L’età della Controriforma e del Manierismo – L'autore: Torquato Tasso L’AUTORE NEL TEMPO La fortuna di Tasso è immediata (ancora vivente viene tradotto in latino e nelle maggiori lingue europee), ma da subito accompagnata da polemiche. Il dibattito tra “tassisti” e “ariostisti” – cioè tra i sostenitori dello stile rotto e inquieto di Tasso e i difensori della classicità armonica ed equilibrata dell’ – dura a lungo. Tasso subisce l’ostracismo dell’Accademia della Crusca, che non lo inserisce tra gli autori selezionati per le prime due edizioni del (1612 e 1621), e non piace a Galileo Galilei, che nelle arriva a definire il poema un «ciarpame di parole ammassate». Tuttavia la sua poesia è amata dai poeti barocchi, che vedono in lui un anticipatore di molte caratteristiche tipiche dei loro versi. Inoltre, artisti come Claudio Monteverdi (a cui si deve la nascita del melodramma) ne musicano i versi e pittori quali Tintoretto e Guido Reni rappresentano personaggi ed episodi della in cicli di affreschi. È però solo a partire dal Settecento che Tasso viene indiscutibilmente incluso nel canone dei massimi poeti italiani assieme a Dante, Petrarca e Ariosto. Accanto alla fortuna letteraria vi è quella legata al personaggio di Tasso. Il mito del genio infelice nasce quando egli è ancora vivo; lo alimenta lo scrittore francese Michel de Montaigne che, reduce da una visita nel 1580 all’Ospedale di Sant’Anna, dove il poeta è recluso, delinea il ritratto destinato a durare nel tempo di un uomo malinconico e ormai folle. Icona del dolore e dell’infelicità – così lo ritrae anche la pittura, da Jacopo Bassano a Eugène Delacroix – il poeta diventa una vera e propria maschera letteraria: Goethe lo mette in scena nel dramma intitolato con il suo nome, Byron si immedesima nelle sue sofferenze e compone il poemetto , altri ancora (e tra questi Jean-Jacques Rousseau, che traduce in francese la ) si identificano in lui, cogliendo nelle sue inquietudini lo specchio dei loro stessi turbamenti. All’inizio dell’Ottocento, i suoi versi vengono riconosciuti come un cruciale punto di snodo nella storia della lingua poetica italiana. Per Giacomo Leopardi, l’opera di Tasso costituisce un serbatoio imprescindibile di vocaboli «peregrini» (cioè arcaici e indeterminati) e «arditi». Non solo: la sua figura è emblema della scissione tragica fra il poeta e l’uomo. Il poeta raggiunge con i suoi versi una bellezza destinata a non esaurirsi mai nel tempo; l’uomo è condannato a vivere incompreso dall’indifferenza degli uomini. Nella canzone giovanile , scritta nel 1820, Leopardi si rivolge al poeta in questo modo: «O Torquato, o Torquato, a noi l’eccelsa / tua mente allora, il pianto / a te, non altro, preparava il cielo». È ovvio che, riferendosi a Tasso, in realtà Leopardi parla di sé stesso. Tasso viene fatto oggetto, in effetti, di una vera e propria trasfigurazione: perennemente inappagato, condannato all’infelicità, egli diventa il simbolo della condizione moderna del letterato consapevole dell’infelicità come stato fondamentale dell’esistenza (e in questa veste lo troviamo anche in una delle , dal titolo , scritta nel 1824). Sul piano squisitamente critico, è importante il contributo dato, in pieno Ottocento, da Francesco De Sanctis, il quale valorizza soprattutto l’aspetto lirico-sentimentale a scapito di quello religioso, giudicato inautentico. Anche nel Novecento l’attenzione per l’opera di Tasso non viene meno: accanto agli studi di Lanfranco Caretti, decisivi per cogliere i nessi tra produzione poetica e situazione storico-culturale, ha avuto notevoli sviluppi lo studio dell’opera di Tasso basato sui più diversi strumenti metodologici, da quelli sociologici a quelli psicanalitici. Questi ultimi si sono rivelati particolarmente produttivi per far luce sulla peculiare personalità dell’autore. “Tassisti” e “ariostisti” Orlando furioso Vocabolario Considerazioni al Tasso Gerusalemme liberata Un’icona senza frontiere Il lamento di Torquato Tasso Gerusalemme liberata Nasce il mito romantico di Tasso: l’interpretazione di Leopardi Ad Angelo Mai Operette morali Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare Da De Sanctis a Caretti