I grandi temi Il difficile rapporto con la corte 1 A distanza di poco più di due decenni, Ariosto e Tasso vivono nella stessa corte, quella ferrarese degli Estensi. Il primo, addirittura, vi si trasferisce bambino e, divenuto poeta, vi si adatta, con discrezione e realismo, tollerando contraddizioni e ipocrisie e mitigando (come si è visto nelle ,  T1, p. 723 e T2, p. 727) la protesta e la disapprovazione. Senza mai rinunciare alla sua dignità – al pari dei contemporanei Machiavelli e Guicciardini, costretti anch’essi a dolorose sconfitte personali – , per quanto spregevole possa essere, senza mai lasciarsene sopraffare, osservando con equilibrio e le miserie dell’esistenza. Ariosto e Tasso: due modi diversi di vivere a corte Satire ▶ ▶  Ariosto fronteggia la realtà con coscienza critica , invece, a corte arriva da lontano, desideroso di gloria e trattato come un ospite eccezionale. E vi arriva con la convinzione di trovare un pubblico aristocratico, fatto di spiriti eletti, che possa apprezzare e capire fino in fondo la sua arte. In altre parole, , insidiato dal conformismo e dalla presenza vigile del tribunale dell’Inquisizione. Tasso idea­lizza un ambiente che invece si rivela un luogo di invidie e maldicenze Al contrario di Ariosto, Tasso non tollera l’ipocrisia dell’ , che lo fa sentire un . Condizione da cui cerca di riscattarsi con il lavoro letterario. ambiente cortigiano disadattato La corte quale regno di bellezza, di genuina naturalezza e di splendore dell’arte esiste ormai solo nella fantasia di Tasso, che vi proietta tutta la propria : i cortigiani sono per lui gloriosi cavalieri armati in difesa della fede, le principesse eleganti fanciulle a cui promettere amore e dedizione, il principe un magnanimo eroe pronto a guidare una nuova crociata e, al tempo stesso, disposto a sostenere con grande generosità l’attività letteraria. La si manifesta invece agli occhi del poeta , e diversi i suoi protagonisti: tutt’altro che anime gentili impegnate in nobili imprese; piuttosto, piccoli uomini alle prese con litigi e miserie quotidiane. Il conflitto tra idea­le e reale sognante immaginazione realtà molto diversa Certo, sopravvivono ancora l’abbagliante e le : feste, spettacoli, concerti. Ma tali cerimonie – in cui Tasso vede rispecchiata la più profonda anima rinascimentale – «costituivano l’ultimo lusso d’un mondo al tramonto, mentre dietro l’aurea facciata la diffidenza e il sospetto, l’invidia e la gelosia, ma soprattutto l’abile dissimulazione e il gioco diplomatico, avevano corrotto l’ambiente cortigiano» (Caretti). vitalità esteriore apparenze lussuose A questa degenerazione Tasso non sa rispondere con disincanto o spregiudicatezza: reagisce invece con crescente instabilità, con un tormento inappagato, con un che lo porta a sentirsi uno , un disadattato. Serenità, ironia e dominio delle passioni sono per lui impossibili: la coscienza dello scarto tra sé e il modello del cortigiano (incarnato, tra l’altro, dalla figura del padre Bernardo) accentua la frustrante percezione di essere un ospite indesiderato, vittima di un mondo che non lo comprende. Il valore assoluto della letteratura senso di disagio sradicato Del resto, se Ariosto rivendica il proprio diritto a essere uomo tra gli uomini e a cercare il giusto mezzo nella vita e nell’arte, Tasso non può concepire la propria esistenza se non nell’inestricabile intreccio con la letteratura: in un’epoca che soffoca la libertà espressiva e impone di banalizzare l’ispirazione dentro schemi forzati (retorici o religiosi), egli tenta – tra le infinite incongruenze della sua personalità e rimbalzando tra insoddisfazione, autocensura e ricerca dell’ortodossia – di restituire alla ancora , ridando dignità alla poesia. È una ricerca disperata, che lo porta a un conflitto con l’autorità da cui esce sconfitto, ma che, al contempo, fa di lui, con tutte le contraddizioni della sua psiche, . letteratura un ruolo conoscitivo il primo grande letterato della modernità