T7 La morte di Adelchi , atto V, scene 8-10 Adelchi Endecasillabi sciolti. A causa del tradimento dei duchi longobardi, Pavia, capitale del regno, è caduta e il re Desiderio è stato fatto prigioniero. Suo figlio, il principe Adelchi, dopo la battaglia alle Chiuse, si è rifugiato a Verona. Dopo aver pensato inizialmente di suicidarsi, prende la decisione di raggiungere Bisanzio, capitale dell’Impero romano d’Oriente, per chiedere aiuto all’imperatore. Ma nel tentativo di sottrarsi alla prigionia, Adelchi si incontra con una schiera di Franchi, cade ed è ferito a morte. Portato nella tenda di re Carlo, ritrova il padre Desiderio, che assiste addolorato e impotente agli ultimi momenti di vita del figlio. Metro La   di un  fine vinto Scena ottava Carlo, Desiderio, Adelchi, ferito e portato desiderio Ahi, figlio! adelchi                    O padre, io ti rivedo! Appressa; tocca la mano del tuo figlio. desiderio                        Orrendo m’è il vederti così. adelchi                     Molti sul campo cadder così per la mia mano. desiderio Ahi, dunque 325                          insanabile, o caro, è questa piaga? adelchi Insanabile. desiderio                         Ahi lasso! ahi guerra atroce! Io crudel che la volli; io che t’uccido! adelchi Non tu, né questi, ma il Signor d’entrambi. desiderio Oh desiato da quest’occhi, oh quanto 330 lunge da te soffersi! Ed un pensiero fra tante ambasce mi reggea, la speme di narrartele un giorno, in una fida ora di pace. adelchi                    Ora per me di pace, credilo, o padre, è giunta; ah! pur che vinto 335 te dal dolor quaggiù non lasci. desiderio                        Oh fronte balda e serena! oh man gagliarda! oh ciglio che spiravi il terror! adelchi                    Cessa i lamenti, cessa o padre, per Dio! Non era questo il tempo di morir? Ma tu, che preso 340 vivrai, vissuto nella reggia, ascolta. Gran segreto è la vita, e nol comprende che l’ora estrema. Ti fu tolto un regno: deh! nol pianger; mel credi. Allor che a questa ora tu stesso appresserai, giocondi 345 si schiereranno al tuo pensier dinanzi gli anni in cui re non sarai stato, in cui né una lagrima pur notata in cielo fia contro te, né il nome tuo saravvi con l’imprecar de’ tribolati asceso. 350 Godi che re non sei; godi che chiusa all’oprar t’è ogni via: loco a gentile, ad innocente opra non v’è: non resta che far torto, o patirlo. Una feroce forza il mondo possiede, e fa nomarsi 355 dritto: la man degli avi insanguinata seminò l’ingiustizia; i padri l’hanno coltivata col sangue; e omai la terra altra messe non dà. Reggere iniqui dolce non è; tu l’hai provato: e fosse; 360 non dee finir così? Questo felice, cui la mia morte fa più fermo il soglio, cui tutto arride, tutto plaude e serve, questo è un uom che morrà. desiderio                        Ma ch’io ti perdo, figlio, di ciò chi mi consola? adelchi Il Dio 365                      che di tutto consola. ( ) si volge a Carlo                                 E tu superbo nemico mio... carlo                Con questo nome, Adelchi, più non chiamarmi; il fui: ma con le tombe empia e villana è nimistà; né tale, credilo, in cor cape di Carlo. adelchi E amico 370                      il mio parlar sarà, supplice, e schivo d’ogni ricordo ad ambo amaro, e a questo per cui ti prego, e la morente mano ripongo nella tua. Che tanta preda tu lasci in libertà... questo io non chiedo... 375 ché vano, il veggo, il mio pregar saria, vano il pregar d’ogni mortale. Immoto è il senno tuo; né a questo segno arriva il tuo perdon. Quel che negar non puoi senza esser crudo, io ti domando. Mite, 380 quant’esser può, scevra d’insulto sia la prigionia di questo antico, e quale la imploreresti al padre tuo, se il cielo al dolor di lasciarlo in forza altrui ti destinava. Il venerabil capo 385 d’ogni oltraggio difendi: i forti contro i caduti, son molti; e la crudele vista ei non deve sopportar d’alcuno che vassallo il tradì. carlo                 Porta all’avello questa lieta certezza: Adelchi, il cielo 390 testimonio mi sia; la tua preghiera è parola di Carlo. adelchi                    Il tuo nemico prega per te, morendo. avvicinati. Appressa: 321 in battaglia. sul campo: 324 re Carlo. questi: 329 desiderato. desiato: 330 lontano. lunge: 331 angosce. reggea: sosteneva. speme: speranza. ambasce: 332 serena. fida: 332 sguardo. ciglio: 337 incutevi. spiravi: 337 prigioniero. preso: 340 dopo essere sempre vissuto da re (mentre d’ora in poi dovrà vivere da prigioniero). vissuto nella reggia: 341 e lo si comprende soltanto in punto di morte. e nol comprende... estrema: 342-343 non rimpiangerlo, non lamentarne la perdita. mel credi: credi a me (letteralmente “credilo a me”). nol pianger: 344 felici. giocondi: 345 in cielo non sarà ( ) imputata ( ) contro di te neppure una lacrima (versata a causa tua) né il tuo nome vi sarà salito con le imprecazioni delle persone da te oppresse ( ). né una lagrima... asceso: 348-350 fia notata de’ tribolati che ti è impedita ogni possibilità di azione. che chiusa... ogni via: 351-352 non c’è spazio (sulla terra) per azioni nobili e innocenti. loco... non v’è: 352-353 gli avi sono qui, in senso stretto, gli antichi Longobardi che hanno fondato le proprie conquiste sulla violenza, ma anche, in un senso più ampio, gli antenati tutti dell’uomo. Il periodo che ha inizio con queste parole assume così il valore di una massima dal significato universale. la man degli avi: 356 si fa chiamare “diritto”. fa nomarsi dritto: 355-356 governare persone malvage (come i duchi che l’hanno tradito). Reggere iniqui: 359 e se anche fosse piacevole (è sottinteso l’aggettivo del v. 60), non dovrebbe terminare con la morte? e fosse... così: 360-361 dolce Carlo, ora vittorioso. Questo felice: 361 rende più stabile il trono. fa più fermo il soglio: 362 del fatto che io ti perdo. ch’io ti perdo: 364 lo sono stato. il fui: 368 ma l’odio verso i morti è empio e indegno. Il concetto era già nel motto latino (risparmia i morti, abbi pietà per i morti). ma con le tombe... nimistà: 368-369 parce sepultis alberga. cape: 369 privo. schivo: 371 spiacevole. a questo: a Desiderio. amaro: 372 un prigioniero così importante. tanta preda: 374 inutile. vano: 376 la tua decisione è irrevocabile. Immoto è il senno tuo: 377-378 crudele. crudo: 380 priva di offese, di umiliazioni. «Bellissimo questo rivelarsi del sentimento filiale, pur nel momento del trapasso. Adelchi, che finora ha parlato da una lontananza altissima, non rinnega tuttavia la sua umanità» (Russo). scevra d’insulto: 381 vecchio. antico: 382 se il cielo ti avesse destinato a lasciarlo in potere di altri. se il cielo... destinava: 383-385 ed egli non deve dover sopportare la penosa vista di qualcuno che da vassallo lo tradì. e la crudele... il tradì: 387-389 tomba. avello: 389 Scena nona arvino , carlo, desiderio, adelchi * arvino Impazienti, 395                     invitto re, chiedon guerrieri e duchi d’esser ammessi. adelchi                    Carlo! carlo                  Alcun non osi avvicinarsi a questa tenda. Adelchi è signor qui. Solo d’Adelchi il padre, e il pio ministro del perdon divino han qui l’accesso. (parte con Arvino) conte franco. * Arvino: sono i maggiorenti longobardi, pronti a rendere omaggio al loro nuovo re. Ieri come oggi, tutti sono sempre smaniosi – come si dice – di saltare sul carro del vincitore. guerrieri e duchi: 395 il sacerdote che, amministrandogli gli ultimi sacramenti, riconcilierà Adelchi morente con Dio. il pio ministro... divino: 398 Scena decima desiderio, adelchi desiderio                         Ahi, mio diletto! adelchi                     O padre, fugge la luce da quest’occhi. desiderio Adelchi, 400                          no, non lasciarmi! adelchi                     O Re de’ re tradito da un tuo Fedel, dagli altri abbandonato!... vengo alla pace tua: l’anima stanca accogli. desiderio                        Ei t’ode: oh ciel! tu manchi! ed io... in servitude a piangerti rimango. 405 o Gesù Cristo, tradito da un tuo seguace (Giuda) e abbandonato da tutti gli altri. O Re... abbandonato: 401-402 in schiavitù. in servitude: 405  >> pagina 847  Dentro il TESTO I contenuti tematici Siamo alle battute finali della tragedia. Adelchi, ormai vicino alla morte, sente tutto il peso delle conseguenze del proprio agire politico-militare ( , vv. 323-324) e contempla come dall’alto le vicende terrene, avendo finalmente compreso che : non è stato Desiderio – dice – a volere la guerra contro Carlo, bensì il (v. 329), Colui che è infinitamente superiore a ogni potestà di questo mondo. Molti sul campo / cadder così per la mia mano ogni fatto umano è dominato dal volere di Dio Signor d’entrambi La visione della Storia espressa da Adelchi nel suo primo monologo è cupa e pessimistica: (vv. 352-354). Per questo, Desiderio si deve rallegrare di aver perso il potere: (vv. 351-352). Se non è possibile agire correttamente, meglio allora non poter agire affatto. Poiché , la sconfitta è provvidenziale in quanto essa libera il potente dalla responsabilità delle sue azioni: così, la perdita del potere corrisponde al recupero dell’innocenza morale. loco a gentile, / ad innocente opra non v’è: non resta / che far torto, o patirlo Godi che re non sei, godi che chiusa / all’oprar t’è ogni via il potere si basa sull’ingiustizia e sulla violenza La visione pessimistica della Storia All’altezza cronologica della composizione della tragedia, la religione non è ancora vista da Manzoni come impulso a un’azione nella società (come sarà poi nei ), bensì quasi una sorta di privilegio spirituale, tutto individuale e interiore, di alcune anime elette. I personaggi dell’ sono divisi tra i campioni della forza, della politica e della ragion di stato da una parte e, dall’altra, gli spiriti toccati dalla Grazia. Tra queste due tipologie umane non può esservi né confronto né scontro, poiché esse parlano linguaggi diversi: la pace a cui aspira Desiderio (la dei vv. 333-334) è la tranquillità terrena, mentre la pace a cui allude Adelchi ( , vv. 334-335) è la pace ultraterrena, quella che si consegue soltanto nella piena comunione con Dio. Promessi sposi Adelchi fida / ora di pace Ora per me di pace, credilo, o padre, è giunta Il cristianesimo manzoniano qui è inattivo, impotente, sconsolato, ancora lontano da quello combattivo e militante, per le gioie del cielo ma anche per l’affermazione della giustizia sulla terra, incarnato, nei , da personaggi come fra’ Cristoforo, il cardinal Federigo o anche la stessa Lucia. Manca ancora, insomma, quella fede nel valore dell’agire, quella fiducia nella possibilità degli uomini di collaborare al disegno provvidenziale, quella speranza di un riscatto che costituiranno la sostanza morale più profonda del romanzo, con il suo riconoscimento positivo dell’agire terreno: la Storia, allora, non sarà più considerata il regno irredimibile del male, bensì svelerà la possibilità di riconoscervi un preciso significato. Promessi sposi Una concezione religiosa in evoluzione  >> pagina 848  Le scelte stilistiche Nelle ultime scene della tragedia, lo stile è particolarmente solenne, come si conviene alla conclusione di una vicenda tanto drammatica: alla conclusione Manzoni attribuisce infatti la funzione di proporre in maniera chiara il messaggio che intende trasmettere. Diversi sono però i timbri delle voci che si alternano sulla scena. L’eloquio di Adelchi – il cui ruolo è anche qui, più che mai, quello del protagonista – si distingue per il tono accorato e sentenzioso, caratterizzato da frasi brevi ed essenziali ( , vv. 342-343; , vv. 354-356). Le esclamazioni di Desiderio ( , vv. 327-328; , vv. 330-331, ecc.) attingono invece alla sfera del patetico, esprimendo il disperato dolore di un padre di fronte alla morte del figlio. Appare invece retoricamente e freddamente impostata la voce di Carlo ( , vv. 391-392; , vv. 396-397), il quale si presenta come il pio condottiero «sempre un poco convenzionale e accademico nella sua pietà» (Gianni): la pietà in lui non è mai disgiunta dalla ragion di stato, che la bilancia e ne limita la portata. Gran segreto è la vita, e nol comprende / che l’ora estrema Una feroce / forza il mondo possiede, e fa nomarsi / dritto Ahi lasso! ahi guerra atroce! / Io crudel che la volli; io che t’uccido! Oh desiato da quest’occhi, oh quanto / lunge da te soffersi! la tua preghiera / è parola di Carlo Adelchi / è signor qui La solennità di un finale a più voci Verso le COMPETENZE COMPRENDERE 1 Aiutandoti con le note, fai la parafrasi del primo monologo di Adelchi (vv. 338-364) e poi sintetizza in poche righe la sua concezione del potere. 2 Perché al v. 328 Desiderio accusa sé stesso di essere colpevole della morte del figlio? 3 Per quale ragione Adelchi afferma che con la propria morte il soglio di Carlo sarà più fermo (v. 362)? 4 Che cosa chiede Adelchi a Carlo? ANALIZZARE 5 Individua nel testo altri esempi del tono patetico di Desiderio (oltre a quelli già segnalati nel commento). 6 Quale figura retorica riconosci ai vv. 356-359 ( la man degli avi... altra messe non dà )? Spiegane il significato. INTERPRETARE Quali potrebbero essere i ricordi penosi sia per Adelchi sia per Carlo, a cui il primo allude ai vv. 370-372 ( )? 7 E amico... ad ambo amaro 8 Nel narrare la morte di Adelchi, Manzoni non si è attenuto alla verità storica. Infatti, nella realtà, Adelchi riuscì a raggiungere Bisanzio e morì vari anni più tardi nel tentativo, al comando di truppe greche, di muovere guerra ai Franchi in Italia. Perché, a tuo avviso, questa discrepanza nel racconto manzoniano? Produrre  Metti a confronto la morte di Adelchi con quella di Ermengarda, evidenziando analogie e differenze tra questi due momenti della tragedia in un testo di circa 30 righe. 9 Scrivere per confrontare.  Adelchi – con l’animo teso a nobili imprese, ma condannato a compierne di inique – può essere visto come un tipico eroe romantico, nel dramma (che egli incarna) di una frattura insanabile tra ideale e reale, tra aspirazioni e concretezza della vita. Argomenta questa tesi in un testo di circa 40 righe. 10 Scrivere per argomentare.