Il primo Ottocento La lingua Nel periodo risorgimentale torna ad affacciarsi il problema di una lingua comune, non più soltanto come oggetto di riflessione teorica da parte di letterati e intellettuali, ma anche come esigenza concreta di una nazione che sta creando le proprie basi e ha bisogno di condividere un codice linguistico comprensibile ai più. Sulla questione della lingua i puristi sostengono il toscano trecentesco. Altri Classicisti, come Monti e Giordani, sono più aperti a una contaminazione della lingua letteraria. I Romantici sostengono la necessità di una lingua nazionale adatta al presente e accessibile a tutti. Manzoni sceglie per il suo capolavoro il fiorentino dell uso vivo, convinto che sia il solo idioma comprensibile da tutti gli italiani. 548 La posizione dei Classicisti In ordine di tempo, la prima posizione nel dibattito ottocentesco è quella che si rifà alla Dissertazione sopra lo stato presente della lingua italiana (1810) dell abate vicentino Antonio Cesari (1760-1828), capofila del purismo . Secondo le idee di Cesari e dei Classicisti che si collocano sulla sua linea di pensiero, la lingua da prendere a modello è un toscano trecentesco fortemente idealizzato, considerato l unico codice condivisibile in tutta la penisola. Si tratta di una lingua letteraria, rappresentata dagli «Scrittori, che la rendettero chiara e illustre . Intellettuali come Vincenzo Monti e Pietro Giordani modulano la posizione di Cesari, auspicando un ulteriore e progressivo arricchimento lessicale, sempre però fondato sulla tradizione letteraria. In realtà, pur facendo parte del suo stesso schieramento, Monti, insieme a Giulio Perticari (1779-1822), non manca di evidenziare la grossolana intransigenza di Cesari nel limitare il vocabolario italiano alle sole voci toscane del Trecento comprese quelle andate in disuso rintracciate mediante uno scavo approfondito nelle opere degli autori, anche minori e minimi, di quel secolo. Nella Proposta di alcune correzioni e aggiunte al Vocabolario della Crusca (scritta con Perticari tra il 1817 e il 1826), pur senza sconfessare i pregi della lingua toscana, Monti ironizza sul chiuso municipalismo di Cesari, rivendicando il pregio e la bellezza del lessico dei letterati di altre regioni e dei poeti e degli scrittori moderni. e quella dei Romantici Molto diversa è la posizione dei Romantici, che hanno il grande merito di spostare la questione dal livello letterario a quello dell uso. Riscontrando la necessità di una lingua nazionale, legata alle radici culturali italiane ma adatta ai bisogni del presente, essi insistono sul bisogno di uno strumento d uso quotidiano, accessibile a tutto il popolo. Molto importanti, in questo processo, sono le esigenze politiche dei patrioti, che trovano difficoltà di comunicazione non solo a causa del controllo esercitato dalla censura, ma anche per la mancanza di un linguaggio comune che costituisca un elemento unificante tra i cittadini, indipendentemente dal loro livello di alfabetizzazione o dalla loro preparazione culturale. La riflessione di Manzoni Il risultato più profondo della riflessione romantica sulla lingua si trova nella ricerca del suo più importante e acuto interprete, Alessandro Manzoni. Approfondiremo il suo contributo decisivo trattando del capolavoro dell autore, I promessi sposi, la cui lingua si uniforma, nell edizione definitiva, al fiorentino dell uso vivo e attuale. L approdo della sua ricerca è costituito dalla relazione al ministro Broglio del 1868 (Relazione intorno all unità della lingua e ai mezzi per diffonderla), attraverso la quale Manzoni propone la sua soluzione per la diffusione del fiorentino, considerato l unica lingua comprensibile e utilizzabile da tutti gli italiani. Per diffonderne l uso anche al di fuori della Toscana, egli giunge perfino a ipotizzare l arruolamento di maestre fiorentine in tutte le scuole del Regno.