La “vita” romana 2 All’inizio del lo scrittore e la madre Susanna si trasferiscono a Roma. Nella capitale Pasolini entra in contatto con la realtà del sottoproletariato urbano, che metterà a fuoco in particolare in due romanzi: (1955) e (1959). Sono opere che risentono del , ma che per molti versi vanno oltre i modelli di quella corrente letteraria. Il racconto delle borgate 1950 Ragazzi di vita Una vita violenta clima neorealista I due primi romanzi di Pasolini sono ambientati nelle  . borgate romane Appena arrivato a Roma, Pasolini, subito innamoratosi della città, conduce in prima persona ricerche “sul campo”, frequentando il mondo delle e facendosi aiutare dalle persone del posto per risolvere i dubbi linguistici in cui si imbatte. Il critico Alberto Asor Rosa ha sottolineato «la minuziosa opera di raccoglitore linguistico di Pasolini, che, taccuino in tasca, va di borgata in borgata, di strada in strada, alla ricerca dei ragazzi di vita, dei loro padri e delle loro madri, colloquia, scherza, ride con loro, e nel frattempo accuratamente ». Studio “dal vivo” e partecipazione emotiva borgate li studia In effetti quello di Pasolini è uno studio “dal vivo”, quasi da sociologo o da antropologo prima ancora che da scrittore: dei ragazzi delle borgate osserva e annota il lessico, gli atteggiamenti e i comportamenti, ma non lo fa con il distacco dello scrittore naturalista, bensì con un forte coinvolgimento umano ed emotivo. Racconta egli stesso, in un testo del 1958 intitolato : «Spesse volte, se pedinato, sarei colto in qualche pizzeria di Torpignattara, della Borgata Alessandrina, di Torre Maura o di Pietralata, mentre su un foglio di carta annoto modi idiomatici, punte espressive o vivaci, lessici gergali presi di prima mano dalle bocche dei “parlanti” fatti parlare apposta». Lui, di estrazione borghese, decide di avvicinarsi a una di appartenenza, con rispetto e con capacità di ascolto. La mia periferia realtà molto diversa da quella del suo ambiente Pasolini e il del sottoproletariato romano per trasporli nei suoi romanzi. osserva e annota i comportamenti linguaggio Ancora Pasolini spiega così la sua : «Non c’è stata scelta da parte mia, ma una specie di coazione del destino: e poiché ognuno testimonia ciò che conosce, io non potevo che testimoniare la “borgata” romana. Alla coazione biografica si aggiunge la particolare tendenza del mio eros, che mi porta inconsciamente, e ormai con la coscienza dell’incoscienza, […] a cercare le amicizie più semplici, normali presso i “pagani” (la periferia di Roma è completamente pagana: i ragazzi e i giovani sanno a stento chi è la Madonna), che vivono a un altro livello culturale». La “regressione” pasoliniana scelta linguistica del dialetto romanesco T2 La maturazione del Riccetto , capp. 1 e 8 Ragazzi di vita Del primo romanzo romano di Pasolini riportiamo due passi: il primo è la conclusione del primo capitolo, il secondo quella dell’ultimo. Nel primo brano il Riccetto, ancora ragazzo, è sul Tevere, in una barca, a giocare con alcuni amici. Nel secondo, ormai cresciuto, si trova invece a essere spettatore, sulle rive dell’Aniene, di un evento tragico: un ragazzo, Genesio, tenta la traversata a nuoto, ma viene travolto dalla corrente, annegando sotto lo sguardo angosciato dei due fratellini, Mariuccio e Borgo Antico. L’  e la  avventura morte Il Riccetto continuava a starsene disteso, senza dar retta ai nuovi venuti, ammusato, 1 2 sul fondo allagato della barca, con la testa appena fuori dal bordo: e continuava  sempre a far finta di essere al largo, fuori dalla vista della terraferma. «Ecco li pirata!» gridava con le mani a imbuto sulla sua vecchia faccia di ladro uno dei trasteverini, in piedi in pizzo alla barca: gli altri continuavano scatenati a cantare. 5       3 A un tratto il Riccetto si voltò su un gomito, per osservare meglio qualcosa che aveva attratto la sua attenzione, sul pelo dell’acqua, presso la riva, quasi sotto le arcate di Ponte Sisto. Non riusciva a capir bene cosa fosse. L’acqua tremolava, in quel punto, facendo tanti piccoli cerchi come se fosse sciacquata da una mano: e difatti nel centro vi si scorgeva come un piccolo straccio nero. 10     «Ched’è», disse allora rizzandosi in piedi il Riccetto. Tutti guardarono da quella 4 parte, nello specchio d’acqua quasi ferma, sotto l’ultima arcata. «È na rondine, vaffan…», disse Marcello. Ce n’erano tante di rondinelle, che volavano rasente i 5 muraglioni, sotto gli archi del ponte, sul fiume aperto, sfiorando l’acqua con il petto. La corrente aveva ritrascinato un poco la barca indietro, e si vide infatti c’era proprio 15     una rondinella che stava affogando. Sbatteva le ali, zompava. Il Riccetto era in ginocchioni 6 sull’orlo della barca, tutto proteso in avanti. «A stronzo, nun vedi che ce fai rovescià?», gli disse Agnolo. «An vedi», gridava il Riccetto, «affoga!». Quello dei trasteverini che remava restò coi remi alzati sull’acqua e la corrente spingeva piano la barca indietro verso il punto dove la rondine si stava sbattendo. Però dopo un po’ 20     perdette la pazienza e ricominciò a remare. «Aòh, a moro», gli gridò il Riccetto puntandogli contro la mano, «chi t’ha detto de remà?». L’altro fece schioccare la lingua con disprezzo e il più grosso disse: «E che te frega». Il Riccetto guardò verso la rondine, che si agitava ancora, a scatti, facendo frullare di botto le ali. Poi senza dir niente 7 si buttò in acqua e cominciò a nuotare verso di lei. Gli altri si misero a gridargli dietro 25     e a ridere: ma quello dei remi continuava a remare contro corrente, dalla parte opposta. Il Riccetto s’allontanava, trascinato forte dall’acqua: lo videro che rimpiccioliva, che arrivava a bracciate fin vicino alla rondine, sullo specchio d’acqua stagnante, e che tentava d’acchiapparla. «A Riccettooo», gridava Marcello con quanto fiato aveva in gola, «perché nun la piji?». Il Riccetto dovette sentirlo, perché si udì appena la sua 30     voce che gridava: «Me pùncica!». «Li mortacci tua», gridò ridendo Marcello. Il Riccetto 8 9 cercava di acchiappare la rondine, che gli scappava sbattendo le ali e tutti e due ormai erano trascinati verso il pilone dalla corrente che lì sotto si faceva forte e piena di mulinelli. «A Riccetto», gridarono i compagni dalla barca, «e lassala perde!». Ma in quel momento il Riccetto s’era deciso ad acchiapparla e nuotava con una mano verso 35     la riva. «Torniamo indietro, daje», disse Marcello a quello che remava. Girarono. Il Riccetto li aspettava seduto sull’erba sporca della riva, con la rondine tra le mani. «E che l’hai sarvata a ffà», gli disse Marcello, «era così bello vedella che se moriva!». Il Riccetto non gli rispose subito. «È tutta fracica», disse dopo un po’, «aspettamo che 1 0 s’asciughi!». Ci volle poco perché s’asciugasse: dopo cinque minuti era là che rivolava 40     tra le compagne, sopra il Tevere, e il Riccetto ormai non la distingueva più dalle altre. si tratta di un gruppo di ragazzi che si sono aggiunti agli amici del Riccetto. 1  ai nuovi venuti:    imbronciato. 2  ammusato:  sull’orlo della barca. 3  in pizzo alla barca:  che cos’è (in romanesco). 4  Ched’è:  un amico del Riccetto. 5  Marcello: faceva dei balzi, dei salti. 6  zompava:    all’improvviso. 7  di botto:  mi becca (romanesco). 8  Me pùncica:  esclamazione romanesca che significa qualcosa come “accidenti a te”. 9  Li mortacci tua:  bagnata. 10  fracica: *** Genesio allora s’alzò all’impiedi, si stirò un pochetto, come non usava fare mai, e poi gridò: «Conto fino a tre e me butto». Stette fermo, in silenzio, a contare, poi guardò fisso l’acqua con gli occhi che gli ardevano sotto l’onda nera ancora tutta 1 1 ben pettinata; infine si buttò dentro con una panciata. Arrivò nuotando alla svelta 45     fin quasi al centro, proprio nel punto sotto la fabbrica, dove il fiume faceva la curva svoltando verso il ponte della Tiburtina. Ma lì la corrente era forte, e spingeva indietro, verso la sponda della fabbrica: nell’andata Genesio era riuscito a passare facile il correntino, ma adesso al ritorno era tutta un’altra cosa. Come nuotava lui, alla cagnolina, gli serviva a stare a galla, non a venire avanti: la corrente, tenendolo 50     sempre nel mezzo, cominciò a spostarlo in giù verso il ponte. «Daje, a Genè», gli gridavano i fratellini da sotto il trampolino, che non capivano perché Genesio non venisse in avanti, «daje che se n’annamo!». 1 2 Ma lui non riusciva a attraversare quella striscia che filava tutta piena di schiume, di segatura e d’olio bruciato, come una corrente dentro la corrente gialla del fiume. 55     Ci restava nel mezzo, e anziché accostarsi alla riva, veniva trascinato sempre in giù verso il ponte. Borgo Antico e Mariuccio col cane scapitollarono giù dalla gobba del 1 3 trampolino, e cominciarono a correre svelti, a quattro zampe quando non potevano con due, cadendo e rialzandosi, lungo il fango nero della riva, andando dietro a Genesio che veniva portato sempre più velocemente verso il ponte. Così il Riccetto, 60     mentre stava a fare il dritto con la ragazza che però continuava, confusa come un’ombra, a strofinare le lastre, se li vide passare tutti e tre sotto i piedi, i due piccoli che 1 4 ruzzolavano gridando tra gli sterpi, spaventati, e Genesio in mezzo al fiume, che non cessava di muovere le braccine svelto svelto nuotando a cane, senza venire avanti di un centimetro. Il Riccetto s’alzò, fece qualche passo ignudo come stava giù verso 65     l’acqua, in mezzo ai pungiglioni e lì si fermò a guardare quello che stava succedendo sotto i suoi occhi. Subito non si capacitò, credeva che scherzassero; ma poi capì e si buttò di corsa giù per la scesa, scivolando, ma nel tempo stesso vedeva che non 1 5 c’era più niente da fare: gettarsi nel fiume lì sotto il ponte voleva proprio dire esser stanchi della vita, nessuno avrebbe potuto farcela. Si fermò pallido come un morto. 70     Genesio ormai non resisteva più, povero ragazzino, e sbatteva in disordine le braccia, ma sempre senza chiedere aiuto. Ogni tanto affondava sotto il pelo della corrente e poi risortiva un poco più in basso; finalmente quand’era già quasi vicino al ponte, 1 6 dove la corrente si rompeva e schiumeggiava sugli scogli, andò sotto per l’ultima volta, senza un grido, e si vide solo ancora un poco affiorare la sua testina nera. 75     Il Riccetto, con le mani che gli tremavano, s’infilò in fretta i calzoni, che teneva sotto il braccio, senza più guardare verso la finestrella della fabbrica, e stette ancora un po’ lì fermo, senza sapere che fare. Si sentivano da sotto il ponte Borgo Antico e Mariuccio che urlavano e piangevano, Mariuccio sempre stringendosi contro il petto la canottiera e i calzoncini di Genesio; e già cominciavano a salire aiutandosi 80     con le mani su per la scarpata. «Tajamo, è mejo», disse tra sé il Riccetto che quasi piangeva anche lui, incamminandosi 1 7 in fretta lungo il sentiero, verso la Tiburtina; andava quasi di corsa, per arrivare sul ponte prima dei due ragazzini. «Io je vojo bene ar Riccetto, sa!», pensava. 1 8 S’arrampicò scivolando, e aggrappandosi ai monconi dei cespugli su per lo 85     scoscendimento coperto di polvere e di sterpi bruciati, fu in cima, e senza guardarsi indietro, imboccò il ponte. la frangia dei capelli. l’onda nera: 11 dai che ce ne andiamo. daje che se n’annamo: 12 si precipitarono a rotta di collo. scapitollarono: 13 prima di accorgersi del dramma di Genesio, il Riccetto, dopo aver fatto il bagno nel fiume, stava cercando di attirare l’attenzione di una ragazza intenta a lavare i vetri delle finestre di un edificio vicino. mentre stava… le lastre: 14 discesa. scesa: 15 riemergeva. risortiva: 16 è meglio svignarsela. Tajamo, è mejo: 17 io al Riccetto voglio bene! Io je vojo bene ar Riccetto, sa!: 18  >> pagina 626  Analisi ATTIVA I contenuti tematici Nel primo episodio il Riccetto si butta dalla barca, a proprio rischio e pericolo (la corrente del fiume potrebbe portarlo via), per salvare una rondinella finita in acqua. Questo comportamento potrebbe essere ritenuto piuttosto inverosimile da un punto di vista sociologico: la preoccupazione del Riccetto per le sorti della povera rondinella risulta in effetti piuttosto improbabile, data la rappresentazione d’insieme del personaggio. Lo psicanalista e saggista Aldo Carotenuto ha offerto però una suggestiva interpretazione dell’episodio: «Tutto ciò che vola e che appartiene all’aria esprime, nella simbologia psicologica, un elemento spirituale, qualcosa che è capace di elevarsi da terra, dalla superficie delle cose. Tuffandosi in acqua e salvando la rondine, Riccetto compie un gesto che lo èleva dalla squallida condizione in cui ordinariamente si trova».  Individua nel testo i passaggi che ti permettono di definire l’atteggiamento dei compagni del Riccetto. 1  La preoccupazione del Riccetto per la rondine non si esaurisce con il salvataggio dalle onde del Tevere, ma prosegue anche dopo: in che modo? 2 Il valore di un gesto Tra il primo e il secondo brano sono passati sei anni. Il Riccetto, che prima aveva quattordici anni, ora ne ha venti: da ragazzo che era, è diventato uomo, ha un lavoro, è inserito nella società. Se nel primo brano egli è pronto a rischiare la vita per aiutare un animaletto, nel secondo, di fronte all’annegamento di Genesio, non è certo indifferente, anzi è addolorato ( , r. 82), probabilmente ha anche preso in considerazione, almeno per un momento, l’ipotesi di buttarsi e di tentare il tutto per tutto al fine di salvare il povero Genesio, ma poi prevalgono l’istinto di autoconservazione, il calcolo, una certa prudenza: (r. 84). Nelle ultime righe del testo, oltre a non aver prestato soccorso, il Riccetto si allontana veloce dal luogo in cui Genesio è affogato. Perché lo fa? Nel corso delle vicende raccontate nel romanzo è stato per un certo tempo in carcere: nella sua situazione – avrà pensato – è sempre meglio non avere a che fare con le forze dell’ordine, neppure in qualità di testimone di una morte accidentale. quasi piangeva anche lui Io je vojo bene ar Riccetto, sa!  Rifletti sulla posizione e sull’atteggiamento del narratore: che tipo di narratore è? è un narratore che condivide il mondo dei suoi personaggi o li osserva in modo distaccato? Da che cosa lo capisci? 3 La “deformazione” del protagonista Quello della morte di ragazzi e giovani uomini è un motivo affrontato da Pasolini sempre all’insegna di una sobria commozione, dai toni quasi elegiaci. Da un punto di vista narratologico, aggiungiamo che se i «ragazzi di vita» sono i protagonisti del romanzo, la morte potrebbe essere vista come la loro vera antagonista. A proposito della ricorrenza ossessiva di questo motivo si potrebbe sottolineare come esso si leghi, per così dire, all’incapacità di Pasolini di seguire i suoi personaggi oltre la soglia dell’età adulta. O, meglio, al suo disinteresse nei confronti del mondo adulto, che gli appare tanto corrotto quanto quello dell’infanzia e dell’adolescenza gli appare puro. In altre parole, facendo morire i suoi giovani personaggi, è come se li salvasse dalla degenerazione a cui, crescendo, sarebbero inevitabilmente destinati. Perché caratteristiche positive come la e la , una più adulta e borghese morale dell’ e dell’ . la maturazione equivale alla perdita di spontaneità generosità sostituite da egoismo autoconservazione 4 Scrivere per argomentare.  Come interpreti il finale dell’episodio? Ti sembra positivo o negativo? Perché? Esponi il tuo pensiero in un testo argomentativo di 20 righe. Il significato della morte  >> pagina 627  Le scelte stilistiche Alla rappresentazione della morte si connette spesso in una tonalità patetica, tesa a . Sono queste le parti del romanzo meno apprezzate da alcuni critici, che le hanno giudicate strappalacrime. Se soprattutto nel secondo brano è innegabile che Pasolini calchi il pedale del (per esempio attraverso l’insistito ricorso ai diminutivi, con valore vezzeggiativo, riferiti alla persona di Genesio: , r. 64; , r. 71; , r. 75; , r. 80), tuttavia un simile giudizio negativo è assai discutibile: più che cercare effetti melodrammatici fini a sé stessi, l’autore non fa altro che manifestare profonda simpatia e intima adesione nei confronti del mondo e dei personaggi rappresentati. Ragazzi di vita suscitare commozione nel lettore pathos braccine ragazzino testina calzoncini Quanto all’aspetto specificamente linguistico, bisogna notare come Pasolini incroci e spesso sovrapponga : quello dell’ (colto, raffinato, dotato di una notevole cultura e di una spiccata consapevolezza letteraria) e quello dei (semplici, incolti, che tendono a esprimersi in maniera rozza ed elementare). In tal modo l’italiano si mescola a un dialetto romanesco fatto di espressioni volgari che spesso sfociano nel turpiloquio ( , r. 13; , r. 17; , r. 23; , r. 31). due universi linguistici, che sono anche due universi psicologici e due punti di vista assai diversi e lontani tra loro autore personaggi vaffan… A stronzo E che te frega Li mortacci tua  A tuo parere, perché nel secondo brano è assente il turpiloquio, che invece abbonda nel primo? 5  Traccia in un testo espositivo di circa 20 righe due distinti ritratti psicologici del Riccetto nel primo e nel secondo brano, evidenziando soprattutto analogie e differenze tra i due momenti. 6 Scrivere per esporre. Linguaggio e punti di vista Il rifiuto del presente 3 A mano a mano che, a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, il trasforma in profondità il tessuto economico e sociale del paese, insieme alle abitudini, agli stili di vita, alla mentalità delle persone, Pasolini si sente sempre più nei confronti di una realtà in cui non si riconosce e che disapprova. Strumento principe attraverso cui sta avvenendo questa trasformazione, che equivale a una , è per Pasolini la , per la sua intrinseca capacità di persuasione occulta. La condanna della cultura di massa boom economico estraneo manipolazione delle coscienze televisione Pasolini non si riconosce nella società italiana del suo tempo e guarda con sospetto e agli effetti del boom economico. disapprovazione Nel 1964 esce un saggio del semiologo Umberto Eco destinato a diventare molto famoso. Si intitola e definisce, in relazione alle «comunicazioni di massa» e alle «teorie della cultura di massa» (come recita il sottotitolo), i due tipi di atteggiamento che gli intellettuali tendono ad assumere. Gli sono coloro che valorizzano gli aspetti positivi della nuova realtà: la democratizzazione della comunicazione, l’accesso alla cultura consentito a gruppi sociali che prima ne erano esclusi, l’abbassamento del costo economico dei prodotti culturali ecc. Gli sono invece coloro che evidenziano i risvolti negativi di tale situazione: l’omologazione, la persuasione occulta della pubblicità, il conformismo dilagante, l’assenza di pensiero critico ecc. La fase “apocalittica” Apocalittici e integrati «integrati» «apocalittici» Ebbene, è chiaro che Pasolini sta nettamente con gli «apocalittici». Soprattutto nella fase finale della sua produzione artistica (dalla metà degli anni Sessanta in poi) è fortissima l’insistenza sulla negatività della moderna società dei consumi e degli strumenti di comunicazione attraverso cui essa diffonde la propria perversa ideologia. È un degrado totale dell’intelligenza e dei valori autentici, da cui sembra non esistere via d’uscita: da qui i   che caratterizzano le sue ultime opere. toni cupi e disperati Pasolini può essere definito un “apocalittico”: la sua dell’omologazione, del conformismo e della massificazione è e . critica inesorabile inappellabile  >> pagina 628  T3 L’omologazione televisiva Scritti corsari Riportiamo integralmente il capitolo  , in cui Pasolini sviluppa uno dei temi più dibattuti negli Scritti corsari: il potere occulto ma fortemente “seduttivo” della nuova ideologia edonistica che ha cambiato il carattere degli italiani spingendoli alla sola ricerca del benessere materiale. 9 dicembre 1973. Acculturazione e acculturazione  e  Edonismo repressione Molti lamentano (in questo frangente dell’ ) i disagi dovuti alla mancanza austerity 1 di una vita sociale e culturale organizzata fuori dal Centro «cattivo» nelle periferie «buone» (viste come dormitori senza verde, senza servizi, senza autonomia, senza più reali rapporti umani). Lamento retorico. Se infatti ciò di cui nelle periferie si lamenta la mancanza, ci fosse, esso sarebbe comunque organizzato dal Centro. 5       Quello stesso Centro che, in pochi anni, ha distrutto tutte le culture periferiche 2 dalle quali – appunto fino a pochi anni fa – era assicurata una vita propria, sostanzialmente libera, anche alle periferie più povere e addirittura miserabili. Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. Il fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale, 10     che però restava lettera morta. Le varie culture particolari (contadine, 3 sottoproletarie, operaie) continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli: la repressione si limitava ad ottenere la loro adesione a parole. Oggi, al contrario, l’adesione ai modelli imposti dal Centro, è totale e incondizionata. I modelli culturali reali sono rinnegati. L’abiura è compiuta. Si può 15     4 5 dunque affermare che la «tolleranza» della ideologia edonistica voluta dal nuovo potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana. Come si è potuta esercitare tale repressione? Attraverso due rivoluzioni, interne all’organizzazione borghese: la rivoluzione delle infrastrutture e la rivoluzione del sistema d’informazioni. Le strade, la motorizzazione ecc. hanno ormai strettamente unito la periferia 20     al Centro, abolendo ogni distanza materiale. Ma la rivoluzione del sistema d’informazioni è stata ancora più radicale e decisiva. Per mezzo della televisione, il Centro ha assimilato a sé l’intero paese, che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza. Ha imposto cioè – come dicevo – i suoi modelli: 25     che sono i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un «uomo che consuma», ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo. Un edonismo neolaico, ciecamente 6 dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane.  nel 1973, durante una grave crisi petrolifera internazionale, il governo italiano varò alcuni provvedimenti volti a limitare l’utilizzo delle automobili private, soprattutto nei giorni festivi, per determinare un risparmio di carburante. Il termine inglese (“austerità”) fu utilizzato dai giornalisti per indicare questo periodo di disagio che sembrava produrre quasi un ritorno al passato nelle abitudini degli italiani. 1  austerity: austerity con questa parola Pasolini intende il potere centrale (politico ma soprattutto economico) che determina le caratteristiche della vita collettiva di una nazione. 2  Centro:    non veniva intimamente seguito dalla gente, rimaneva un ordine puramente formale. 3  restava lettera morta:  come quelli della civiltà contadina o dei diversi ambiti locali. Per Pasolini l’industrialismo avanzato equivale a una sorta di “irrealtà”, in quanto si tratta di un sistema artefatto e imposto dai pochi (coloro che ne traggono grandi profitti) ai molti. 4  modelli culturali reali: rinuncia all’autenticità e alla libertà interiore. 5  abiura:   l’esclusiva ricerca di soddisfazioni materiali, a prescindere da qualsiasi etica religiosa. 6  edonismo neolaico:   L’antecedente ideologia voluta e imposta dal potere era, come si sa, la religione: 30     e il cattolicesimo, infatti, era formalmente l’unico fenomeno culturale che «omologava» gli italiani. Ora esso è diventato concorrente di quel nuovo fenomeno culturale «omologatore» che è l’edonismo di massa: e, come concorrente, il nuovo potere già da qualche anno ha cominciato a liquidarlo. Non c’è infatti niente di religioso nel modello del Giovane Uomo e della Giovane 35     Donna proposti e imposti dalla televisione. Essi sono due Persone che avvalorano la vita solo attraverso i suoi Beni di consumo (e, s’intende, vanno ancora a messa la domenica: in macchina). Gli italiani hanno accettato con entusiasmo questo nuovo modello che la televisione impone loro secondo le norme della Produzione creatrice di benessere (o, meglio, di salvezza dalla miseria). Lo hanno 40     accettato: ma sono davvero in grado di realizzarlo? No. O lo realizzano materialmente solo in parte, diventandone la caricatura, o non riescono a realizzarlo che in misura così minima da diventarne vittime. Frustrazione o addirittura ansia nevrotica sono ormai stati d’animo collettivi. Per esempio, i sottoproletari, fino a pochi anni fa, rispettavano la cultura e non si 45     vergognavano della propria ignoranza. Anzi, erano fieri del proprio modello popolare di analfabeti in possesso però del mistero della realtà. Guardavano con un certo disprezzo spavaldo i «figli di papà», i piccoli borghesi, da cui si dissociavano, anche quando erano costretti a servirli. Adesso, al contrario, essi cominciano a vergognarsi della propria ignoranza: hanno abiurato dal proprio modello culturale (i 50     giovanissimi non lo ricordano neanche più, l’hanno completamente perduto), e il nuovo modello che cercano di imitare non prevede l’analfabetismo e la rozzezza. I ragazzi sottoproletari – umiliati – cancellano nella loro carta d’identità il termine del loro mestiere, per sostituirlo con la qualifica di «studente». Naturalmente, da quando hanno cominciato a vergognarsi della loro ignoranza, hanno cominciato 55     anche a disprezzare la cultura (caratteristica piccolo borghese, che essi hanno subito acquisito per mimesi ). Nel tempo stesso, il ragazzo piccolo borghese, nell’adeguarsi 7 al modello «televisivo» – che, essendo la sua stessa classe a creare e a volere, gli è sostanzialmente naturale – diviene stranamente rozzo e infelice. Se i sottoproletari si sono imborghesiti, i borghesi si sono sottoproletarizzati. La cultura che essi 60     producono, essendo di carattere tecnologico e strettamente pragmatico, impedisce al vecchio «uomo» che è ancora in loro di svilupparsi. Da ciò deriva in essi una 8 specie di rattrappimento delle facoltà intellettuali e morali. La responsabilità della televisione, in tutto questo, è enorme. Non certo in quanto «mezzo tecnico», ma in quanto strumento del potere e potere essa stessa. 65     Essa non è soltanto un luogo attraverso cui passano i messaggi, ma è un centro elaboratore di messaggi. È il luogo dove si fa concreta una mentalità che altrimenti non si saprebbe dove collocare. È attraverso lo spirito della televisione che si manifesta in concreto lo spirito del nuovo potere. Non c’è dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e 70     repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo. Il giornale fascista e le scritte sui cascinali di slogans mussoliniani fanno ridere: come (con dolore) l’aratro rispetto a un trattore. Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l’anima del popolo italiano: il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione 75     9 (specie, appunto, la televisione), non solo l’ha scalfita, ma l’ha lacerata, violata, bruttata per sempre… 1 0  imitazione. Tra gli atteggiamenti piccolo borghesi che ora i sottoproletari tendono a imitare c’è, per Pasolini, anche il disprezzo della cultura. 7  mimesi: i borghesi si “sottoproletarizzano”, quindi regrediscono nella scala sociale, perché la loro nuova cultura, tutta di tipo tecnologico e pratico, impedisce loro di sviluppare le qualità prettamente umane e spirituali. La cultura… di svilupparsi: 8 il totalitarismo della società dei consumi. il nuovo fascismo: 9 sporcata. bruttata: 10  >> pagina 630  Dentro il TESTO I contenuti tematici La società oggi, dei consumi esercita sulle coscienze un potere coercitivo e omologante pressoché assoluto, e per questo ben superiore a quello della dittatura fascista: Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi (rr. 9-10). Infatti la dittatura mussoliniana per Pasolini aveva ottenuto dal popolo italiano un’obbedienza soltanto di facciata, mentre al contrario, l’adesione ai modelli imposti dal Centro, è totale e incondizionata (rr. 14-15). Perciò – conclude lo scrittore – la «tolleranza» della ideologia edonistica voluta dal nuovo potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana (rr. 16-17): sotto un’apparenza di libertà, infatti, la logica economica che impone beni standardizzati per la massa determina inevitabilmente il rifiuto di ogni diversità. Affinché il sistema funzioni e si regga, gli individui devono assomigliare il più possibile l’uno all’altro, essere – insomma – «a una dimensione», come scriveva il filosofo tedesco Herbert Marcuse (1898-1979). La vera dittatura I mezzi con cui si è arrivati a questo risultato sono per lo scrittore principalmente due: lo sviluppo delle infrastrutture (ampliamento della rete stradale e autostradale, motorizzazione tra le altre) che ha avvicinato tutti al Centro e quello delle comunicazioni di massa, con il ruolo decisivo della televisione e della pubblicità nell’imporre precisi modelli di comportamento . A proposito di questo strumento di comunicazione, che negli anni Sessanta si era diffuso rapidamente e capillarmente anche in Italia, Pasolini interviene con parole di condanna in varie occasioni. Già in un documentario del 1962, La rabbia , egli aveva pronunciato un terribile atto d’accusa: «Una nuova arma è stata inventata per la diffusione dell’insincerità, della menzogna, del cattivo latino! […] Sperimentano modi per dividere la verità e per porgere la mezza verità che rimane attraverso l’unica voce che ha la borghesia per parlare: la voce che contrappone un’ironia umiliante a ogni ideale, la voce che contrappone gli scherzi alla Tragedia, la voce che contrappone il buon senso degli assassini agli eccessi degli uomini miti». E aveva definito i futuri spettatori come «milioni di candidati alla morte dell’anima». Il potere negativo della televisione I modelli di consumo imposti dalla tv e dalla pubblicità sono tuttavia irraggiungibili per la maggior parte degli italiani, che non hanno le possibilità economiche necessarie ad acquistare i beni propagandati e a ottenere un livello di vita adeguato a quegli stessi modelli. L’impossibilità di soddisfare tali bisogni indotti (inautentici, ma comunque presenti nelle persone una volta che essi siano stati instillati) determina frustrazione o addirittura ansia nevrotica (r. 44) che Pasolini riscontra nei suoi connazionali. La frustrazione delle masse  >> pagina 631  Le scelte stilistiche Lo sguardo di Pasolini sulla realtà è certamente molto personale, come lo è il suo modo di procedere nell’argomentazione, che intreccia spesso il rigore dell’analisi sociale a un’originale sensibilità, facendo presa sul lettore sia sul piano razionale sia su quello emotivo, con un taglio saggistico in cui si mescolano toni militanti e passaggi dai toni profetici. La sua tendenza, qui e in diversi altri capitoli degli Scritti corsari , è quella di partire da una premessa di ordine generale, estrema e perentoria, assai chiara dal punto di vista ideologico (il centralismo della società dei consumi è più repressivo di quello della dittatura fascista), per poi svolgere un’analisi serrata attraverso la quale vengono enucleati alcuni concetti: la falsa tolleranza dell’edonismo di massa; l’omologazione da esso determinata; il ruolo coercitivo esercitato dalla televisione; l’appiattimento delle differenze di classe. Nelle righe finali l’autore torna, così il suo ragionamento, all’assunto dal quale era partito, circoscrivendolo però, di prima, riferito al mezzo televisivo: chiudendo “ad anello” dal piano più ampio a quello più specifico Non c’è dubbio […] che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo (rr. 70-71). La struttura argomentativa Verso le COMPETENZE Comprendere Quali due totalitarismi confronta Pasolini fra loro? Come argomenta tale paragone? 1 Quale perdita ha determinato l’avvento del mezzo televisivo? 2 Perché (r. 33) di cui parla l’autore è giudicato profondamente irreligioso? 3 l’edonismo di massa Perché la televisione viene definita (r. 65)? 4 strumento del potere e potere essa stessa Analizzare Individua le anafore e le ripetizioni di termini. Qual è il loro scopo? 5 Rintraccia i vocaboli che evidenziano, sul piano ideologico, i presupposti marxisti dell’autore. 6 (rr. 16-17): di quale figura retorica si tratta? 7 La «tolleranza» della ideologia edonistica […] è la peggiore delle repressioni della storia umana Quale figura retorica possiamo ravvisare nell’inciso (rr. 37-38)? 8 e, s’intende, vanno ancora a messa la domenica: in macchina Interpretare Quali potrebbero essere il di cui lo scrittore parla alle rr. 28-29? 9 valore umanistico e le scienze umane Che cosa significa che in passato i sottoproletari erano (r. 47)? 10 analfabeti in possesso però del mistero della realtà Perché il ragazzo piccolo-borghese nell’adeguarsi ai modelli imposti dalla televisione (r. 59)? 11 diviene stranamente rozzo e infelice Produrre Le riflessioni di Pasolini contenute in questo brano (sul consumismo, sul ruolo della televisione e sulla crisi della religione tradizionale ecc.) ti sembrano ancora attuali oppure no? Argomentala tua risposta in un testo di circa 40 righe. 12 Scrivere per argomentare. Trasforma questo articolo in un’intervista in cui immagini di essere un cronista a colloquio con Pasolini. 13 Scrivere per rielaborare. Dibattito in classe Pasolini addebita alla televisione una responsabilità decisiva nel processo di omologazione culturale. Ti sembra che anche oggi essa abbia questo potere, o è stata superata dai nuovi media e dai social network? Discutine con i tuoi compagni. 14