L epoca e le idee La lingua In Italia, il conseguimento dell unità politica e la proclamazione di Roma capitale imprimono un moto di accelerazione al processo di unificazione linguistica. La parte più progressista del paese si adopera per la fondazione di una nazione unita non solo istituzionalmente, ma anche nel sentimento dei cittadini, nell attenuazione delle spinte localistiche, nella diffusione di un unica lingua scritta. Alla realizzazione di tali obiettivi si frappongono però molti ostacoli. Alla fine del secolo la piaga dell analfabetismo comincia a trovare rimedi nel centralismo amministrativo, nel servizio militare nazionale e nella scuola statale. La legge Casati (1859) e la legge Coppino (1877) stabiliscono la gratuità della scuola elementare e l obbligatorietà della frequenza. Nel 1868 viene nominata una commissione per definire il modello linguistico di riferimento. La relazione di Manzoni propone di usare il fiorentino vivo, di scegliere insegnanti toscani o educati in Toscana, e di compilare un vocabolario basato sulla lingua dell uso di Firenze. Il linguista Graziadio Isaia Ascoli propone un modello derivato dalla tradizione letteraria e dalle diverse parlate locali. Alla fine prevale però la tesi manzoniana. Una difficile situazione di partenza Nel neonato Regno d Italia la percentuale media di analfabeti è del 75 per cento, con picchi del 90 per cento al Sud e nelle isole. Solo l insieme di varie dinamiche demografiche, sociali e culturali l amministrazione centralizzata, l esercito nazionale e il servizio di leva, l emigrazione e la mobilità interna, lo sviluppo della stampa periodica, la nascita e il progressivo consolidamento della scuola statale favorisce un graduale miglioramento della situazione. Le leggi sulla scuola Per quanto riguarda la scolarizzazione, viene promulgata prima la legge Casati (nel 1859 per il Regno di Sardegna, poi estesa a tutta l Italia) poi la legge Coppino (1877), che stabiliscono i princìpi basilari della gratuità della scuola elementare e dell obbligatorietà della frequenza, quest ultima inizialmente limitata al primo biennio. In un primo momento, il tasso di evasione scolastica è altissimo, a causa del largo impiego del lavoro minorile e anche per le esitazioni di alcuni gruppi politico-intellettuali, che temono lo scatenarsi della conflittualità sociale derivante da un alfabetizzazione di massa o sminuiscono il problema dell istruzione rispetto alle altre urgenze materiali della popolazione più modesta; tuttavia, con un percorso graduale, l analfabetismo si riduce e la lingua italiana diviene lentamente un patrimonio condiviso da tutti. Il programma manzoniano Spingono a favore dell uso comune della lingua italiana anche specifiche iniziative culturali, prima fra tutte la nomina da parte del ministero dell Istruzione (1868) di una commissione di saggi, con il compito di definire il modello linguistico di riferimento e di indicare le vie utili alla sua diffusione. La comunanza di intenti non è sufficiente ad azzerare le divergenze operative tra i componenti del gruppo, ma la relazione che ne esce (Dell unità della lingua italiana e dei mezzi per diffonderla, 1868), a firma di Alessandro Manzoni, è il più importante contributo sulla questione della lingua nell Italia postunitaria. Nella relazione, l autore indirizza verso un concreto progetto esecutivo gli esiti teorici di una lunga meditazione, non solo rinnovando la sua fiducia verso un esempio univoco e preciso come sappiamo, il fiorentino dei parlanti colti , ma anche indicando gli strumenti principali per la sua espansione: la scelta di insegnanti toscani o educati in Toscana e soprattutto la compilazione di un vocabolario basato sull uso di Firenze. La proposta di Ascoli e la prevalenza della tesi manzoniana Il più autorevole oppositore della teoria manzoniana è il linguista Graziadio Isaia Ascoli (1829-1907), il fondatore della scienza glottologica italiana. Nel 1873, Ascoli pubblica il primo fascicolo dell Archivio glottologico italiano: nel Proemio, polemizza contro l imposizione del fiorentino, contestando l esigenza di far riferimento a una lingua modello. Egli ritiene infatti che lo sviluppo culturale e sociale della nazione porterà in modo naturale all unificazione linguistica: all ipotesi centralistica di Manzoni contrappone un modello policentrico, che conduca alla creazione non imposta dall alto di una sintesi nazionale, da far scaturire sia dalla tradizione letteraria sia dalle diverse parlate locali. La tesi di Ascoli, in ogni modo, non riesce ad attecchire e la proposta manzoniana del fiorentino vivo prevale, anche grazie a sempre più ampie aperture alla lingua parlata presenti nelle opere scolastiche e nei libri per ragazzi, soprattutto di Collodi e De Amicis. 31