intrecci   cinema secondo Guido Chiesa Il partigiano Johnny Sul finire dello scorso millennio, il successo di film d’autore ambientati durante il secondo conflitto mondiale – come (1997) di Roberto Benigni, (1997) di Francesco Rosi (dal romanzo di Primo Levi), (1998) di Steven Spielberg e (1998) di Terrence Malick – consente a registi italiani poco noti di trovare condizioni produttive favorevoli per realizzare opere sulla Resistenza. Vedono così la luce pellicole come (1997) di Renzo Martinelli e (1998) di Daniele Luchetti. Nel 2000 i tempi diventano maturi anche per un ambizioso progetto di Guido Chiesa, la riduzione cinematografica del di Fenoglio. La vita è bella La tregua Salvate il soldato Ryan La sottile linea rossa Porzûs I piccoli maestri Partigiano Johnny Un regista esperto conoscitore di Beppe Fenoglio  Nato a Torino nel 1959, Chiesa è un regista legato allo studio della lotta partigiana tramite Pavese e Fenoglio: tra il 1992 e il 1998 ha girato , film che tocca il tema resistenziale, e tre documentari come , e .  Il caso Martello 25 aprile: la memoria inquieta Partigiani Una questione privata. Vita di Beppe Fenoglio Adattare richiede coraggio e competenza (Chiesa si rifà anche alla vita dell’autore e a ): è arduo tradurre in immagini un romanzo – incompiuto e con più versioni – basato su un pastiche linguistico italo-inglese, su arditi esperimenti verbali e sulla varietà di toni. Il regista ricorre alla voce fuoricampo, che racconta o commenta in inglese citando Fenoglio. Per Chiesa, tuttavia, la vera sfida è cogliere e restituire lo spirito e le atmosfere del libro. Il partigiano Johnny Primavera di bellezza Alla ricerca dell’autenticità  Nel film la guerra è morte, fame, sofferenza, vita in condizioni proibitive; è al contempo male e bene, è violenza necessaria per ottenere la libertà. La regia privilegia l’azione resistenziale rispetto alle riflessioni che potrebbero scaturirne (la giustizia sommaria, il fanatismo ideologico), e la guerra civile diventa una «questione privata», un dissidio interiore, una metafora della solitudine come condizione esistenziale. Chiesa evita la retorica, e il suo stile asciutto tende a soffocare le emozioni. Il film convince soprattutto nei propositi di autenticità, dai costumi e dalle armi fino ai luoghi: fotografato con tonalità livide da Gherardo Gossi, è un suggestivo viaggio nelle luci e nel paesaggio desolato delle Langhe in guerra dall’autunno 1943 ai primi mesi del 1945.