PAROLA D’ AUTORE ⇒ T1  Ulric Neisser | Le origini del cognitivismo In questo brano l’autore, riprendendo le principali teorie psicologiche, fa il punto  sulle origini del cognitivismo e sui suoi scopi. Si tratta di spiegare quali siano gli  ambiti della psicologia cognitivista rispetto ad altri modelli teorici come il comportamentismo  e la psicoanalisi. , il Mulino, Bologna 1981, pp. 25-32 Conoscenza e realtà L’attività cognitiva è l’attività del conoscere:  l’acquisizione, l’organizzazione e l’uso della conoscenza. È una cosa che viene compiuta dagli  organismi viventi, e in particolare è una cosa che  viene compiuta dagli esseri umani. Per questa  ragione lo studio dei processi cognitivi fa parte  della psicologia, e le teorie cognitive sono teorie  psicologiche. Un tempo questa relazione appariva  così ovvia che non richiedeva commenti.  Allorché, un centinaio di anni fa, la psicologia  emerse come disciplina indipendente. Lo scopo  principale della scienza psicologica era l’analisi  dei “processi mentali”, che normalmente significano  processi cognitivi. Purtroppo, il metodo  principale impiegato per siffatta analisi consisteva  di una forma speciale di introspezione, in  cui osservatori altamente addestrati riferivano  circa l’attività della propria mente cosciente. A  lungo andare, questo metodo si è rivelato insoddisfacente.  A partire dagli anni ’30, esso ha  perso definitivamente credito, l’introspezione è  stata abbandonata (per lo meno in America) e  il lavoro psicologico ha cominciato a concentrarsi  sulla motivazione, l’emozione e l’azione.  Siccome la psicologia riguarda gli esseri umani,  essa non può evitare la responsabilità di  trattare delle questioni fondamentali circa la  natura umana. […] Una teoria psicologica che vada al fondo dei  problemi può modificare le convinzioni di  un’intera società, come ha indubbiamente  fatto, ad esempio, la psicoanalisi. Questo può  avvenire, però, solo se la teoria ha qualcosa da  dire su ciò che la gente fa in situazioni reali e  culturalmente significative. Ciò che dice non  dev’essere banale, e deve fornire spiegazioni  ragionevoli a coloro che partecipano a queste  stesse situazioni. Se una teoria manca di tali  qualità – se non possiede ciò che oggi come  oggi viene definito “validità ecologica” – prima  o poi verrà abbandonata. È proprio in questo senso che appare inadeguata  la concezione di natura umana espressa dagli  psicologi introspezionisti classici. Restrittiva,  eccessivamente razionale, applicabile solo a situazioni  di laboratorio, mancava quasi completamente  di chiarezza esplicativa circa il modo  in cui gli esseri umani interagiscono col mondo  circostante: gli uomini diventano ciò che sono  crescendo in una particolare cultura e in un particolare  ambiente, ma gli introspezionisti non  svilupparono alcuna teoria dello sviluppo cognitivo;  gli uomini sono mossi da motivazioni  che non conoscono e sono formati da esperienze  che non sanno ricordare, ma non v’era alcuna  teoria dei processi inconsci; gli uomini agiscono  in base a ciò che sanno e vengono modificati  dalle conseguenze delle loro azioni, ma non  v’era alcuna seria teoria del comportamento.  Perfino la percezione e la memoria erano interpretate  secondo criteri che avevano ben pochi  contatti con l’esperienza quotidiana. […] Degli approcci emersi dopo, due sono ancora particolarmente attuali: la psicanalisi e il comportamentismo. Essi si sono applicati con successo proprio là dove la psicologia introspezionista aveva fallito. […] I fondatori delle due scuole, Freud e Watson, erano profondamente coscienti che il loro lavoro aveva implicazioni che si protendevano ben oltre lo studio medico e il laboratorio sperimentale. Entrambi si accinsero deliberatamente a cambiare la concezione della natura umana prevalente ai loro tempi. Freud si sforzò di convincere il mondo che le pressioni esercitate dalla libido costituivano la fonte suprema delle motivazioni umane e che l’attività cosciente occupava solo la parte più piccola e debole della mente. Il suo successo fu decisamente notevole […]. Watson e il suo successore Skinner ritenevano che gli uomini fossero pressoché infinitamente malleabili, e che le conseguenze del comportamento umano fossero d’importanza cruciale, importanza non attribuita invece all’attività mentale che accompagna il comportamento stesso. Tali ipotesi appaiono oggi ampiamente accettate, come si può giudicare dal crescente impiego, in numerosi contesti, della modificazione del comportamento e della terapia comportamentale, nonché dal crescente timore che la scienza comportamentale possa quanto prima essere usata per manipolare la gente su vasta scala. A partire dalla prima guerra mondiale fino ai  primi anni ’60, il comportamentismo e la psicoanalisi  (o le discipline che ne sono derivate)  hanno a tal punto dominato la psicologia  in America che i processi cognitivi sono stati  quasi completamente ignorati. Non erano  molti gli psicologi interessati al problema di  come venga acquisita la conoscenza. La percezione,  che è l’atto cognitivo più importante,  venne studiata principalmente da un ristretto  gruppo di scienziati seguaci della tradizione  della e da pochi altri psicologi che la Gestalt voravano sulla misurazione e la fisiologia dei  processi sensoriali. […] In questi ultimi anni tale situazione ha subito  cambiamenti radicali. I processi mentali sono  tornati ad essere un vivace centro d’interesse.  Ha cominciato a svilupparsi un nuovo campo  di studi definito psicologia cognitivista, che  tratta temi quali percezione, memoria, attenzione,  riconoscimento di pattern, soluzione di  problemi, psicologia del linguaggio, sviluppo  cognitivo, e una miriade di altri argomenti lasciati  a sonnecchiare per mezzo secolo. Numerose sono state le ragioni di questa evoluzione ma la più importante era probabilmente connessa con l’avvento del calcolatore e questo non tanto perché i calcolatori consentissero più agevoli sperimentazioni o analisi dei dati, cosa che peraltro facevano, quanto perché le attività stesse del calcolatore sembravano in qualche maniera affini ai processi cognitivi. I calcolatori accettano le informazioni, manipolano i simboli, immagazzinano i dati nella “memoria” e li recuperano quando occorre, classificano gli input, riconoscono i pattern, e così via. Non era tanto importante che facessero queste operazioni proprio come fanno gli uomini, ma era importante che le facessero. L’avvento del calcolatore ha fornito la sicurezza, quanto mai necessaria, che i processi cognitivi fossero reali e che questi processi potessero essere studiati e forse compresi. Man mano che andava sviluppandosi il concetto di elaborazione dell’informazione, divenne scopo supremo del nuovo campo di studi il tentativo di seguire il flusso di informazioni nell’ambito del “sistema” (ad esempio, la mente). Rispondi Perché la concezione della natura umana espressa  1. dagli introspezionisti appare inadeguata? Quali sono i due approcci ancora attuali? 2. Perché l’avvento del calcolatore si è rivelato di  3. importanza fondamentale?