T5 Il risveglio del giovin signore , vv. 33-143 Il Mattino Al proemio dell’opera segue la descrizione del lungo sonno del giovin signore, che giace ancora pigramente fra le lenzuola mentre il resto del mondo è già da molto tempo attivo e laborioso. Il poeta ne descrive minutamente le occupazioni per evidenziare la vacuità della sua vita.  Endecasillabi sciolti. Metro  e vita  Vita superflua attiva PARAFRASI Sorge il Mattino in compagnìa dell’Alba innanzi al Sol che di poi grande appare su l’estremo orizzonte a render lieti 35     gli animali e le piante e i campi e l’onde. Allora il buon villan sorge dal caro letto cui la fedel sposa, e i minori suoi figlioletti intepidìr la notte; poi sul collo recando i sacri arnesi 40     che prima ritrovàr Cerere, e Pale, va col bue lento innanzi al campo, e scuote lungo il picciol sentier da’ curvi rami il rugiadoso umor che, quasi gemma, i nascenti del Sol raggi rifrange. 45     Allora sorge il Fabbro, e la sonante officina riapre, e all’opre torna l’altro dì non perfette, o se di chiave ardua e ferrati ingegni all’inquieto ricco l’arche assecura, o se d’argento 50     e d’oro incider vuol giojelli e vasi per ornamento a nuove spose o a mense.  Il mattino sorge in compagnia dell’alba, prima del sole, che poi appare grande all’orizzonte a rallegrare gli animali, le piante, le terre e le acque. In quel momento l’operoso contadino ( ) si alza ( ) dal caro letto che ( ) di notte la sposa fedele e i suoi figli più piccoli ( ) hanno riscaldato ( ); poi, portando sulle spalle i sacri attrezzi del lavoro agricolo ( ) inventati ( ) da Cerere e da Pale, va al campo con il bue, che lo precede lentamente ( ), e lungo il piccolo sentiero scuote dai rami ricurvi le gocce di rugiada, che, come gemme preziose, rifrangono i raggi del sole che sorge ( ). Contemporaneamente si alza il fabbro, e riapre la rumorosa ( ) officina, e riprende i lavori non finiti ( ) il giorno precedente ( ), sia che ( ) renda sicure le casseforti ( ) al ricco preoccupato ( ) con chiavi difficili da contraffare ( ) e congegni di ferro ( ), sia che intenda intagliare ( ) gioielli e vasi d’argento e d’oro, per ornamento di spose novelle o di mense. 33-52 buon villan sorge cui minori intepidìr arnesi che prima ritrovàr lento nascenti sonante opre… non perfette l’altro dì o se l’arche assecura inquieto di chiave ardua ferrati ingegni o se… incider vuol il termine allude genericamente alle superfici acquee (laghi, fiumi, mari). onde: 36 il poeta allude alla necessità, diffusa tra le classi umili, di dormire in più persone nel medesimo letto a causa della mancanza di spazio. cui… la notte: 38-39 perché inventati dalle divinità, ma anche perché Parini attribuisce un valore quasi sacrale al lavoro dei campi. sacri: 40 dee, rispettivamente, dell’agricoltura e della pastorizia. Cerere, e Pale: 41 per la paura dei ladri. inquieto: 49 Ma che? tu inorridisci, e mostri in capo, qual istrice pungente, irti i capegli al suon di mie parole? Ah non è questo, 55     Signore, il tuo mattin. Tu col cadente sol non sedesti a parca mensa, e al lume dell’incerto crepuscolo non gisti jeri a corcarti in male agiate piume, come dannato è a far l’umile vulgo. 60      Ma come? Al suono delle mie parole tu inorridisci e ti si rizzano i capelli in testa, come fossi un istrice pungente? Ah, non è questo, signore, il tuo mattino. Tu al tramonto ( ) non ti sei seduto a una tavola frugale ( ), e ieri, alla luce tremante del crepuscolo, non sei andato a dormire in un duro letto ( ), come è condannato a fare il popolo comune ( ). 53-60 col cadente sol parca mensa male agiate piume umile vulgo al nobile si rizzano i capelli in testa, come si dice comunemente, per lo sbigottimento o per il disprezzo. irti i capegli: 54 A voi celeste prole, a voi concilio di Semidei terreni altro concesse Giove benigno: e con altr’arti e leggi per novo calle a me convien guidarvi.  A voi, figli del cielo ( ), a voi, consesso ( ) di semidei in terra, il benevolo Giove ha concesso altro destino ( ): e a me spetta ( ) guidarvi per una nuova strada ( ) con altri espedienti ( ) e con altre regole ( ). 61-64 celeste prole concilio altro convien novo calle arti leggi a voi aristocratici. A voi: 61 Tu tra le veglie, e le canore scene, 65     e il patetico gioco oltre più assai producesti la notte; e stanco alfine in aureo cocchio, col fragor di calde precipitose rote, e il calpestìo di volanti corsier, lunge agitasti 70     il queto aere notturno, e le tenèbre con fiaccole superbe intorno apristi, siccome allor che il Siculo terreno dall’uno all’altro mar rimbombar feo Pluto col carro a cui splendeano innanzi 75     le tede de le Furie anguicrinite.  Tu hai prolungato ( ) la notte assai oltre, tra le feste, il teatro d’opera ( ) e l’emozionante ( ) gioco d’azzardo; e infine, stanco, in una carrozza dorata, tra il rumore di ruote rapide ( ), riscaldate dalla corsa ( ), e il calpestio di velocissimi cavalli ( ), hai sconvolto per un lungo tratto ( ) la tranquilla aria notturna, e hai squarciato le tenebre intorno a te con fiaccole potenti, così come quando ( ) Plutone fece ( ) rimbombare la Sicilia da un mare all’altro, guidando il carro davanti a cui splendevano le torce ( ) delle Furie che hanno serpenti al posto dei capelli ( ). 65-76 producesti canore scene patetico precipitose calde volanti corsier lunge agitasti siccome allor che feo tede anguicrinite perché fonte di pathos, cioè di emozioni. oltre più assai: rispetto al tramonto, il del v. 58. patetico: 66 crepuscolo la carrozza è ricoperta di fregi dorati. aureo cocchio: 68 superbe perché poste in alto sulla carrozza, «ma anche perché partecipi dell’alterigia di questa» (Ferroni). fiaccole superbe: 72 la corsa della carrozza del giovin signore è paragonata a quella del carro di Plutone che rapì Proserpina (il celebre episodio mitologico è raccontato, tra gli altri, dal poe­ta latino Ovidio nel quinto libro delle ). siccome allor… anguicrinite: 73-76 Metamorfosi Così tornasti a la magion; ma quivi a novi studj ti attendea la mensa cui ricoprien pruriginosi cibi e licor lieti di Francesi colli, 80     o d’Ispani, o di Toschi, o l’Ongarese bottiglia a cui di verde edera Bacco concedette corona; e disse: siedi de le mense reina. Alfine il Sonno ti sprimacciò le morbide coltrici 85     di propria mano, ove, te accolto, il fido servo calò le seriche cortine: e a te soavemente i lumi chiuse il gallo che li suole aprire altrui.  Così sei tornato al tuo palazzo ( ); ma qui ti attendeva a nuove occupazioni ( ) la tavola imbandita, che ( ) ricoprivano cibi appetitosi ( ) e vini inebrianti ( ) delle colline francesi, spagnole o toscane, oppure una bottiglia ungherese, alla quale Bacco concedette la corona di edera verde; e disse: «Prendi posto come regina delle mense». Infine il Sonno ti ha preparato con le proprie mani il morbido letto ( ), sul quale, dopo che vi sei stato accolto, il servo fedele ha fatto scendere ( ) le tende di seta ( ); e ti ha chiuso dolcemente gli occhi il canto del gallo che di solito li apre agli altri. 77-89 magion a novi studj cui pruriginosi licor lieti ti sprimacciò le morbide coltrici calò seriche cortine con significato causativo: “che danno letizia”, “che inebriano”. lieti: 80 una bottiglia di Tokaji, vino ungherese assai pregiato, tanto da essere scelto da Bacco, dio del vino, come il migliore. Ongarese bottiglia: 81-82 le tende di seta del letto a baldacchino. seriche cortine: 87 Dritto è perciò, che a te gli stanchi sensi 90     non sciolga da’ papaveri tenaci Mòrfeo prima, che già grande il giorno tenti di penetrar fra gli spiragli de le dorate imposte, e la parete pingano a stento in alcun lato i raggi 95     del Sol ch’eccelso a te pende sul capo. Or qui principio le leggiadre cure denno aver del tuo giorno; e quinci io debbo sciorre il mio legno, e co’ precetti miei te ad alte imprese ammaestrar cantando. 100   È quindi giusto ( ) che Morfeo non liberi i tuoi sensi stanchi dal profondo torpore ( ) prima che il giorno già pieno ( ) cerchi di penetrare fra gli spiragli delle imposte dorate, e prima che i raggi del sole, che sta sospeso ( ) alto ( ) sulla tua testa, illuminino appena in qualche punto ( ) la parete della tua camera da letto. Ora qui devono cominciare ( ) le piacevoli occupazioni ( ) della tua giornata; e da questo momento ( ) io devo sciogliere ( ) la mia nave ( ) dagli ormeggi, e, attraverso la poesia ( ), prepararti con i miei insegnamenti ( ) a imprese importanti. 90-100 Dritto da’ papaveri tenaci grande pende eccelso a stento in alcun lato principio… denno aver leggiadre cure quinci sciorre legno cantando precetti il poeta si riferisce, per metonimia, alle proprietà soporifere dell’oppio, che si ricava dai papaveri. papaveri tenaci: 91 il dio del sonno. Mòrfeo: 92 fuor di metafora, “dare inizio alla mia opera”. Sembra voluta, sempre con intento ironico, l’eco dantesca: «Per correr miglior acque alza le vele / omai la navicella del mio ingegno / che lascia dietro a sé mar sì crudele» ( , I, 1-3). sciorre il mio legno: 99 Purgatorio Già i valetti gentili udìr lo squillo del vicino metal cui da lontano scosse tua man col propagato moto; e accorser pronti a spalancar gli opposti schermi a la luce, e rigidi osservàro, 105  che con tua pena non osasse Febo entrar diretto a saettarti i lumi. Ergiti or tu alcun poco, e sì ti appoggia alli origlieri i quai lenti gradando all’omero ti fan molle sostegno. 110  Poi coll’indice destro, lieve lieve sopra gli occhi scorrendo, indi dilegua quel che riman de la Cimmeria nebbia; e de’ labbri formando un picciol arco, dolce a vedersi, tacito sbadiglia. 115  O, se te in sì gentile atto mirasse il duro capitan qualor tra l’armi, sgangherando le labbra, innalza un grido lacerator di ben costrutti orecchi, onde a le squadre varj moti impone; 120  se te mirasse allor, certo vergogna avria di sé più che Minerva il giorno che, di flauto sonando, al fonte scorse il turpe aspetto de le guance enfiate.  Già i nobili servitori ( ) udirono ( ) lo squillo del campanello ( ) a loro vicino che da lontano la tua mano agitò con il propagarsi del movimento [di una funicella]; e accorsero, pronti a spalancare le imposte ( ) che proteggono dalla luce (opposti a la luce), e pieni di attenzione ( ) si adoperarono in modo ( ) che il sole ( ) non osasse con tuo fastidio ( ) a ferirti ( ) direttamente gli occhi ( ). Ora tu sollèvati ( ) un pochino ( ) e appoggiati dunque ai cuscini ( ), i quali, disposti uno sull’altro a scalare ( ) ti porgono alle spalle ( ) un morbido ( ) sostegno. Poi con l’indice destro, passando ( ) leggero leggero ( ) sopra gli occhi, da lì ( ) allontana ( ) quel che resta del sonno ( ); e inarcando appena le labbra ( ), cosa gradevole ( ) a vedersi, sbadiglia silenziosamente ( ). O se ti vedesse mentre compi un atto così raffinato ( ) il duro capitano quando, in una situazione di guerra ( ), dilatando smodatamente la bocca ( ), lancia ( ) un grido che lacera le robuste ( ) orecchie, per mezzo del quale ( ) ordina alle squadre [dei soldati] vari movimenti ( ); se allora ti vedesse, certamente avrebbe vergogna di sé più di quella provata da Minerva il giorno che, suonando il flauto, vide riflesso nell’acqua ( ) il brutto ( ) aspetto delle sue guance gonfie ( ). 101-124 valetti gentili udìr metal schermi rigidi osservàro Febo pena a saettarti lumi Ergiti alcun poco alli origlieri lenti gradando all’omero molle scorrendo lieve lieve indi dilegua de la Cimmeria nebbia de’ labbri formando un piccol arco dolce tacito gentile tra l’armi sgangherando le labbra innalza ben costrutti onde moti fonte turpe enfiate Apollo, personificazione del Sole. Febo: 106 con questo imperativo si dà inizio all’attività didattica vera e propria del precettore. Ergiti: 108 si tratta di una perifrasi che indica il “sonno”. Secondo Omero, la popolazione dei Cimmeri abitava non lontano dall’Ade, in una regione quasi del tutto coperta dalla nebbia. Qui il poeta latino Ovidio vi colloca la dimora del sonno. cimmeria nebbia: 113 l’espressione latineggiante ha una chiara valenza ironica. dolce a vedersi: 115 l’episodio, riportato da molti autori antichi (tra questi, i latini Ovidio e Properzio), vede protagonista la dea Minerva: derisa dalle altre divinità mentre suonava il flauto, specchiandosi in una fonte e vedendo le sue guance alterate dallo sforzo di soffiare, gettò via lo strumento musicale. Minerva… enfiate: 122-124 Ma già il ben pettinato entrar di novo 125  tuo damigello i’ veggo; egli a te chiede quale oggi più de le bevande usate sorbir ti piaccia in preziosa tazza: indiche merci son tazze e bevande; scegli qual più desii. S’oggi ti giova 130  porger dolci allo stomaco fomenti, sì che con legge il natural calore v’arda temprato, e al digerir ti vaglia, scegli ’l brun cioccolatte, onde tributo ti dà il Guatimalese e il Caribbèo 135  c’ha di barbare penne avvolto il crine: ma se nojosa ipocondrìa t’opprime, o troppo intorno a le vezzose membra adipe cresce, de’ tuoi labbri onora la nettarea bevanda ove abbronzato 140  fuma, ed arde il legume a te d’Aleppo giunto, e da Moca che di mille navi popolata mai sempre insuperbisce.  Ma io vedo ( ) già entrare di nuovo il tuo servitore ( ) ben pettinato; egli ti chiede quale delle consuete ( ) bevande tu gradisca ( ) oggi sorbire nella tazza preziosa: tazze e bevande sono prodotti ( ) provenienti dall’Oriente ( ); scegli ciò che (  desideri di più. Se oggi ti piace ( ) offrire allo stomaco ristori caldi ( ), così che il calore naturale vi arda in modo regolato ( ), nella giusta misura ( ), e ti favorisca la digestione ( ), scegli la scura ( ) cioccolata, della quale ( ) ti fanno offerta ( ) l’abitante del Guatemala ( ) e quello dei Caraibi ( ), che hanno i capelli ( ) circondati ( ) di penne secondo il costume barbarico ( ): ma se uno stato di malinconia ( ) ti appesantisce ( ), o cresce troppo grasso ( ) intorno alle tue belle ( ) membra, onora della tua bocca la bevanda deliziosa ( ) nella quale, tostato ( ) scotta e fuma il chicco di caffè ( ) giunto a te da Aleppo e da Moka, che è sempre ( ) orgogliosa ( ), affollata di tantissime ( ) navi. 125-143 i’ veggo damigello usate ti piaccia merce indiche quel) ti giova dolci… fomenti temprato con legge al digerir ti vaglia ’l brun onde tributo ti dà il Guatimalese il Caribbèo il crine avvolto barbare ipocondrìa t’opprime adipe vezzose nettarea abbronzato legume mai sempre insuperbisce mille l’India sta ad indicare l’Oriente e, ancora più in generale, paesi lontani ed esotici. indiche: 129 il cioccolato, introdotto in Europa nel Cinquecento, era particolarmente gradito presso l’aristocrazia settecentesca per le sue benefiche proprietà digestive. ’l brun cioccolatte: 134 il Guatemala e le isole dei Caraibi erano (e sono tuttora) produttori di cacao. il Guatimalese e il Caribbèo: 135 il caffè è equiparato al nettare degli dei. nettarea bevanda: 140 è uno . fuma, ed arde: 141 hysteron proteron celebri centri esportatori di caffè, rispettivamente in Siria e nello Yemen. Aleppo… Moca: 141-142  : forma rafforzativa. mai sempre 143  >> pagina 442  Dentro il TESTO I contenuti tematici Il brano è tutto giocato sul contrasto fra il pigro risveglio del giovin signore e la vita che già gli ferve intorno. La prima figura evocata è quella del contadino che si alza all’alba, si carica in spalla gli attrezzi e va verso i campi con il bue. Il prezioso dettaglio dei rami da cui cade la rugiada, scintillante come le gemme (vv. 44-45), e i richiami classici (per esempio alle dee Cerere e Pale, v. 41) sono elementi ancora tipici del , grazie al quale l’autore manifesta la sua . gusto arcadico predilezione per la vita rurale rispetto a quella urbana Da quel gusto si discosta invece nettamente la figura del fabbro, il cui duro lavoro è ricondotto alla soddisfazione dei capricci della classe benestante. L’accenno al ricco inquieto per la paura dei ladri è per il poeta il modo di stigmatizzare i ceti abbienti e i loro privilegi, che essi sentono costantemente in pericolo. Un’analoga, è contenuta nella descrizione del terrore e della stizza che il giovin signore prova a sentir parlare di modesti operai e contadini. Egli inorridisce al semplice pensiero di doversi alzare all’alba e di svolgere un simile lavoro: i capelli gli si rizzano sul capo, in un’immagine comica che colpisce l’attenzione del lettore, infrangendo bruscamente l’idilliaca descrizione dei lavoratori operosi. feroce ironia I lavoratori e il nullafacente Segue la che ha preceduto il tardo risveglio del nobile rampollo: con enfasi e profusione di immagini mitologiche viene delineata la , che include ricche cene notturne e un sonno che si protrae fino a giorno inoltrato. rievocazione della notte vita mondana degli aristocratici È a questo punto che la sequenza del risveglio elenca le diverse fasi che scandiscono il difficile mattino del fatuo damerino, costretto alla faticosa impresa di alzarsi dal letto. L’effetto straniante, con il quale viene parodizzata la vacuità della sua esistenza, si manifesta ora con un elogio così iperbolico da evidenziare l’aspetto ridicolo: l’apertura attenta delle imposte da parte dei servitori permetterà infatti al rampollo di non essere offeso dalla luce filtrante dei raggi mattutini, preservandogli una delicata oscurità. (vv. 106-107), intima il precettore, arrivando ad accusare nientemeno che il Sole, il divino Apollo della mitologia classica, di , cioè di tracotanza, nell’ardire di mancare di rispetto a un dio in terra. Non osasse Febo / entrar diretto hybris Allo stesso modo, l’atto finale, incentrato sulla scelta della bevanda da assaporare, suggella enfaticamente l’indecente squallore di un’esistenza infima. Il è presentato infatti come una questione dirimente, della massima gravità: meglio il cioccolato, offerto dal lavoro di individui di civiltà lontane ma orgogliosi di rendere omaggio al giovin signore, o il caffè, più adatto a sollevare l’umore dei nobili settecenteschi, affetti dall’ (v. 137)? dilemma cioccolato-caffè ipocondrìa Dal sonno al caffè  >> pagina 443  Le scelte stilistiche L’uso della mitologia risponde in Parini a diversi obiettivi. Il riferimento a Cerere e a Pale (v. 41) appare serio e quasi commosso, perché allude alla sacralità del lavoro nei campi, un valore in cui il poeta crede profondamente. Al contrario, i successivi rimandi alle divinità antiche, introdotti dall’assimilazione dei nobili a una (v. 61) e a un / (vv. 61-62), presentano un’evidente , risultando decisamente iperbolici rispetto al giovin signore con cui vengono posti in rapporto: la folle corsa della carrozza paragonata a quella del carro di Plutone che rapisce Proserpina, le fiaccole che illuminano il percorso accostate alle torce portate dalle Furie (vv. 73-76), il Sonno personificato che, con sollecitudine quasi paterna, prepara il letto del giovane (vv. 84-86) la sgradevolezza estetica di Minerva mentre suona il flauto (vv. 122-124) hanno un effetto satirico perché la sproporzione tra la solennità delle immagini e la banalità della vita e delle occupazioni del nobile non fanno che rendere ridicolo quest’ultimo. celeste prole concilio di Semidei terreni funzione ironica e sarcastica L’uso della mitologia La denuncia dei vizi di un’intera classe sociale (è significativo, in tal senso, che al v. 61 si passi temporaneamente dalla seconda persona singolare alla seconda plurale) non è in contrasto con la base classicistica della poesia pariniana. L’adesione alle tesi illuministiche e la dimensione di impegno civile che l’autore attribuisce al proprio lavoro vanno di pari passo con la sua su cui Parini si era formato. ricerca di uno stile elevato e del decoro formale tipico dei classici latini Qui, per esempio, lo stile del passo è sostenuto, oltre che da un lessico prezioso e aulico, ricco di latinismi ( , 64; , v. 67; , v. 76; , v. 76, e così via), anche dal ricorso a una cospicua serie di figure retoriche. Si trovano artifici fonosimbolici, come la fitta successione di accenti e di parole brevi (quasi tutte di due sillabe) del v. 42, , con cui il poeta «fa quasi sentire la cadenza dei tardi passi del bue» (Pinelli); o come i «cadenzati effetti sonori» (Ferroni) del v. 74, , che riproducono il rimbombo del carro di Plutone. Si trovano anafore ( , vv. 37 e 46, a sottolineare l’accordo tra la vita dei lavoratori e i ritmi della natura; […] , v. 61, con un chiaro valore ironico nei confronti di quella e di quel rappresentati dall’oziosa nobiltà settecentesca). Compaiono, ancora, numerosi (come quello tra i vv. 49 e 50, / , che introduce un ulteriore motivo di critica sociale); ipallagi ( , v. 45; / , vv. 57-58); , v. 136; sineddochi ( , v. 59); metonimie ( , v. 91; , v. 99); metafore (la stessa espressione , v. 99, , v. 102, che assimila la poesia alla navigazione). Sul piano sintattico, infine, si trovano i consueti, numerosissimi iperbati, che contribuiscono a innalzare il tono dell’opera. convien producesti tede anguicrinite va col bue lento innanzi al campo, e scuote dall’uno all’altro mar rimbombar feo Allora A voi a voi celeste prole concilio di Semidei enjambement inquieto ricco i nascenti del Sol raggi al lume dell’incerto crepuscolo di barbare penne male agiate piume papaveri tenaci il mio legno sciorre il mio legno metal Una preziosa tessitura retorica Verso le COMPETENZE Comprendere Che cosa succede nel “mondo comune” quando sorge il sole? 1 Perché il giovin signore inorridisce alle parole del suo precettore? 2 Come ha trascorso la serata e la notte precedenti il giovane nobile? 3 Analizzare I modi di vita antichi e “naturali” sono spesso posti da Parini in contrasto con questo brano? In che modo tale contrapposizione si lega a quella tra popolo e nobiltà? 4 quelli del suo tempo. Quali sono i primi e i secondi in La poesia pariniana tende spesso a nobilitare aspetti banali e prosaici del quotid 5 iano. In questo brano, dove si nota un simile approccio? Spiega il significato delle ipallagi, delle sineddochi e delle metonimie segnalate nell’analisi. 6 Rintraccia nel testo tre esempi di iperbato. 7  >> pagina 444  Interpretare Quale atteggiamento ha l’istitutore nei confronti del suo allievo? È severo o lassista? Motiva la tua risposta facendo opportuni riferimenti al testo. 8 Perché Parini rappresenta in toni ameni il lavoro dei campi? Rispondi facendo riferimento a quanto hai studiato sull’autore. 9 Produrre  Scrivi un testo narrativo di circa 40 righe, di contenuto reale o di invenzione, improntato a tua scelta a un tono serio, umoristico o tragicomico, dal titolo  . 10 Scrivere per raccontare. Quel giorno in cui sono rimasto a letto fino a tardi T6 La vergine cuccia , vv. 503-556 Il Mezzogiorno L’episodio della vergine cuccia (qui riprodotto secondo il testo dell’edizione del del 1765) è uno dei più noti del , e costituisce un esempio delle condizioni cui doveva sottostare la servitù nelle case dei nobili. Un servitore, la cui unica colpa consiste nell’aver reagito contro una cagnetta che l’ha morso, viene immediatamente licenziato, e la sua famiglia finisce in miseria. Lo sprezzo della sofferenza umana in nome di una malintesa sensibilità “animalista” mostra in maniera tragicomica le conseguenze della disuguaglianza tra individui di diverse classi sociali. Lo spunto per ricordare l’episodio è fornito alla dama dalla perorazione a favore degli animali da parte di un commensale vegetariano (riportata tra virgolette all’inizio del brano). Mezzogiorno Giorno Endecasillabi sciolti. METRO Il e la servo cagnetta Parafrasi «Pera colui che prima osò la mano armata alzar su l’innocente agnella, e sul placido bue: né il truculento 505  cor gli piegàro i teneri belati né i pietosi mugiti né le molli lingue lambenti tortuosamente la man che il loro fato, ahimè, stringea».  «Possa morire ( ) colui che per primo ( ) osò alzare la mano armata contro l’agnellina innocente e il bue tranquillo: non gli impietosirono ( ) il cuore crudele ( ) i teneri belati né i penosi ( ) muggiti né le umide ( ) lingue che leccavano tutto intorno ( ) la mano che, purtroppo ( ), stringeva in pugno il loro destino ( )». 503-509 Pera prima piegàro il truculento cor pietosi molli lambenti tortuosamente ahimè fato in senso attivo, “che suscitano pietà”. pietosi: 507 Tal ei parla, o Signore; e sorge intanto 510  al suo pietoso favellar dagli occhi de la tua Dama dolce lagrimetta pari a le stille tremule, brillanti che a la nova stagion gemendo vanno dai palmiti di Bacco entro commossi 515  al tiepido spirar de le prim’aure fecondatrici. Or le sovviene il giorno, ahi fero giorno! allor che la sua bella vergine cuccia de le Grazie alunna, giovenilmente vezzeggiando, il piede 520  villan del servo con l’eburneo dente segnò di lieve nota: ed egli audace con sacrilego piè lanciolla: e quella tre volte rotolò; tre volte scosse gli scompigliati peli, e da le molli 525  nari soffiò la polvere rodente. Indi i gemiti alzando: aita aita parea dicesse; e da le aurate volte a lei l’impietosita Eco rispose: e dagl’infimi chiostri i mesti servi 530  asceser tutti; e da le somme stanze le damigelle pallide tremanti precipitàro. Accorse ognuno; il volto fu spruzzato d’essenze a la tua Dama; ella rinvenne alfin: l’ira, il dolore 535  l’agitavano ancor; fulminei sguardi gettò sul servo, e con languida voce chiamò tre volte la sua cuccia: e questa al sen le corse; in suo tenor vendetta chieder sembrolle: e tu vendetta avesti 540  vergine cuccia de le Grazie alunna. L’empio servo tremò; con gli occhi al suolo udì la sua condanna. A lui non valse merito quadrilustre; a lui non valse zelo d’arcani uficj: in van per lui 545  fu pregato e promesso; ei nudo andonne dell’assisa spogliato ond’era un giorno venerabile al vulgo. In van novello Signor sperò; ché le pietose dame inorridìro, e del misfatto atroce 550  odiàr l’autore. Il misero si giacque con la squallida prole, e con la nuda consorte a lato su la via spargendo al passeggiere inutile lamento: e tu vergine cuccia, idol placato 555  da le vittime umane, isti superba.  Così egli parla, o nobile signore; e durante questo compassionevole discorso ( ) dagli occhi della tua dama spunta una tenera lacrimuccia, paragonabile ( ) alle tremule, brillanti gocce di linfa ( ) che in primavera ( ) stillano ( ) dai tralci di vite ( ) vivificati al loro interno ( ) dal tiepido soffio delle prime brezze ( ) portatrici di fecondità. Ora le torna in mente il giorno, ahimè crudele ( ), in cui la sua bella giovane cagnetta ( ), allevata dalle Grazie, giocando come fanno i cuccioli ( ), con i suoi dentini d’avorio ( ) diede un leggero morso ( ) al rozzo ( ) piede del servo: e lui, temerario, con il piede sacrilego la allontanò da sé ( ); ed essa rotolò per tre volte; per tre volte agitò il pelo scompigliato, e dalle umide narici soffiò via la polvere irritante ( ). Quindi, elevando guaiti ( ), sembrava che dicesse: aiuto, aiuto; e dai soffitti dorati ( ) le rispose impietosita la ninfa Eco: e dalle stanze più basse ( ) salirono tutti i servi tristi; e dalle stanze più alte si precipitarono le damigelle pallide e spaventate. Arrivarono tutti; il viso della tua dama fu spruzzato di profumi ( ); alla fine ella si riprese: l’ira e il dolore l’agitavano ancora; gettò sguardi fulminanti ( ) sul servo, e con debole ( ) voce chiamò tre volte la cagnolina: e questa le corse al petto; con il suo atteggiamento ( ) le sembrò chiedere vendetta: e tu avesti la tua vendetta, giovane cagnetta allevata dalle Grazie. L’empio servo tremò; con gli occhi bassi ascoltò la propria condanna. Non gli fu d’aiuto l’aver lavorato in quella casa per vent’anni ( ); non gli fu d’aiuto l’affidabilità mostrata nel condurre a termine incarichi segreti ( ) invano furono pronunciate da parte sua preghiere e promesse; egli se ne andò da quella casa senza nulla ( ), spogliato di quella livrea ( 510-556 pietoso favellar pari stille a la nova stagion gemendo vanno palmiti di Bacco entro commossi prim’aure fero vergine cuccia giovenilmente vezzeggiando eburneo dente segnò di lieve nota villan lanciolla rodente i gemiti alzando aurate volte infimi chiostri essenze fulminei languida in suo tenor merito quadrilustre zelo d’arcani uficj nudo assisa ) per la quale ( ond’ ) in precedenza ( un giorno ) veniva rispettato dal popolo. Invano sperò di trovare un nuovo padrone ( novello Signor ); poiché le nobildonne pietose inorridirono, e odiarono l’autore dell’atroce misfatto. L’infelice giacque sulla strada con i figli smunti ( squallida prole ) e con accanto la moglie ormai vestita di stracci ( nuda ), rivolgendo ai passanti inutili richieste di elemosina ( inutile lamento ): e tu, giovane cagnetta, potesti andartene fiera ( isti superba ), come una divinità ( idol ) placata da sacrifici umani. egli, il commensale vegetariano che ha appena parlato. ei: 510 la nobildonna cui il giovin signore fa da cavalier servente. de la tua Dama: 512 la cagnetta è paragonata a un’allieva delle Grazie per la sua eleganza. de le Grazie alunna: 519 ipallage (l’aggettivo è riferito a piede anziché a servo) che determina «un valore satirico più accentuato: quasi il Parini dice che fu una gran degnazione, quella della nolina, d’imprimervi i suoi dentini d’avorio» (Ferretti). il piede… del servo: 520-521 villan cag letteralmente, “marcò con un leggero segno”. segnò di lieve nota: 522 ninfa abitatrice dei monti che si consumò inutilmente per amore di Narciso; di lei restò infine solo la voce. Eco: 529 per farla riprendere dallo svenimento, come si usava al tempo. fu spruzzato d’essenze: 534 sacrilego, dal momento che ha osato colpire con un calcio una creatura divina. empio: 542 di quattro lustri, quindi di vent’anni. quadrilustre: 544  >> pagina 446  Analisi ATTIVA I contenuti tematici L’episodio trae spunto dalle parole di un commensale vegetariano (il vegetarianismo, presso le classi più elevate, esisteva già nel Settecento), che, criticando l’abitudine di cibarsi di carne, augura la morte a chi a questo scopo uccide gli animali. La dama che il giovin signore accompagna in qualità di cavalier servente, sentendo tali parole, si commuove, e rievoca un episodio accadutole in passato. Per buona parte del brano (vv. 517-541) il poeta assume il suo punto di vista, e con un’immagine di gusto arcadico e classicistico – dall’effetto, ancora una volta, ironico –, paragona le lacrime della donna alle gocce di linfa che stillano sui tralci della vite a primavera (la similitudine* è ispirata alle di Virgilio, II, 330-335). All’ dell’immagine bucolica si aggiunge il rivolto all’assurda ipersensibilità della dama, tanto piena di attenzioni e di morbosa empatia verso la sua cagnetta quanto indifferente al destino dei suoi servi. Georgiche ironia sarcasmo Questa mancanza di senso delle proporzioni – per cui si asseconda il (presunto) capriccio di una cagnetta al prezzo della rovina di un essere umano e della sua famiglia – è il segno inequivocabile, per Parini, della decadenza di una classe sociale che ha smarrito i valori più importanti (quelli cristiani o quelli genericamente umani proposti dagli Illuministi).  Come viene descritta la vergine cuccia? Quale effetto vuole dare il poeta? 1  Quali meriti del servo non vengono considerati dalla dama? 2 Una sensibilità falsa e ipocrita Dal v. 542 il punto di vista torna a essere quello del poeta, che può descrivere crudamente la disumanità con cui viene liquidato il servitore e le condizioni disperate in cui egli è gettato insieme alla sua famiglia. Questa parte della narrazione è condotta attraverso , volte a suscitare la partecipazione emotiva del lettore ( , v. 552; la nudità del servo e della moglie, vv. 546 e 552-553). L’ipocrisia e l’insensibilità della dama diventano così evidenti da apparire agghiaccianti. immagini ed espressioni forti la squallida prole  Individua nel testo i termini che rendono più vivo il dramma della famiglia del servitore. 3  Con quali termini viene descritta la reazione delle altre dame alla notizia? Che tipo di procedimento retorico puoi individuare? 4 La descrizione del dramma Jean Jacques Bachelier, , 1768. Durham, The Bowes Museum. Cane della razza dell’Havana  >> pagina 447  Le scelte stilistiche Rispetto alla gran parte dell’opera, Parini abbandona qui, temporaneamente, l’attitudine all’osservazione e alla descrizione minuziosa, per svolgere invece una vera e propria (la vicenda è comica per la reazione esagerata della dama, tragica per il destino di sofferenza cui è condannato il servo). Per denunciare l’arroganza – che sconfina nella spietatezza – delle classi dominanti, Parini non si esercita in un discorso teorico, ma sceglie la strada del racconto, come se volesse far parlare i fatti stessi. narrazione di tenore tragicomico  Il testo può essere diviso in quattro sequenze: indica nella tabella i versi corrispondenti e dai a ciascuna un titolo. 5  I vv. II vv.   III vv.   IV vv.    Da quale punto di vista vengono narrati i fatti? 6 Una narrazione tragicomica Anche in questo caso la strategia retorica dominante è l’ironia*. In tale chiave vanno lette l’umanizzazione e poi addirittura la divinizzazione della cagnetta: essa è (vv. 519 e 541); ai suoi guaiti risponde la ninfa Eco, emotivamente partecipe del suo dramma ( , v. 529); come una divinità, infine, è placata soltanto da sacrifici umani ( / , vv. 555-556). Non a caso, il servo che ha osato mancarle di rispetto viene definito (v. 542) e il suo piede (v. 523). de le Grazie alunna a lei l’impietosita Eco rispose idol placato da le vittime umane empio sacrilego Ironica è anche la ripresa di moduli propri dell’epica classica in riferimento a una materia non certo eroica, ma anzi decisamente prosaica se non addirittura comica: il modulo deprecativo del v. 503 ( ), peraltro tipico della poesia pariniana (si trova per esempio al v. 25 della ,  T2, p. 415); l’esclamazione ai vv. 517-518, con la ripetizione dello stesso termine ( / ); la formula omerica della ripetizione del numero al v. 524 ( ; ), simmetricamente richiamata, in relazione non più alla cagnetta ma alla dama che risponde al suo grido d’aiuto, al v. 538 ( ); l’epiteto formulare , al v. 519 e poi di nuovo al v. 541. Pera colui che Salubrità dell’aria ▶ Or le sovviene il giorno, ahi fero giorno! tre volte rotolò tre volte scosse chiamò tre volte la sua cuccia de le Grazie alunna Ancora, nella perifrasi* eufemistica – che rimanda all’ipocrita punto di vista della dama – con cui viene indicato il morso dato dalla al servo ( / , vv. 520-522), si possono notare il valore nobilitante dell’aggettivo , oltre che del singolare per il plurale ( anziché “denti”), e l’attenuazione di derivazione classica di . Sarcastico, infine, è l’aggettivo riferito alle al v. 549: la loro pietà, infatti, si esercita unicamente verso gli animali, tanto da esaurirsi prima di potersi indirizzare verso gli esseri umani. vergine cuccia il piede / villan del servo con l’eburneo dente segnò di lieve nota eburneo dente lieve nota pietose dame  Quali strategie retoriche usa il poeta per descrivere l’accorrere in soccorso della   (vv. 527-535)? Quale effetto producono? 7 vergine cuccia  A quale genere letterario rimandano le numerose ripetizioni e gli epiteti presenti nel testo? 8  Animali ed esseri umani possono essere messi sullo stesso piano? Si possono attribuire loro gli stessi diritti? Sviluppa l’argomento in un testo argomentativo di circa 40 righe, facendo se possibile riferimento al dibattito attuale e a fatti realmente accaduti. 9 Scrivere per argomentare. Ironia come denuncia