1. I principi educativi della vita monastica 1.1 ALLE ORIGINI DEL MONACHESIMO Gli storici sono concordi nel  situare la nascita del monachesimo nel periodo in cui il cristianesimo si trasformò  da religione perseguitata a . Questo passaggio fu  religione di Stato reso possibile dall’editto di Milano del 313 e soprattutto dall’   editto di Tessalonica del 380, con il quale il cristianesimo, nella formulazione stabilita  dal (325) , p. 230 , fu dichiarato religione ufficiale  Concilio di Nicea | UNITÀ 6 ▶  | dell’impero e vennero proibiti i culti pagani ed eretici, consolidando un’alleanza  tra potere e potere spirituale destinata a durare per secoli. ▶  temporale Ci furono però uomini e donne di fede che rispetto a tale alleanza, e rispetto  all’attenzione della Chiesa per le cose mondane che ne seguì, operarono  una , optando per uno stile di vita all’insegna della povertà,  rottura radicale dell’ascolto profondo di Dio e di relazioni improntate alla reciprocità. In  questo modo gettarono le basi per la nascita del monachesimo. :  temporale nel linguaggio  ecclesiastico,  designa ciò che appartiene alla vita terrena e ha una durata limitata, in contrapposizione alla dimensione spirituale ed eterna. 1.2 I PADRI E LE MADRI DEL DESERTO , p. 250 Antonio Abate | ▶  IL PERSONAGGIO | , venerato come santo dalla Chiesa cattolica, e , oltre a  ▶  luterana ▶  coopta costituire il modello ispiratore di ogni monaco, è considerato il precursore del  , un movimento religioso che si diffuse tra il IV e il  monachesimo del deserto V secolo soprattutto in Egitto, ma anche in Palestina e in Siria. I monaci del  deserto , per lo più intrattenendo reciproche  vivevano da soli o in piccoli gruppi relazioni, in modo costante o sporadico. La solitudine totale o, viceversa,  una vera e propria vita di comunità erano infatti scelte piuttosto rare, ma in  mezzo a questi estremi potevano verificarsi diverse possibilità. I monaci del deserto trascorrevano la maggior parte del tempo nella propria cella, accompagnando l’assidua preghiera con un lavoro manuale dal quale traevano il necessario per vivere. Di solito la era un piccolo edificio quadrato in pietra, mattoni, terra battuta o argilla, formato da due o più vani, situato al centro di un cortile dotato di un orto e di un pozzo e circondato da un muro di recinzione. Tuttavia anche una grotta scavata nella roccia poteva fungere da cella. A volte la stessa cella ospitava il padre spirituale e i suoi discepoli, altre volte essi vivevano in celle poco distanti l’una dall’altra. Dal punto di vista pedagogico, infatti, un aspetto fondamentale del monachesimo del deserto era proprio il , chiamato ( ) o ( ). cella profondo legame che si instaurava  tra i discepoli e la guida spirituale padre abba madre amma Questo rapporto si manifestava in molteplici modi, di cui ci offrono testimonianza soprattutto le raccolte dei . detti dei padri del deserto Quando qualcuno sentiva il desiderio di intraprendere la vita monastica,  «Disse ancora Sara: “È cosa buona fare l’elemosina anche se la si fa  si rivolgeva a una persona già matura in questo cammino, che in genere lo  sottoponeva all’adempimento di prove per saggiare la sua reale motivazione  e la sua disponibilità all’obbedienza . Questo tirocinio comprendeva  ordini che alla luce della sensibilità di oggi appaiono assurdi – come affrontare  bestie feroci o restare a digiuno per giorni – e che l’iniziato, tuttavia,  accoglieva con accondiscendenza per la fiducia che lo legava al padre o alla  madre spirituale. D’altra parte, questi ultimi sapevano conciliare severità  e amorevolezza e, soprattutto, adattavano i propri insegnamenti al livello  spirituale del discepolo, com’è evidente, per esempio, nel seguente detto:  amma per piacere agli uomini, perché dal desiderio di piacere agli uomini si volge  poi in cosa gradita a Dio”». Madre Sara, infatti, valorizza quanto c’è di  buono, nel caso specifico l’elemosina fatta per compiacere agli uomini, nella  speranza che cresca e si consolidi in una più chiara manifestazione di fede. Nei detti dei padri del deserto si trova con frequenza l’espressione “ dimmi  ”, con la quale ci si rivolgeva al padre o alla madre spirituale  una parola – chiamati anche “anziano” o “anziana” in virtù della loro autorevolezza –  per chiedere conforto e aiuto nel percorso di fede. Non sempre la persona  interpellata rispondeva verbalmente; un gesto poteva essere più eloquente  delle parole, come rivela questo detto: Abba Lot andò a visitare abba Giuseppe e gli disse: “Abba, secondo le mie possibilità io pratico un piccolo digiuno, la preghiera, la meditazione e la quiete, e secondo le mie possibilità mi conservo puro nei pensieri: che cosa mi resta ancora da fare?”. Allora l’anziano, alzatosi in piedi, distese le mani verso il cielo e le sue dita divennero come dieci fiaccole accese; e gli disse: “Se vuoi, diventa tutto fuoco!”. L. d’Ayala Valva, Introduzione, in I padri del deserto, .  , Qiqajon, Magnano, 2013, p. 7 I detti Collezione sistematica Il discepolo, inoltre, era tenuto a ,  confidarsi apertamente con la guida poiché anche se questi conosceva il suo cuore, soltanto attraverso un affidamento  sincero era possibile ridimensionare e superare le tentazioni. Come sottolinea Guidalberto Bormolini (monaco e studioso del monachesimo, n. 1967), l’argomento principale dei detti dei padri del deserto è il  . Questi, oltre a essere personificati – si dice che urlano all’orecchio del monaco, lo infastidiscono, lo circondano, lo mettono in pericolo – hanno una natura ambivalente: possono provocare preoccupazioni e impedire la quiete dell’anima ma, se bene indirizzati, conducono a Dio. Per esempio, l’invidia può essere convertita in una sana competitività, che spinge a migliorarsi sempre di più. controllo dei pensieri e delle passioni Le armi indicate contro i cattivi pensieri e le distorsioni delle passioni sono molteplici: si va dalla vera e propria lotta, in genere raccomandata a coloro che sono più forti spiritualmente, alla capacità di smascherarli, anticiparne le  conseguenze, persino prenderli in giro o trattarli con comprensione, come si  racconta che fecero i padri Teodoro e Lucio di Enaton, che per cinquant’anni  si presero gioco dei propri pensieri dicendo: «Dopo quest’inverno ce ne  andremo di qui», ma all’arrivo dell’estate dicevano: «Ce ne andremo dopo  quest’estate». Gli storici hanno rintracciato molti punti di contatto tra le pratiche di  meditazione orientale – in particolare lo yoga – e le esperienze di preghiera  contemplativa dei primi monaci: l’immobilità, l’ , il controllo della  ⇒  esichia respirazione, l’attenzione alla posizione del corpo, la recita continua di una  stessa invocazione, l’astinenza dalla carne e così via. Il fenomeno del monachesimo del deserto si esaurì soprattutto a causa delle  continue incursioni dei beduini, che attaccavano le celle e massacravano  i monaci, e delle che attraversavano la Chiesa. A partire  ▶  dispute dottrinali dal V secolo, in Palestina, cominciarono a essere composte due grandi  collezioni di , giunte fino nostri giorni: detti di padri del deserto la : così chiamata perché nella prima  collezione alfabetico-anonima parte espone i detti dei padri più conosciuti elencati in ordine alfabetico,  mentre nella seconda parte riunisce detti tramandati in forma  anonima. la : organizzata secondo un criterio tematico. collezione sistematica Le prime versioni di queste raccolte ebbero una grande influenza  sulla letteratura monastica successiva e, in particolare, sulla Regola benedettina. : insieme delle Chiese cristiane sorte nel XVI secolo dalla Riforma di Martin Lutero. Chiesa luterana :  Chiesa coopta Chiesa cristiana, diffusa in Egitto, Etiopia, Eritrea e Medio Oriente. È nata dallo scisma successivo al Concilio di Calcedonia (451). : le verità su cu oggi si fonda il credo cattolico furono oggetto di contrasto nella Chiesa dei primi secoli. Per esempio, secondo l'arianesimo, dottrina condannata dal Concilio di Nicea, la natura divina di Gesù era inferiore a quella di Dio padre. dispute dottrinali radici delle parole esichia: questa parola, che deriva dal vocabolo greco , "quiete", costituisce un termine chiave nella letteratura sui padri e le madri del deserto, poiché la quiete era considerata fonte di tutte le virtù monastiche. La quiete deve essere intesa non solo in senso letterale, come solitudine e silenzio, ma anche e specialmente in una prospettiva tutta incentrata sull'interiorità, come uno svuotamento di sé che, attraverso la pratiche ascetica e la preghiera assidua, permette di armonizzare le agitazioni interiori e di accogliere Dio. hesychía ⇒ |  T1 p. 268 Ascesi, solitudine e disciplina nel monachesimo orientale La carta dell'Eremita nei tarocchi di Marsiglia rappresenta un anziano che cammina all'indietro. La lanterna che ha in mano indica la luce divina, la fonte corrugata simboleggia la saggezza, il bastone ondulato il lungo cammino percorso. I significati educativi dei tarocchi sono stati valorizzati soprattutto da Alejandro Jodorowsky (artista cileno, n. 1929), che ne ha ricostruito le raffigurazioni originarie. per immagini Il deserto della Tebaide All’inizio del Quattrocento nella pittura toscana fioriscono le cosiddette Tebaidi, dipinti dedicati  alla vita degli eremiti che nei primi secoli dell’era cristiana si ritirarono nel deserto della Tebaide,  nei pressi della città egiziana di Tebe, per dedicarsi alla preghiera e all’ascesi. I padri e le madri del  deserto impararono ad abitare in questo ambiente inospitale, convivendo con gli animali selvatici. Le raccolte dei loro detti narrano che umani e fiere condividevano gli stessi spazi e collaboravano in  perfetta armonia. Gli animali visitavano i monaci con regolarità, d’altra parte questi ultimi non mangiavano  carne e per alcuni di loro questa scelta era proprio dovuta al rifiuto di uccidere esseri viventi. , dipinto attribuito a Beato Angelico, 1418-1420, Galleria degli Uffizi, Firenze. Tebaide   Antonio Abate L’AUTORE Antonio Abate nasce nell’odierna Qumans,  in Egitto, intorno al 251, da una famiglia di  condizioni agiate. La sua esistenza è stata  narrata dal discepolo Atanasio di Alessandria  nella , che costituisce  Vita di Antonio una delle testimonianze più significative  sui padri del deserto. Alla morte dei genitori,  dopo aver affidato la sorella minore alla  cura di altre donne, Antonio rinuncia all’eredità  e si ritira in solitudine. Per un certo  periodo abita in una grotta nei dintorni del  villaggio natale, procurandosi da vivere con  il lavoro da artigiano; quindi si sposta verso  il Mar Rosso, sul monte Pispir, dove rimane  vent’anni proseguendo il suo cammino di purificazione  e, secondo la leggenda, lottando  contro i tormenti del demonio. Nel frattempo,  la sua fama di diffonde: molti si rivolgono  a lui, in cerca di conforto e di guarigione,  e alcuni chiedono di condividere il suo stile di  vita sotto la sua direzione. Prende posizione  contro le eresie e trascorre i suoi ultimi anni  nel deserto della Tebaide, coltivando un orto  per il suo sostentamento. Muore nel 356, a  105 anni, e viene sepolto dai suoi discepoli in  un luogo segreto. Affresco raffigurante sant’Antonio Abate, 1105-1106, chiesa di Nostra Signora di Asinou, monti Trodos, Cipro.