. E prese Naomi il bambino e lo pose nel suo  petto e fu per lui da allevatrice. E chiamarono per lui le vicine un nome per  dire: “È partorito un figlio a Naomi” e chiamarono  il suo nome Òved, lui è padre di Isciài  padre di Davide. I giudici erano i capi politici che governavano  1. le dodici tribù in cui era organizzata  la comunità di Israele. Della provincia di Efrath. 2. Sposarono. 3. Dio. 4. Uno dei nomi di Dio. 5. Cioè solo la morte ci separerà. 6. Uno dei nomi di Dio frequentemente  7. tradotto con “Onnipotente”. Racimolare significa raccogliere le spighe  8. rimaste sul campo dopo la mietitura. Contenitore che serviva da unità di misura. 9. Diritto di sposare la vedova del proprio  10. fratello (o di altro parente prossimo) se rimasta  sola, senza figli. Gli uomini che avevano  tale diritto erano detti dunque “riscattatori”.  Questa disposizione si comprende  se si considera che, come abbiamo detto, la  legge ebraica tutelava le vedove, in ragione  della loro vulnerabilità. Pratica utile a far asciugare l’orzo che,  11. come tutti i cereali quando vengono raccolti,  presenta un alto tasso di umidità. Cioè si sposarono. 12. William Blake, , 1795, Victoria and Albert Museum, Londra. Noemi invita Rut e Orpà a ritornare in terra moabita Rispondi Riassumi oralmente il ritratto di Rut che emerge  1. da questo brano. Confronta la prima parte del testo e l’ultima:  2. come cambia la visione che Naomi ha di se stessa  e il modo in cui gli altri la vedono? Chi è il riscattatore? Approfondisci il significato  3. della parola e il suo ruolo secondo l’antico diritto  ebraico.