Umanesimo e Rinascimento – L'autore: Niccolò Machiavelli 3 I grandi temi Tra politica e letteratura: l’autoritratto La scrittura epistolare svolge per Machiavelli la funzione del diario, in cui riversare idee e stati d’animo, aggiungendo di volta in volta qualche spunto, serio o giocoso, con cui descrivere sé stesso e manifestare agli amici la passione con cui ha alimentato la propria unica, vera vocazione: la politica. Dunque, per iniziare a conoscere più da vicino Machiavelli, proponiamo la lettura di una lettera. Si tratta di un’epistola scritta in un momento di grande amarezza: con la fine della repubblica e la restaurazione medicea, egli si trova relegato nella condizione di , costretto a svolgere attività di poco conto e a frequentare uomini di basso livello. esiliato La politica, passione di una vita Tuttavia, Machiavelli non rinuncia allo . Smessi gli abiti della giornata, sporchi del fango della campagna, indossa abiti eleganti. Il dialogo – Niccolò parla di «conversazione» – con i suoi autori esige serietà e rispetto. Le difficoltà della vita reale vengono così dimenticate: la missione da compiere è scrivere e dimostrare con il suo «opuscolo», , che gli anni vissuti in prima linea, lui, il segretario Machiavelli, non se li è «né dormiti né giuocati». studio degli storici antichi Il Principe L’autobiografia di un uomo in prima linea Esistenza privata e militanza politica si trovano, del resto, sempre intrecciate nell’insieme tragico e comico della vita. Tuttavia anche la comicità, la beffa, le fantasie meno edificanti e più terrene fanno parte di quella che la curiosità di Machiavelli investiga e considera come una parte di sé. Per questo non dobbiamo stupirci se in tutta la sua opera troviamo anche risvolti più bassi e quasi degradanti e se lo studio degli ingranaggi dell’alta politica si accompagna all’osservazione di un mondo reale meschino e apparentemente privo di interesse: è la capacità di Machiavelli di indagare con sottigliezza e profondità la natura degli esseri umani. composita e contraddittoria realtà Un curioso osservatore della vita  T1  L’epistola a Francesco Vettori del 10 dicembre 1513 Epistolario È la lettera più nota dell’ machiavelliano: vi ritroviamo un quadro vivace e colorito della vita semplice che l’autore, estromesso dalla politica, è costretto a condurre nella sua casa di campagna, all’Albergaccio, nel piccolo borgo di contadini vicino a San Casciano. Tuttavia, pur a contatto con gente rozza e incolta, non si è esaurita la passione intellettuale di Machiavelli, che annuncia all’amico (ambasciatore di Firenze a Roma) l’avvenuta stesura del . Epistolario Principe La lezione dei classici Magnifico ambasciatore. Tarde non furon mai grazie divine. Dico questo, perché mi pareva haver perduta no, ma smarrita la grazia vostra, sendo stato voi assai 1 2 3 è una citazione a memoria del petrarchesco («Ma tarde non fur mai grazie divine»), come a dire ironicamente che la lettera dell’amico gli è giunta assai gradita anche se con un certo ritardo rispetto alle attese. non perduta per sempre, ma solo smarrita, con la speranza di ritrovarla. essendo. 1 Tarde… divine: Trionfo dell’eternità 2 perduta no, ma smarrita: 3 sendo:  >> pag. 751  tempo senza scrivermi; ed ero dubbio donde potessi nascere la cagione. E di tutte quelle mi venivono nella mente tenevo poco conto, salvo che di quella quando io dubitavo non vi havessi ritirato da scrivermi, perché vi fussi suto scritto che io non fussi buon massaio delle vostre lettere; e io sapevo che, da Filippo e Pagolo in fuora, altri per mio conto non le haveva viste. Hònne rihaùto per l’ultima vostra de’ 23 del passato, dove io resto contentissimo vedere quanto ordinatamente e quietamente voi esercitate cotesto ufizio publico; e io vi conforto a seguire così, perché chi lascia i sua comodi per li comodi d’altri, e’ perde e’ sua, e di quelli non li è saputo grado. E poiché la fortuna vuol fare ogni cosa, ella si vuole lasciarla fare, stare quieto e non le dare briga, e aspettar tempo che la lasci fare qualche cosa agl’huomini; e all’hora starà bene a voi durare più fatica, vegliar più le cose, e a me partirmi di villa e dire: eccomi. Non posso pertanto, volendo rendere pari grazie, dirvi in questa mia lettera altro che qual sia la vita mia; e se voi giudicate che sia a barattarla con la vostra, io sarò contento mutarla. Io mi sto in villa; e poi che seguirono quelli miei ultimi casi, non sono stato, ad accozzarli tutti, venti dì a Firenze. Ho insino a qui uccellato a’ tordi di mia mano. Levavomi innanzi dì, impaniavo, andavone oltre con un fascio di gabbie addosso, che parevo el Geta quando e’ tornava dal porto con i libri di Amphitrione; pigliavo el meno dua, el più sei tordi. E così stetti tutto settembre. Di poi questo badalucco, ancoraché dispettoso e strano, è mancato con mio dispiacere: e quale la vita mia vi dirò. Io mi lievo la mattina con el sole, e vòmmene in un mio bosco che io fo tagliare, dove sto dua ore a rivedere l’opere del giorno passato, e a passar tempo con quegli tagliatori, che hanno sempre qualche sciagura alle mani o fra loro o co’ vicini. E circa questo bosco io vi harei a dire mille belle cose che mi sono intervenute, e con Frosino da Panzano e con altri che voleano di queste legne. E Frosino in spezie mandò per certe cataste senza dirmi nulla; e al pagamento, mi voleva rattenere dieci lire, che dice aveva havere da me quattro 4 5 5 6 7 8 9 10 11 12 10 13 14 15 16 17 18 15 19 20 21 22 23 24 25 26 20 27 28 29 30 31 32 25 33 34 35 36 37 mi chiedevo da dove potesse scaturire il motivo ( ) di tale ritardo. tranne quando pensavo che aveste smesso di scrivermi. fosse stato scritto. custode. Machiavelli temeva cioè che qualcuno avesse messo in dubbio la sua riservatezza, insinuando che avesse fatto leggere ad altri le lettere di Vettori. a eccezione di Filippo (Casavecchia) e Paolo (Vettori), rispettivamente amico comune e fratello del destinatario. per quel che mi riguarda. ne ho riavuto (della , r. 2), cioè sono stato rinfrancato grazie alla ( ) vostra ultima lettera del 23 del mese passato, ossia di novembre. incarico politico. andare avanti. i propri interessi. perde i propri interessi e di quelli degli altri non gli è serbata riconoscenza. bisogna lasciare che agisca come vuole. contrastarla. vigilare. lasciare la casa di campagna dell’Albergaccio, dove Machiavelli si trovava in confino. ricambiare il vostro favore, cioè descrivere la propria vita così come aveva fatto Vettori, raccontando la sua nell’ultima lettera. valga la pena scambiarla. accaddero. Machiavelli allude all’arresto e alla tortura subiti nel febbraio 1513 per la sua presunta partecipazione a una congiura antimedicea. a metterli insieme (i giorni). cacciato in prima persona i tordi. mi svegliavo prima dell’alba. preparavo le panie (le trappole per catturare gli uccelli). con autoironia, Machiavelli si paragona allo schiavo Geta che, in una novella anonima quattrocentesca, , ispirata a una commedia di Plauto, porta sulle spalle i libri del suo padrone Anfitrione, appena tornato in patria dopo gli studi ad Atene. come minimo. dopo, questo passatempo ( ), per quanto fatto per forza ( ) e inconsueto. come sia. me ne vado. il lavoro. lite in corso. è detto con ironia. successe. in particolare, ordinò di andare a prendere. trattenere. 4 ero… cagione: la cagione 5 salvo… scrivermi: 6 fussi suto scritto: 7 massaio: 8 da Filippo… in fuora: 9 per mio conto: 10 Hònne… del passato: grazia vostra per 11 ufizio publico: 12 seguire: 13 i sua comodi: 14 e’ perde… grado: 15 ella… fare: 16 le dare briga: 17 vegliar: 18 partirmi di villa: 19 rendere pari grazie: 20 sia a barattarla: 21 seguirono: 22 miei ultimi casi: 23 ad accozzarli: 24 uccellato… mia mano: 25 Levavomi… dì: 26 impaniavo: 27 che parevo… Amphitrione: Geta e Birria 28 el meno: 29 Di poi… strano: badalucco dispettoso 30 quale: 31 vòmmene: 32 l’opere: 33 sciagura alle mani: 34 belle: 35 intervenute: 36 in spezie mandò per: 37 rattenere:  >> pag. 752  anni sono, che mi vinse a cricca in casa Antonio Guicciardini. Io cominciai a fare el diavolo, volevo accusare el vetturale, che vi era ito per esse, per ladro. Tandem Giovanni Machiavelli vi entrò di mezzo, e ci pose d’accordo. Batista Guicciardini, Filippo Ginori, Tommaso del Bene e certi altri cittadini, quando quella tramontana soffiava, ognuno me ne prese una catasta. Io promessi a tutti; e manda’ne una a Tommaso, la quale tornò a Firenze per metà, perché a rizzarla vi era lui, la moglie, la fante, i figlioli, che pareva el Gaburra quando el giovedì con quelli suoi garzoni bastona un bue. Dimodoché, veduto in chi era guadagno, ho detto agli altri che io non ho più legne; e tutti ne hanno fatto capo grosso, e in specie Batista, che connumera questa tra le altre sciagure di Prato. Partitomi del bosco, io me ne vo ad una fonte, e di quivi in un mio uccellare. Ho un libro sotto, o Dante o Petrarca, o uno di questi poeti minori, come Tibullo,  Ovidio e simili: leggo quelle loro amorose passioni, e quelli loro amori ricordomi de’ mia: gòdomi un pezzo in questo pensiero. Transferiscomi poi in sulla strada, nell’hosteria;  parlo con quelli che passono, dimando delle nuove de’ paesi loro; intendo  varie cose, e noto varii gusti e diverse fantasie d’huomini. Viene in questo mentre l’hora del desinare, dove con la mia brigata mi mangio di quelli cibi che questa povera  villa e paululo patrimonio comporta. Mangiato che ho, ritorno nell’hosteria:  quivi è l’hoste, per l’ordinario, un beccaio, un mugnaio, dua fornaciai. Con questi  io m’ingaglioffo per tutto dì giuocando a cricca, a trichtrach,  e poi dove nascono  mille contese e infiniti dispetti di parole iniuriose; e il più delle volte si combatte un  quattrino, e siamo sentiti non di manco gridare da San Casciano. Così, rinvolto in tra  questi pidocchi, traggo el cervello di muffa, e sfogo questa malignità di questa mia sorta, sendo contento mi calpesti per questa via, per vedere se la se ne vergognassi. Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in sull’uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali 30 38 39 40 41 42 43 44 45 35 46 47 48 49 50 40 51 52 53 54 55 45 56 57 58 59 60 61 62 50 63 64 65 66 67 55  68 doveva avere da me da quattro anni. è un gioco di carte. in casa di Antonio Guicciardini (personaggio a noi ignoto). io mi arrabbiai; volevo accusare di furto il carrettiere ( ) che era andato a prenderle (si intende le cataste di legna). infine (latino). anche questo è un personaggio ignoto, al pari di tutti gli altri citati, con la sola esclusione di Battista ( ) Guicciardini, podestà di Prato. fece da paciere. prenotò. la quale, una volta arrivata a Firenze, risultò essere ( ) la metà rispetto a quello che era, poiché ad accatastarla ( ) c’erano lui, la moglie, la serva ( ), i figli. Machiavelli intende dire che la famiglia di Tommaso ha pigiato la legna con tanta forza da sembrare tale Gaburra, presumiamo un macellaio, abituato il giovedì ad ammazzare un bue con l’aiuto dei suoi garzoni. La catasta si misurava in base al volume, e Tommaso e i suoi familiari l’avevano compressa in modo che sembrasse mezza catasta e fosse quindi pagata di meno. Così Niccolò subiva una vera e propria truffa. per chi effettivamente (non certo per l’autore). se la sono presa a male (espressione idiomatica). annovera. è l’uccelliera, il luogo deputato alla cattura (con le trappole) degli uccelli. sottobraccio. considerati da Machiavelli tali perché poeti di materia amorosa e non epica, quali furono i latini Tibullo (ca 50-19 a.C.) e Ovidio (43 a.C.-17 d.C.). mi fanno ricordare dei miei amori. notizie. umori. e così giunge. si intende la famiglia. che questa modesta dimora di campagna e il mio piccolo ( , latinismo) patrimonio permettono. macellaio. il verbo, di originale conio machiavelliano, significa alla lettera “mi trasformo in un gaglioffo, in un fannullone”, come dovevano essere – evidentemente – gli abituali frequentatori di osterie. gioco con dadi e pedine da muovere su una scacchiera. la posta in palio è poca cosa ( ), ma tuttavia ( ) ci sentono gridare (per le discussioni violente generate dal gioco) fino a San Casciano (a tre chilometri di distanza). È un’iperbole. mescolato tra questa gente infima ( ). con l’orgoglio di chi non vuole arrendersi alla malasorte, Machiavelli sottolinea che la forzata inattività non gli ammuffirà il cervello. essendo contento che continui a calpestarmi in questo modo, per vedere se alla fine essa stessa (cioè la cattiva sorte) non provi vergogna per avermi inflitto questo trattamento. studio. sono sinonimi. 38 aveva… sono: 39 cricca: 40 in casa… Guicciardini: 41 Io… ladro: vetturale 42 Tandem: 43 Giovanni Machiavelli: Batista 44 vi entrò di mezzo: 45 prese: 46 la quale… i figlioli: tornò rizzarla fante 47 che pareva… un bue: 48 in chi: 49 ne hanno… grosso: 50 connumera: 51 uccellare: 52 sotto: 53 minori: 54 ricordomi de’ mia: 55 nuove: 56 fantasie: 57 Viene in questo mentre: 58 brigata: 59 che questa… comporta: paululo 60 beccaio: 61 m’ingaglioffo: 62 trich-trach: 63 si combatte… San Casciano: si combatte un quattrino non di manco 64 rinvolto… pidocchi: pidocchi 65 traggo… muffa: 66 sendo… vergognassi: 67 scrittoio: 68 di fango e di loto:  >> pag. 753  e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch’io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro humanità mi rispondono; e non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro. E perché Dante dice che non fa scienza sanza lo ritenere lo havere inteso – io ho notato quello di che per la loro conversazione ho fatto capitale, e composto uno opuscolo ; dove io mi profondo quanto io posso nelle cogitazioni di questo subietto, disputando che cosa è principato, di quale spezie sono, come e’ si acquistono, come e’ si mantengono, perché e’ si perdono. E se vi piacque mai alcuno mio ghiribizzo, questo non vi doverrebbe dispiacere; e a un principe, e massime a un principe nuovo, doverrebbe essere accetto: però io lo indirizzo alla Magnificentia di Giuliano. Filippo Casavecchia l’ha visto; vi potrà ragguagliare in parte e della cosa in sé e de’ ragionamenti ho hauto seco, ancora che tutta volta io l’ingrasso e ripulisco. Voi vorresti, magnifico ambasciatore, che io lasciassi questa vita, e venissi a godere con voi la vostra. Io lo farò in ogni modo; ma quello che mi tenta hora è certe mie faccende, che fra sei settimane l’harò fatte. Quello che mi fa star dubbio è, che sono costì quelli Soderini, e quali sarei forzato, venendo costì, visitarli e parlar loro. Dubiterei che alla tornata mia io non credessi scavalcare a casa, e scavalcassi nel Bargiello; perché, ancora che questo stato habbia grandissimi fondamenti e gran securità, tamen egli è nuovo, e per questo sospettoso; né manca di saccenti, che per parere, come Pagolo Bertini, metterebbono altri a scotto, e lascierebbono el pensiero a me. Pregovi mi solviate questa paura, e poi verrò in fra el tempo detto a trovarvi a ogni modo. 69 70 71 72 60 73 74 75 De principatibus 76 65  77 78 79 80 81 70  82 83 75  84 80  85 86 degni di re e di corti. Questo mutamento delle vesti ha naturalmente un valore metaforico: l’incontro con i classici impone un abbigliamento degno di loro. in modo adeguato (all’impegno intellettuale a cui si predispone). mi nutro di quel cibo (lo studio della politica) che è l’unico ( , latino) mio (poiché mi ci sento portato) e per il quale io nacqui. interrogarli. è l’espressione chiave di tutta la lettera. Dimenticate le umiliazioni quotidiane, Niccolò si immerge nel dialogo con i classici. citando i vv. 41-42 del canto V del , Machiavelli intende sottolineare che per sapere qualcosa non è sufficiente averla capita, ma è necessario anche fissarla nella mente ( ). ho annotato ciò che ho imparato ( ) dalla loro frequentazione. “Sui principati”. È il titolo latino del . approfondisco quanto mi è possibile le riflessioni ( , latinismo) su questo argomento. opera di poco conto. La falsa modestia è un letterario. L’autore, in realtà, sa bene che la propria opera non è un capriccio estemporaneo, ma una meditata e rivoluzionaria analisi della politica. soprattutto (latinismo). perciò. figlio di Lorenzo il Magnifico, Giuliano de’ Medici può essere considerato da Machiavelli un , in quanto da poco tornato a Firenze dopo la caduta della repubblica (1512). Morto Giuliano (1516), avrà un altro destinatario: come vedremo, si tratterà di Lorenzo di Piero de’ Medici, duca di Urbino e nipote di Giuliano. sebbene io continui ( ) ad arricchirlo e a correggerlo. mi trattiene. ciò che mi rende dubbioso è che a Roma ( ) ci sono i Soderini, ai quali, venendo lì, mi sentirei in obbligo di rendere visita e rivolgere la parola. Come abbiamo visto nella biografia, i rapporti tra Machiavelli e l’ex gonfaloniere della Repubblica fiorentina Pier Soderini erano stati strettissimi: frequentarlo a Roma (dove Soderini era in esilio) comportava il rischio di perdere per sempre la fiducia dei Medici, che lo scrittore stava faticosamente cercando di recuperare. (se venissi a Roma) temerei che al mio ritorno (a Firenze) io creda di smontare da cavallo ( ) a casa mia, ma smonti invece nel Bargello (cioè, la sede delle carceri fiorentine); perché, sebbene questo Stato (cioè il regime dei Medici) abbia basi solidissime e sia in condizioni di assoluta sicurezza, tuttavia ( , latino) è uno Stato nuovo e perciò è sul chi va là ( ); né vi mancano degli intriganti ( ) che, per fare bella mostra di sé come Paolo Bertini (personaggio a noi ignoto), inviterebbero altri all’osteria e lascerebbero poi da pagare a me (lo è il prezzo del vitto e dell’alloggio, ma il passo, nella sua parte conclusiva, è di incerta interpretazione). mi liberiate da. 69 reali e curiali: 70 condecentemente: 71 mi pasco… per lui: solum 72 domandarli: 73 tutto… loro: 74 Dante… inteso: Paradiso lo ritenere 75 ho notato… capitale: ho fatto capitale 76 : De principatibus Principe 77 mi profondo… subietto: cogitazioni 78 ghiribizzo: topos 79 massime: 80 però: 81 Giuliano: principe nuovo Il Principe 82 ancora che… ripulisco: tutta volta 83 mi tenta: 84 Quello… loro: costì 85 Dubiterei… a me: scavalcare tamen sospettoso saccenti scotto 86 mi solviate:  >> pag. 754  Io ho ragionato con Filippo di questo mio opuscolo, se gli era ben darlo o non lo dare; e, sendo ben darlo, se gli era bene che io lo portassi, o che io ve lo mandassi.  El non lo dare mi faceva dubitare che da Giuliano e’ non fussi, non che altro, letto; e  che questo Ardinghelli si facessi onore di questa ultima mia fatica. El darlo mi faceva la necessità che mi caccia, perché io mi logoro, e lungo tempo non posso stare così che io non diventi per povertà contennendo, appresso al desiderio harei che  questi signori Medici mi cominciassino adoperare, se dovessino cominciare a farmi voltolare un sasso; perché, se poi io non me gli guadagnassi, io mi dorrei di me; e per questa cosa, quando la fussi letta, si vedrebbe che quindici anni, che io sono stato a studio all’arte dello stato, non gli ho né dormiti né giuocati; e doverrebbe ciascheduno haver caro servirsi di uno che alle spese di altri fussi pieno di esperienza. E della fede mia non si doverrebbe dubitare, perché, havendo sempre observato la fede, io non debbo imparare hora a romperla; e chi è stato fedele e buono quarantatré anni, che io ho, non debbe poter mutare natura; e della fede e bontà mia ne è testimonio la povertà mia. Desidererei adunque che voi ancora mi scrivessi quello che sopra questa materia vi paia. E a voi mi raccomando. . . 87 85  88 89 90 91 92 93 94 95 90  96 97 98 99 95  100 101 Sis felix 102 Die 103 10 Decembris 1513 se era bene o no darlo (l’ , cioè ); s’intende a Giuliano de’ Medici. a non darlo mi spingeva il dubbio che da Giuliano non fosse nemmeno letto; e che questo Ardinghelli se lo attribuisse come un’opera sua. Pietro Ardinghelli (1470-1526), segretario personale di papa Leone X e uomo di fiducia dei Medici, era nemico di Machiavelli. a darlo mi spingeva. mi stimola. non posso vivere più tanto a lungo in tale stato senza diventare oggetto di disprezzo ( , latinismo) a causa della mia povertà. senza considerare il desiderio che avrei. iniziassero a mettermi al loro servizio. se anche dovessero cominciare con il comandarmi di far rotolare un sasso (cioè di occuparmi di incarichi di poca importanza). non ne ottenessi la fiducia. l’ . che i quindici anni impiegati nell’attività politica (dal 1498 al 1512) non sono stati sprecati ( ). al servizio di altri (cioè della repubblica) abbia maturato una lunga esperienza. fedeltà. sicuramente non può. la maniera più giusta per consegnare l’ a Giuliano de’ Medici. sii felice (formula augurale latina). giorno (latino). 87 se gli era… dare: opuscolo Il Principe 88 El non… fatica: 89 El… faceva: 90 mi caccia: 91 lungo tempo… contennendo: contennendo 92 appresso… harei: 93 mi… adoperare: 94 se dovessino… sasso: 95 non me gli guadagnassi: 96 questa cosa: opuscolo 97 che… giuocati: né dormiti né giuocati 98 alle spese… esperienza: 99 fede: 100 non debbe poter: 101 questa materia: opuscolo 102 : Sis felix 103 : Die Dentro il testo       I contenuti tematici La lettera si apre con i convenevoli di rito. Eppure, già possiamo cogliere una punta di bonaria canzonatura, che anticipa il della missiva nel suo complesso. Il destinatario (chiamato ampollosamente , come imporrebbe un cerimoniale ufficiale) si è fatto attendere a lungo, visto che ha scritto e inviato una lettera con un certo ritardo. Ma – ironizza Machiavelli con una citazione petrarchesca – (r. 1), come a dire “meglio tardi che mai”. Quindi il mittente lo esorta, scherzosamente, a essere soddisfatto del suo incarico politico (che ha solo una rilevanza di facciata) e a vivere (rr. 8-9), cioè alla giornata, senza avere altre – troppe – pretese. carattere colloquiale Magnifico Tarde non furon mai grazie divine ordinatamente e quietamente L’inizio ironico  >> pag. 755  Dopo l’ironia, però cambia e . Lo impone l’argomento, che tocca personalmente l’animo dell’autore: la fortuna, contro la cui malignità sembrerebbe che non ci siano antidoti. (rr. 11-12), cioè è necessario lasciare che faccia come vuole. Si tratta di una dichiarazione di impotenza contraddetta nel , dove Machiavelli invece sottolinea la possibilità che la virtù individuale possa almeno dimezzare il raggio d’azione della fortuna. Tuttavia, Machiavelli evita di rimpiangere con nostalgia gli anni operosi in cui esercitava un importante ruolo pubblico. Egli infatti non esclude che la sorte possa girare e riammetterlo nel gioco politico: starà a lui in tal caso farsi trovare pronto a mettersi a disposizione dello Stato, come sottolinea la forza dell’espressione conclusiva ( , r. 14). il tono si fa serio Ella si vuole lasciarla fare Principe eccomi Un primo sguardo su sé stesso: la condanna della fortuna Dal secondo capoverso Machiavelli inizia a descrivere la propria vita quotidiana nell’esilio forzato di San Casciano: dopo il periodo settembrino dell’uccellagione, adesso è solito recarsi al bosco per controllare il lavoro dei tagliatori di legna, dove c’è un primo momento di ritiro intellettuale. L’autore si riposa vicino a una fonte, in compagnia di testi amorosi dei poeti latini Tibullo e Ovidio (rr. 40-42): una specie di ozio rilassante, una divagazione leggera, presto interrotta da un’attività più utile, la conoscenza degli uomini. Egli infatti, dopo una prima sosta e il pranzo, si reca in osteria. È qui che la sua curiosità lo spinge a mischiarsi con gli abitanti del contado. Si “ingaglioffa” giocando a carte, condividendo umori plebei, umiliandosi al più infimo livello, quasi a farsi beffe vb del destino che lo ha costretto a tale degradazione ( , rr. 52-53). E, tuttavia, Machiavelli non rinuncia a fare tesoro anche di questa situazione: immergersi nella realtà dell’osteria significa entrare in contatto con , che gli fornirà l’occasione per investigare le relazioni e i comportamenti umani, anche quelli più vili e animaleschi. L’autore guarda a questo universo con un filo di paternalistico snobismo: le espressioni usate ( , appunto, r. 49, ma anche , r. 52) suggeriscono una sorta di presa di distanza dell’intellettuale da quell’umile regno di modesti lavoratori manuali (il macellaio, il mugnaio, i fornai). sfogo questa malignità di questa mia sorta un’umanità semplice m’ingaglioffo pidocchi La vita quotidiana al confino Al racconto autoironico delle attività diurne subentra poi quello serale, più serio e intellettuale. Ma sono due facce della stessa medaglia: la conversazione con i frequentatori dell’osteria è infatti sostituita da quella con gli (rr. 56-57), dai quali egli si attende di ricavare preziosi insegnamenti. Di questa lezione Machiavelli ha colto i frutti nell’ che ha finito di redigere: grazie al , pur tra mille titubanze (espresse in forma di dilemma: […] , rr. 82-83), spera di essere riammesso nei luoghi ufficiali della politica, che più gli spettano in virtù delle competenze tecniche acquisite e delle qualità di disinteressato servitore dello Stato da lui già mostrate, pur in un regime politico diverso da quello presente. Eppure, : il destino dell’ex segretario dipende da altri, non da lui (una condizione di drammatica incertezza sottolineata dagli ultimi verbi della lettera, quasi tutti al modo condizionale: per due volte, ). antiqui huomini opuscolo Principe se gli era ben darlo o non lo dare; che io lo portassi, o che io ve lo mandassi la speranza è venata dal dubbio harei, mi dorrei, si vedrebbe, doverrebbe Desidererei Il riscatto serale Le scelte stilistiche Le due facce della personalità di Machiavelli si riverberano anche nello stile. Con grande capacità mimetica di , l’autore alterna con disinvoltura una forma più bassa, quando narra dell’episodio all’osteria, e una più alta, quando descrive il proprio colloquio con i classici. Nel primo caso, abbiamo modi popolari e gergali quali (r. 31) e (r. 38). Anche la rappresentazione di sé stesso che l’autore sviluppa adotta immagini caricaturali dal forte sapore espressivo, come quando si paragona al servo di Anfitrione o descrive la propria condizione ( , r. 49; , rr. 51-52). adattare la lingua al contesto fare el diavolo hanno fatto capo grosso m’ingaglioffo rinvolto in tra questi pidocchi La varietà mimetica dello stile: il lessico popolaresco e quello sostenuto  >> pag. 756  Ben diverso è il procedimento stilistico utilizzato per ritrarre il raccoglimento interiore a contatto con gli amati classici. In questo caso la forma si fa solenne, si addensano le figure retoriche e il lessico si fa più elaborato, a supporto dell’ , ora ( , rr. 55-56; , rr. 56-57). autoritratto non più ironico ma elevato mi metto panni reali e curiali entro nelle antique corti delli antiqui huomini Verso le competenze       COMPRENDERE Chi sono gli interlocutori ideali con cui l’autore si intrattiene nei suoi incontri notturni? 1 Che significato assume per Machiavelli il cambiamento serale degli abiti? 2 Per quale motivo Machiavelli è restio a recarsi a Roma? 3 Nella parte finale dell’epistola, Machiavelli accenna chiaramente alla stesura di un’opera. Di quale opera si tratta? Di che natura sono i dubbi dell’autore sulla sua diffusione? 4 ANALIZZARE Individua le sei sequenze della lettera, assegna a ciascuna di esse un titolo e riassumine il contenuto, specificando per ogni situazione descritta dall’autore il tempo in cui essa si svolge, il luogo, lo stile e la lingua impiegati nel racconto della circostanza. 5 Individua e registra le espressioni popolaresche presenti nella lettera. 6 INTERPRETARE Quali inclinazioni emergono nell’indole di Machiavelli quando si dedica a comportamenti futili e viene a contatto con uomini di modesta cultura? 7 PRODURRE Dopo la lettura della lettera, possiamo dire di sapere tutto (o quasi) della vita quotidiana di Machiavelli nel suo esilio all’Albergaccio. Nelle vesti fittizie di giornalista, immagina di intervistarlo, facendolo esprimere nel linguaggio di oggi, senza rinunciare al colore e alla vivacità del suo stile. 8 Alla ricerca delle regole della politica: la lezione della Storia Lo scopo di tutta l’opera machiavelliana è fornire indicazioni utili a superare la crisi che sta vivendo l’Italia, frammentata in una serie di deboli Stati regionali o cittadini, e incapace – politicamente, militarmente e moralmente – di emanciparsi dalla crescente ingerenza delle potenze europee. Da questa deriva la scelta di concentrarsi invece sugli avvenimenti contemporanei, nel tentativo di capire il presente e fornire gli strumenti per mettere fine alle contese particolaristiche e per rendere così possibile la formazione di uno Stato unitario forte e sicuro, sia all’interno sia all’esterno. finalità pratica Un’opera pratica… Tuttavia, se l’opera di Machiavelli – , in particolare – è legata a uno specifico momento storico, va detto che non si esaurisce in esso. È vero che la sua riflessione nasce dal rapporto diretto che l’autore – politico impegnato in prima persona – vive con la realtà storica, ma le soluzioni proposte indicano norme e strategie che hanno una validità universale, al di là delle circostanze che le hanno generate. Il realismo adottato nell’indagare la realtà rappresenta infatti il cardine di un nuovo principio teorico e la base di una , affidata cioè allo studio realistico delle circostanze e all’esperienza, sia quella diretta e personale del testimone della vita politica del tempo, sia quella assimilata dalle fonti storiche antiche e moderne. Il Principe metodologia empirica … ma anche un’opera teorica  >> pag. 757  Machiavelli è convinto che una valida dottrina politica possa venire alla luce «facendo profitto» dei comportamenti umani, sin dall’antichità. La Storia acquisisce quindi una valenza pedagogica: essa è, secondo la concezione umanistica, “maestra di vita”. Questa visione della Storia si fonda sul presupposto che, pur in epoche lontane e apparentemente diverse, l’uomo conservi sempre il medesimo comportamento e sia animato dalle stesse pulsioni (Machiavelli parla di «appetiti», con evidente riferimento alla natura animale delle insaziabili ambizioni umane). Come prescriveva la tipica del Rinascimento, anche secondo Machiavelli gli uomini non si trasformano con il succedersi dei secoli, ma rimangono immobili in ogni tempo e latitudine. concezione naturalistica Imparare dalla Storia Per questo, il principe «prudente» deve trovare negli «esempli» del passato i rimedi per risolvere crisi e difficoltà. Con questo invito Machiavelli riafferma un criterio, tipico della cultura umanistica: il . In particolare, gli intellettuali dell’Umanesimo civile fiorentino avevano cercato nell’antichità riferimenti validi per l’impegno pubblico, rivissuto grazie alla fede in una politica animata da virtù individuali e collettive. Machiavelli si colloca a conclusione di questa tradizione: la drammatica coscienza della rovinosa decadenza italiana lo porta a «biasimare i presenti tempi, laudare i passati, e desiderare i futuri» ( , II, Proemio). Ciò spiega la sua nei confronti del proprio tempo, carica polemica che non risparmia anche la tendenza a imitare passivamente e in modo indiscriminato i classici. Anche l’ perciò : non deve ridursi a essere fine a sé stessa, né comportare uno sterile rifugiarsi nel passato. In particolare nella politica, l’imitazione deve configurarsi come il motore del rinnovamento, la spinta decisiva a recuperare «nuova vita e nuova virtù» ( , III, 1). Perché ciò sia possibile, è necessario che essa non sia astratta, generica o libresca, bensì che diventi concreta e operativa, in grado cioè di incidere sulla realtà adattandosi alle specifiche ed effettive condizioni civili, politiche, economiche del presente. principio dell’imitazione Discorsi forte carica polemica imitazione deve essere selettiva Discorsi Si deve imitare il passato, ma non passivamente Per questo Machiavelli evita di indicare una forma di governo perfetta, poiché la soluzione politica e istituzionale giusta è solo quella che meglio sa conformarsi alle particolari e contingenti circostanze del momento. Ciò non toglie che l’autore, nei , esprima la sua personale preferenza per la repubblica, capace più del principato di coinvolgere i diversi gruppi sociali nella gestione del potere, sottratto al monopolio e all’arbitrio dei pochi sui molti. Ma la repubblica non sempre si rivela la forma migliore: essa infatti può prosperare solo dove le basi del vivere civile siano salde e regolate da buone leggi. Quando invece la corruzione dilaga, l’organismo dello Stato è destinato alla rovina e la repubblica può degenerare in anarchia: allora i vecchi ordinamenti non bastano più e ne occorrono di nuovi. In questo caso (che è poi il caso dell’Italia che ha sotto gli occhi) il repubblicano Machiavelli afferma la : soltanto un principe, che gestisca da solo il potere e sia indipendente dai vecchi gruppi egemoni, può salvare dalla rovina un’Italia disunita e priva di guida. Discorsi necessità dell’assolutismo Repubblica o principato: una scelta che dipende dalle circostanze