Il primo Ottocento – L'autore: Alessandro Manzoni  T3  Lettera sul Romanticismo Nel 1823 il marchese Cesare Taparelli d’Azeglio, padre di Massimo (il quale più tardi diverrà genero di Manzoni, sposandone la primogenita Giulia), pubblica sulla rivista "Amico d’Italia", che invia allo scrittore milanese, accompagnata da una lettera in cui predice al Romanticismo vita breve. Di lì a poco Manzoni gli risponde privatamente con la missiva nota come , in cui espone le proprie idee in merito alle polemiche tra Classicisti e Romantici. La lettera viene stampata nel 1846, contro la volontà dell’autore, che nel 1870 la rivedrà e pubblicherà nelle sue . Qui si riprende il testo della prima e più incisiva stesura. La Pentecoste Lettera sul Romanticismo Opere varie Alla di un nuovo ricerca  pubblico  [...] Mi limiterò ad esporle quello che a me sembra il principio generale a cui si possano ridurre tutti i sentimenti particolari sul positivo romantico. Il principio, di necessità  tanto più indeterminato quanto più esteso mi sembra poter essere questo: che la poesia e la letteratura in genere debba proporsi l'utile per iscopo, il vero per soggetto e l'interessante per mezzo. Debba per conseguenza scegliere gli argomenti pei quali la massa dei lettori ha o avrà, a misura che diverrà più colta, una disposizione di curiosità e di affezione, nata da rapporti reali, a preferenza degli argomenti, pei quali una classe sola di lettori ha una affezione nata da abitudini scolastiche, e la moltitudine una riverenza non sentita né ragionata, ma ricevuta ciecamente. E che in ogni argomento debba cercare di scoprire e di esprimere il vero storico e il vero morale, non solo come fine, ma come più ampia e perpetua sorgente del bello: giacché e nell'uno e nell'altro ordine di cose, il falso può bensì dilettare, ma questo diletto, questo interesse è distrutto dalla cognizione del vero; è quindi temporario e accidentale. Il diletto mentale non è prodotto che dall'assentimento ad una idea; l'interesse, dalla speranza di trovare in quella idea, contemplandola, altri punti di assentimento, e di riposo: ora quando un nuovo e vivo lume ci fa scoprire in quella idea il falso, e quindi l'impossibilità che la mente vi riposi e vi si compiaccia, vi faccia scoperte, il diletto e l'interesse spariscono. Ma il vero storico e il vero morale generano pure un diletto; e questo diletto è tanto più vivo e tanto più stabile, quanto più la mente che gusta è avanzata nella cognizione del vero: questo diletto adunque debbe la poesia e la letteratura proporsi di far nascere. [...] Tale almeno è l'opinione ch'io ho fitta nella mente, e nella quale io mi rallegro, perché questo sistema, non solo in alcune parti, come ho accennato più sopra, ma nel suo complesso mi sembra avere una tendenza religiosa. Questa tendenza era ella nelle intenzioni di quelli che l'hanno proposto, e di quelli che l'hanno approvato? Sarebbe leggerezza l'affermarlo di tutti; perché in molti scritti di teorie romantiche, anzi nella maggior parte, le idee letterarie non sono espressamente subordinate alla religione. Sarebbe temerità il negarlo, anche d'un solo; perché in nessuno di quegli scritti, almeno dei letti da me, la religione è esclusa. Non abbiamo né i dati, né il diritto, né il bisogno di fare un tal giudizio: una tale intenzione, certo desiderabile, certo non indifferente, non è però necessaria per farci dare la preferenza a quel sistema. Basta che in effetto abbia la tendenza 1 5 2 10 3 4 15 20 5 6 25 7 30 la parte propositiva degli ideali romantici. L’autore aveva già esposto le critiche rivolte dal Romanticismo al Classicismo, riguardo all’uso della mitologia e alla sterile imitazione dei classici. la letteratura deve preferire gli argomenti che possano interessare la agli argomenti prediletti dagli eruditi, sulla base della tradizione. temporaneo. assenso. impressa, radicata. quello romantico, basato sulla poetica qui esposta. imprudenza, azzardo. 1 positivo romantico: 2 scegliere gli argomenti… ciecamente: massa dei lettori 3 temporario: 4 assentimento: 5 fitta: 6 questo sistema: 7 temerità:  >> pag. 700  che si è detta. Ora, il sistema romantico, emancipando la letteratura dalle tradizioni etniche, disobbligandola, per così dire, da una morale voluttuosa, superba, feroce, circoscritta al tempo, e improvvida anche in questa sfera, antisociale dove è patriottica, ed egoistica quando cessa d'essere ostile, tende certamente a render meno difficile l'introdurre nella letteratura le idee e i sentimenti che dovrebbero informare ogni discorso. E dall'altra parte, proponendo, anche in termini generalissimi, il vero, l'utile, il buono, il ragionevole, concorre se non altro con le parole, che non è poco, allo scopo della religione, non la contraddice almeno, nei termini. 8 9 35 10 liberandola. incapace di procurare anche sulla Terra la felicità dell'uomo. dotare di forma, modellare, caratterizzare.  8 disobbligandola: 9 improvvida... sfera: 10 informare: Dentro il testo       I contenuti tematici La prima parte della che abbiamo omesso, è dedicata a una serrata critica al vecchio repertorio del Classicismo, ormai in declino: «La mitologia non è morta certamente, ma la credo ferita mortalmente; tengo per fermo che Giove, Marte e Venere faranno la fine che hanno fatta Arlecchino, Brighella e Pantalone, che pure avevano molti e feroci, e taluni ingegnosi sostenitori». Manzoni critica il ricorso alla mitologia non solo per ragioni estetiche, ma anche perché lo ritiene dal punto di vista etico e religioso riprovevole. A suo parere «l'uso della favola è idolatria» e lo riconduce arbitrariamente ai tempi precedenti alla venuta di Cristo. Lettera sul Romanticismo, Contro la mitologia  Il brano della qui riportato riassume i negli anni più attivi e fertili della sua carriera. In armonia tanto con l'eredità dell'Illuminismo milanese quanto con gli ideali cattolici maturati dopo la conversione, lo scrittore ritiene che la letteratura debba proporsi (r. 4), ovvero , e non già ridursi a effimero passatempo. Al tempo stesso reputa necessario della sola classe dei letterati, per mezzo di soggetti interessanti, senza temere di "sporcarsi le mani" con generi allora ritenuti squalificanti per i letterati d'élite, come il romanzo, al quale Manzoni si rivolge giusto in quegli anni, lavorando con impegno anche sul versante stilistico per rendere il suo lavoro accessibile a una vasta platea di lettori. Lettera punti cruciali della poetica di Manzoni l'utile per iscopo svolgere una funzione civile e pedagogica coinvolgere un pubblico più ampio Uno slogan efficace  Ciononostante l'autore milanese non ammette eccezioni alla regola per cui le opere debbano avere (r. 4). Come scrive a Chauvet, «il falso può bensì trastullar la mente, ma non arricchirla, né elevarla», mentre il «vero» è «l'unica sorgente d'un diletto nobile e durevole». In altre parole, non è dare prova di immaginazione seducente, inventando dal nulla vicende inverosimili, ma , integrandola con il "vero poetico" che deriva dall'interpretazione della realtà alla luce del Vangelo. Solo così la letteratura potrà in definitiva rientrare fra le scienze morali. Su questa via più tardi Manzoni si spingerà al punto di esprimere, nel discorso (1850), riserve sui componimenti «misti di storia e d'invenzione», e dunque implicitamente sul proprio romanzo. Coerentemente, nella versione rivista della che pubblicherà nel 1870 sottometterà al l' e l' riducendoli a meri corollari. il vero per soggetto compito dello scrittore attingere la propria materia dalla Storia Del romanzo storico Lettera sul Romanticismo vero utile interessante, Il vero per soggetto   >> pag. 701  Verso le competenze       COMPRENDERE Fai la parafrasi del brano seguente: (rr. 22-24). 1 Tale almeno è l’opinione ch’io ho fitta nella mente, e nella quale io mi rallegro, perché questo sistema, non solo in alcune parti, come ho accennato più sopra, ma nel suo complesso mi sembra avere una tendenza religiosa ANALIZZARE Spiega in che modo, per Manzoni, il prepara il terreno per introdurre in letteratura le idee religiose. 2 sistema romantico INTERPRETARE Manzoni ritiene che la letteratura debba aprirsi a un nuovo pubblico. Chiarisci meglio questo punto, facendo riferimento al dibattito delle idee in epoca romantica. 3 PRODURRE La tua esperienza Da quale libro o altra opera artistica (per esempio film, canzone) ti è capitato di ricavare degli insegnamenti morali che ti siano stati utili nella vita reale? Raccontalo in un testo espositivo-argomentativo di circa 30 righe. 4 Storia e Provvidenza La ha un ruolo fondamentale in tutta l'opera creativa e saggistica di Manzoni, che a essa guarda per comporre tanto le due tragedie, e (ambientate la prima nel XV secolo, la seconda nell'VIII), quanto il romanzo (situato nel XVII secolo). Dagli francesi frequentati in gioventù, lo scrittore milanese prende spunto per guardare al passato in modo non tradizionale. Lungi dal ridurre la Storia a celebrazione di imprese militari e di vicende politiche, egli mira a una ricostruzione più ampia, che non si limiti a proiettare in primo piano le gesta di principi e generali, ma tenga conto dell'esistenza di chi nel tempo si sia trovato a subire le ragioni della forza, dunque anche degli appartenenti alle . Questa impostazione, sottesa al disegno dei , è chiaramente espressa da Manzoni nel , scritto e pubblicato a margine dell' , nel 1822. Trovatosi dinanzi alla mancanza di testimonianze sulla vita degli italici durante la dominazione longobarda, ai fini di una rappresentazione corretta l'autore si dice convinto dell'esigenza di dar voce ai «desideri, i timori, i patimenti» di quei milioni di uomini che sulla Terra passarono senza lasciare traccia, come comparse invisibili e salgono adesso sul palcoscenico della letteratura e della storiografia. meditazione sulla Storia Il conte di Carmagnola Adelchi I promessi sposi idéologues classi più umili Promessi sposi Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia Adelchi La letteratura e gli oppressi  A ossessionarlo è la questione relativa alla presenza del , a causa del quale, in ultima analisi, nella vita terrena non vi è spazio per azioni nobili o disinteressate, ma solo per la violenza che divide il mondo in «oppressori» e «oppressi». Come dice con amarezza Adelchi, agli uomini «non resta / che far torto o patirlo». La Grazia divina si presenta allora nei confronti degli eroi manzoniani sotto forma di « », ovvero di una disgrazia terrena che li colloca fra gli «oppressi»: sconfitte e umiliazioni portano la salvezza eterna ad Adelchi, alla sorella Ermengarda, come anche a Napoleone nel . Da buon cattolico, l'autore vede nella Storia il compimento del volere divino. La Provvidenza agisce in modo imperscrutabile, ma ciò non diminuisce d'altra parte le . male nella Storia provvida sventura Cinque maggio responsabilità degli uomini «Far torto o patirlo»  La più alta e intensa riflessione di Manzoni su quest'ultimo punto è costituita dal saggio , dove rifiuta le opinioni espresse da Pietro Verri nelle . Verri aveva ricondotto l'esito del processo agli untori che ebbe luogo nella Milano del 1630, devastata dalla peste, all'ignoranza diffusa in un'epoca violenta e alle leggi sbagliate, che giustificarono le torture e procurarono condanne ingiuste. Manzoni, tornando sul medesimo processo, sostiene che ridurre quel risultato abominevole a «un effetto de' tempi e delle circostanze» è inaccettabile per un credente. Il peso della responsabilità a suo parere ricade interamente sui giudici che punirono degli innocenti, calpestando ogni regola: «se non seppero quello che facevano, fu per non volerlo sapere, fu per quell'ignoranza che l'uomo assume e perde a suo piacere, e non è una scusa, ma una colpa». Storia della colonna infame Osservazioni sulla tortura La    Storia della colonna infame  >> pag. 702  Al di là di ogni condizionamento, dunque, pienamente . I comportamenti morali nei sono ampiamente valutati e commentati, senza attenuanti. Nel romanzo che consentono di verificare e temprare la fede dei personaggi, che la chiamano in causa a più riprese, a differenza del narratore onnisciente che non la nomina mai esplicitamente. l'uomo risponde delle sue azioni Promessi sposi la Provvidenza trasforma il male in una serie di prove Il mistero della Grazia   T4  Il cinque maggio Odi L’ode viene scritta di getto nel luglio del 1821, alla notizia della morte di Napoleone, che circolava accompagnata da voci di una sua conversione all’ultimo momento. Profondamente colpito, Manzoni compone in pochi giorni questa "orazione funebre", in cui ricapitola la vicenda umana dell’imperatore, sublime dimostrazione del carattere precario delle glorie umane, al cospetto di una prospettiva eterna. La censura austriaca ne proibisce la stampa, ma l’ode si diffonde ampiamente tramite copie manoscritte, riscuotendo ammirazione e consensi. Nel 1822 Goethe la traduce in tedesco. L’anno successivo viene pubblicata a Torino. 18 strofe di 6 settenari, disposti secondo lo schema SASAST (dove S indica i versi sdruccioli, T i versi tronchi). METRO e di un imperatore Grandezza miseria PARAFRASI           Ei fu. Siccome immobile,          dato il mortal sospiro,          stette la spoglia immemore          orba di tanto spiro,       così percossa, attonita          la terra al nunzio sta, 5 La decisione del poeta di cantare Napoleone Napoleone è morto. Come ( ) il suo corpo ( ), dopo avere esalato l'ultimo respiro ( ) rimase immobile ( ), senza memoria ( ) e privato ( ) di uno spirito tanto grande, così il mondo all'annuncio ( ) della sua morte si ferma ( ), 1-6 Siccome spoglia sospiro stette immemore orbo nunzio sta egli (per antonomasia Napoleone). 1 Ei:          muta pensando all'ultima          ora dell'uom fatale;          né sa quando una simile     orma di piè mortale          la sua cruenta polvere          a calpestar verrà. 10 colpito, attonito, silenzioso, pensando all'ultima ora dell'uomo che ha deciso tanti destini ( ); e si chiede quando mai l'orma di un individuo altrettanto grande tornerà a calpestare la terra insanguinata dalle guerre ( ).  7-12 fatale cruenta polvere voluto dal fato, cioè – cristianamente – dalla Provvidenza. alcuni commentatori hanno fatto notare che le "orme" non calpestano la terra; il poeta è però preoccupato di evocare la visione delle marce di Napoleone e far quasi sentire lo scalpitare del suo cavallo sulla polvere dei campi di battaglia. 8 fatale: 10-12 orma... verrà:  >> pag. 703           Lui folgorante in solio          vide il mio genio, e tacque;     quando, con vece assidua,          cadde, risorse e giacque,          di mille voci al sonito          mista la sua non ha: 15 La mia ispirazione ( ) lo vide trionfante sul trono imperiale ( ), ma non si espresse ( ); e quando con alterne vicende ( ) cadde, si riprese e di nuovo cadde definitivamente, non ha mescolato la sua voce al suono ( ) di mille altre:  13-18 genio folgorante in solio e tacque vece assidua sonito complemento oggetto di (v. 14), con una forte inversione sintattica. Evidente è il richiamo, anche per l'antonomasia, dell' iniziale. richiama l'espressione foscoliana «con veci eterne» ( , v. 96). il verso riassume le vicende che nel giro di due anni (1813-1815) decretarono il tramonto di Napoleone, passato dalla sconfitta di Lipsia all'esilio all'Elba, dai Cento giorni all'esilio definitivo a Sant'Elena, dopo la battaglia di Waterloo. 13 Lui: vide Ei 15 vece assidua: Dei Sepolcri 16 cadde, risorse e giacque:          vergin di servo encomio     e di codardo oltraggio,          sorge or commosso al subito          sparir di tanto raggio:          e scioglie all'urna un cantico          che forse non morrà. 20 immune ( ) da elogi servili e insulti vigliacchi, all'improvvisa sparizione di una luce così gloriosa ( ) si leva commossa: e sulla sua tomba innalza ( ) un canto solenne che forse resterà nel tempo.  19-24 vergin subito sparir di tanto raggio scioglie all'urna è il motivo già foscoliano della poesia che si eleva sulla tomba dei forti. 23 scioglie all’urna un cantico: Dall'alpe alle piramidi,          dal Manzanarre al Reno,          di quel securo il fulmine          tenea dietro al baleno;          scoppiò da Scilla al Tanai, dall'uno all'altro mar. 25     30     Trionfi e sconfitte di Napoleone  Dalle Alpi alle piramidi, dal Manzanares al Reno, le azioni fulminee di quell'uomo deciso ( ) seguivano immediatamente i suoi piani ( ); imperversò dallo stretto di Messina ( ) al Don ( ), da un mare all'altro.  25-30 quel securo tenea Scilla Tanai l'autore allude, nell'ordine, alle campagne napoleoniche in Italia, Egitto, Spagna, Germania. Il fiume Manzanares scorre nei pressi di Madrid. il toponimo calabrese rimanda agli scontri nell'Italia meridionale; , ovvero il Don, alla campagna in Russia. riecheggia il v. 8 della , allora incompiuta. 25-26 Dall’alpe... Reno: 29 da Scilla al Tanai: Scilla Tanai 30 dall’uno all’altro mar: Pentecoste          Fu vera gloria? Ai posteri          l'ardua sentenza: nui          chiniam la fronte al Massimo          fattor, che volle in lui del creator suo spirito          più vasta orma stampar. 35    Fu gloria autentica? Ai posteri il difficile giudizio ( ): noi pieghiamo il capo ( ) dinanzi a Dio ( ) che ha voluto imprimere ( ) in quell'uomo un segno così grande del suo potere ( ). 31-36 ardua sentenza nui chiniam la fronte Massimo fattor stampar più vasta orma arcaismo ("noi"), dovuto a esigenze di rima. Anche qui, come negli , Manzoni ricorre al plurale. 32 nui: Inni sacri          La procellosa e trepida          gioia d'un gran disegno,          l'ansia d'un cor che indocile     serve, pensando al regno,          e il giunge, e tiene un premio          ch'era follia sperar; 40 La gioia tempestosa ( ) e trepidante di un grande progetto, l'ansia di un cuore che, sia pure controvoglia ( ), deve obbedire ( ), pensando alla conquista del potere, e lo raggiunge, e anzi ottiene un premio che sarebbe stato folle sperare; 37-42 procellosa indocile serve Manzoni si riferisce al periodo in cui Napoleone serviva nelle armate della Repubblica francese, prima del colpo di Stato del 18 brumaio (novembre 1799). 39-40 cor... regno: Vincenzo Vela, , 1860 ca. Gli ultimi giorni di Napoleone  >> pag. 704           tutto ei provò: la gloria          maggior dopo il periglio,  la fuga e la vittoria,          la reggia e il tristo esiglio;          due volte nella polvere,          due volte in sull'altar. 45    egli provò tutto: provò la gloria, aumentata dai pericoli corsi ( ), la fuga e la vittoria, il potere e l'amarezza dell'esilio; due volte nella polvere, due volte sul trono.  43-48 maggior dopo il periglio : due volte sul trono, prima della sconfitta a Lipsia (1813) e durante i Cento giorni (1815). 48 due volte in sull’altar          Ei si nomò: due secoli,  l'un contro l'altro armato,          sommessi a lui si volsero,          come aspettando il fato;          ei fe' silenzio, ed arbitro          s'assise in mezzo a lor. 50    Egli pronunciò il proprio nome: due secoli, in guerra tra loro, a lui si volsero sottomessi ( ), come aspettando la decisione sul proprio destino ( ); egli impose il silenzio, e si sedette tra loro in posizione di giudice.  49-54 sommessi fato è come se Napoleone, presentandosi sulla scena del mondo, pronunciasse il proprio nome per affermare sé stesso e i propri progetti. il Settecento e l’Ottocento, che rispettivamente con la Rivoluzione francese e la successiva Restaurazione furono portatori di visioni del mondo differenti e opposte. 49 Ei si nomò: 49-50 due secoli… armato:     E sparve, e i dì nell'ozio          chiuse in sì breve sponda,          segno d'immensa invidia,          e di pietà profonda,          d'inestinguibil odio      e d'indomato amor. 55 60 L'amarezza dell'esilio e la consolazione della fede E scomparve, e terminò i suoi giorni nell'ozio di un'isola così piccola ( ), oggetto ( ) di enorme invidia e di profonda pietà, di odio inestinguibile e di amore indomito. 55-60 sì breve sponda segno alla solennità che caratterizza l’apertura della strofa precedente si contrappone la dolorosa mestizia di un verbo che traduce efficacemente la riflessione manzoniana sulla caducità delle vicende umane. cioè a Sant’Elena, nell’Oceano Atlantico meridionale. 55 E sparve: 56 in sì breve sponda:          come sul capo al naufrago          l'onda s'avvolve e pesa;          l'onda su cui del misero,          alta pur dianzi e tesa      scorrea la vista a scernere          prode remote invan; 65 Come l'onda turbina ( ) e grava ( ) sul capo del naufrago, quell'onda sulla quale sino a poco prima ( ) lo sguardo del misero scorreva, invano proteso ( ) a riconoscere lontani approdi ( ); 61-66 s’avvolve pesa pur dianzi alta e tesa scernere prode remote          tal su quell'alma il cumulo          delle memorie scese:          oh quante volte ai posteri  narrar se stesso imprese,          e sull'eterne pagine          cadde la stanca man!  70    così il peso dei ricordi scese su quell'anima: oh quante volte cominciò ( ) a raccontare le proprie imprese ( ) ai posteri, e sulle pagine interminabili la mano stanca cadde!  67-72 imprese se stesso in esilio Napoleone fu tentato più volte di scrivere un’autobiografia, ma vi rinunciò nello scoprire l’inadeguatezza delle proprie forze. Con Manzoni riprende un’espressione dell’ . 69-72 oh quante volte… stanca man!: cadde la stanca man Eneide François Joseph Sandmann, , 1820. Malmaison, Musée National du Château. Ritratto in piedi dell’imperatore Napoleone I secondo le indicazioni di Louis Marchand  >> pag. 705           Oh quante volte, al tacito          morir d'un giorno inerte,      chinati i rai fulminei,          le braccia al sen conserte,          stette, e dei dì che furono          l'assalse il sovvenir!  75 Oh quante volte, al silenzioso tramonto ( ) di un giorno ozioso, abbassato lo sguardo ( ) fulmineo, rimase immobile ( ), con le braccia conserte, e lo assalì il ricordo dei giorni andati! 73-78 tacito morir rai stette l'anafora (come al v. 69) introduce il tema della vanità del ricordo. lett. "raggi", cioè gli occhi. 73 Oh quante volte: 75 rai:          E ripensò le mobili  tende, e i percossi valli,          e il lampo dei manipoli,          e l'onda dei cavalli,          e il concitato imperio,          e il celere obbedir. 80    E ripensò allo spostarsi degli accampamenti ( ), alle fortificazioni colpite ( ), alle incursioni dei drappelli ( ), all'incalzare ( ) della cavalleria, ai suoi ordini ( ) concitati sùbito eseguiti ( ). 79-84 mobili tende percossi valli lampo dei manipoli onda imperio celere obbedir     Ah! forse a tanto strazio          cadde lo spirto anelo,          e disperò; ma valida          venne una man dal cielo,          e in più spirabil aere      pietosa il trasportò;  85 90 Ahi! Forse l'animo spossato ( ) crollò per lo strazio di questi ricordi, e si abbandonò alla disperazione; ma venne dal cielo una mano forte ( ), che pietosa lo trasportò in un'aria più serena ( ); 85-90 spirto anelo valida in più spirabil aere          e l'avviò sui floridi          sentier della speranza,          ai campi eterni, al premio          che i desideri avanza,      ove è silenzio e tenebre          la gloria che passò. 95 e lo guidò ( ) sui felici sentieri della speranza verso il cielo ( ), verso il premio che è superiore ( ) a qualunque desiderio, là dove la gloria terrena diventa silenzio e tenebre. 91-96 avviò campi eterni avanza reminiscenza classica dei campi Elisi.  nella dimensione dell'eterno non giunge immagine né rumore della gloria terrena. 93 campi eterni: 95-96 ove... passò:          Bella Immortal! benefica           Fede ai trionfi avvezza!          scrivi ancor questo, allegrati;  che più superba altezza          al disonor del Golgota          giammai non si chinò. 100  O Fede benefica, bella e immortale, abituata ai trionfi! Aggiungi anche ( ) questo, e gioisci; perché mai potenza più superba si è inchinata alla croce di Cristo ( ).  97-102 ancor al disonor del Golgota alla santa umiliazione della Croce. è il Calvario, monte di Gerusalemme, dove Cristo subì il supplizio. 101 al disonor del Golgota: Golgota          Tu dalle stanche ceneri          sperdi ogni ria parola:  il Dio che atterra e suscita,          che affanna e che consola,          sulla deserta coltrice          accanto a lui posò. 105  Tu allontana ( ) dagli stanchi resti di Napoleone ogni parola malvagia ( ): il Dio che può abbattere e rialzare, far patire e consolare, si è posto accanto a lui, sul solitario letto di morte ( ). 103-108 sperdi ria deserta coltrice  >> pag. 706  Dentro il testo       I contenuti tematici divisibile in tre parti. La prima inscena lo stupore che coglie il mondo alla notizia della morte di Napoleone; commosso, il poeta decide di rompere il rigoroso riserbo al quale sino ad allora si era attenuto (vv. 1-24). A differenza degli altri grandi letterati del suo tempo (come Vincenzo Monti, Carlo Porta, Ugo Foscolo), Manzoni non aveva mai celebrato le imprese dell'imperatore, quando questi era in vita. Né intende farlo ora: se nella seconda parte ne ripercorre la sfolgorante carriera, i trionfi e le disfatte (vv. 25-54), maggiore spazio è riservato nella terza ai giorni amari dell'esilio sull'isola di Sant'Elena, sigillati dal decisivo intervento della Grazia, in punto di morte (vv. 55-108). Siamo dinanzi a una «provvida sventura» simile a quella di Ermengarda chiusa in convento, o del conte di Carmagnola imprigionato. Anche Napoleone si trova a vivere un'esperienza di reclusione, che scatena l'onda insostenibile dei ricordi. La fede, infine, gli consente di affrontare la morte placato, trasformando le sue vicende terrene nella più istruttiva delle parabole. II cinque maggio è La struttura dell’ode Operando con vigorosa determinazione nel mondo, senza evitare il ricorso a ingiustizie e violenze, da oscuro ufficiale nato in una provincia remota, la Corsica, Napoleone diventa imperatore dei francesi. Signore degli eserciti, giudice dei secoli (v. 50), (v. 8) che da solo si dà il nome, sollevandosi al di sopra della massa anonima degli uomini, raggiunge un premio (v. 42) e pretende di decidere l'avvenire del mondo. Più che ricordare Ulisse o Alessandro Magno, egli incarna dunque il . In questa prospettiva non stupisce come la pietà e l'ammirazione di Manzoni nascano non al cospetto dei trionfi, ma nel momento esatto in cui Napoleone mette da parte la superbia con cui aveva cercato di sostituirsi a Dio e si trova a riconoscerne la suprema grandezza. l'un contro l'altro armato uom fatale ch'era follia sperar prototipo dell'uomo moderno, l'eroe romantico che cerca di costruirsi da solo un destino Napoleone: il prototipo dell’uomo moderno  Ancora una volta Manzoni riconosce nella sconfitta l'opportunità di dimostrare un eroismo ben diverso dal modello titanico di stampo romantico, nonché l'unico mezzo per giungere alla salvezza eterna. L'esistenza di Napoleone, che finisce i suoi giorni su uno scoglio in mezzo all'Atlantico dopo avere imperversato (vv. 25-26), è ai suoi occhi un'altissima dimostrazione della divina onnipotenza. I posteri pronunceranno (v. 32) sulla gloria terrena dell'imperatore, ma questa conta infinitamente meno del giudizio di Dio, a cui spetta l'unica vera gloria: le imprese umane, anche le più ardite, viste dalla prospettiva dell'eternità si riducono a polvere. Animato da questa convinzione, Manzoni conclude con una vibrante apostrofe* alla Fede, che avvicina l'ode a un inno sacro, composto, questa volta, non in occasione di una festa liturgica, ma per interpretare a maggior lode di Dio la morte di un grande protagonista della Storia. dall'alpe alle piramidi, / dal Manzanarre al Reno l'ardua sentenza Il cinque maggio La vera gloria  Le scelte stilistiche L'ode è caratterizzata da uno sin dall'attacco, divenuto proverbiale, che riduce a due monosillabi la più straordinaria delle vite: (v. 1). Anche in seguito l'insistenza sul passato remoto contribuisce a fissare in una dimensione di compiutezza la rievocazione delle imprese di Napoleone, il cui nome non viene mai pronunciato. A innalzare il discorso contribuiscono l'uso degli aggettivi, che spesso ricorrono prima del verbo, in posizione di rilievo ( ), i latinismi ( ecc.) e il fitto tessuto di figure retoriche, tra le quali è opportuno segnalare almeno le due estese similitudini* (vv. 1-8; vv. 61-68), le anastrofi*, gli iperbati*, la metafora* tesa a sottolineare la rapidità d'azione di Napoleone ( vv. 27-28). Allo scopo di sottolineare il vorticoso turbine degli accadimenti è frequente il ricorso all'antitesi* (per esempio vv. 47-48; vv. 59-60). Per contrasto, ai due estremi dell'ode Manzoni delinea una situazione di stasi, evocando la salma immobile del condottiero, alla quale nella conclusione si accosta Dio. stile solenne Ei fu valida venne, pietosa il trasportò nunzio, solio, coltrice, securo di quel securo il fulmine / tenea dietro al baleno , due volte nella polvere, / due volte in sull'altar , d'inestinguibil odio / e d'indomato amor , Una forma tradizionale   >> pag. 707  Verso le competenze       COMPRENDERE Riassumi in forma discorsiva il contenuto della poesia in circa 10 righe. 1 ANALIZZARE Elenca e chiarisci, con l’aiuto di una mappa, tutti i riferimenti geografici presenti nel testo. 2 Colloca nella tabella tutti i richiami alla sfera semantica dell’immobilità e a quella del movimento. 3 Immobilità Movimento INTERPRETARE Perché, secondo te, Napoleone non viene mai nominato esplicitamente per nome, ma sempre attraverso pronomi ( , v. 1) o perifrasi ( , v. 8)? 4 Ei uom fatale Jacques-Louis David, , 1801. Malmaison, Musée National du Château. Napoleone Bonaparte al passaggio del Gran San Bernardo L’impegno politico-patriottico Manzoni consacra la propria vita agli studi e non partecipa mai in prima persona agli eventi politici della sua epoca. Ciò non significa, però, che sia distratto o indifferente rispetto alle grandi questioni che dividono la società dell'Ottocento: è anzi, con le armi della letteratura, . Per tutta la vita, in effetti, Manzoni sostiene con decisione e coerenza l'ideale dell'Unità d'Italia, sin dai tempi in cui questo non era ancora largamente condiviso. La prima occasione per esprimere i propri sentimenti patriottici gli è offerta dalla caduta di Napoleone, da cui scaturisce la canzone . Poco più tardi, nel 1815, l'appello di Gioacchino Murat agli italiani lo induce a scrivere , lasciato incompiuto al momento della vittoria degli austriaci. uno dei fondamentali ispiratori del Risorgimento Aprile 1814 Il proclama di Rimini L’ideale dell’Unità   >> pag. 708  Di maggiore interesse è , un'ode anch'essa composta in un frangente drammatico, in occasione dei moti carbonari di lì a poco repressi con violenza. Manzoni immagina che l'esercito piemontese di Carlo Alberto abbia oltrepassato il Ticino, e auspica che mai più il fiume costituisca il confine con la Lombardia soggetta all'impero austriaco. Il testo è disseminato di apostrofi minacciose agli stranieri e di esortazioni agli abitanti dell'Italia: «O compagni sul letto di morte / o fratelli su libero suol». L'idea di patria si compendia in una formula divenuta celeberrima: «una d'arme, di lingua, d'altare, / di memorie, di sangue e di cor». L'autore individua cioè l'unità ideale della nazione nella comunanza degli , della parlata, della professata, delle storiche, dell' e dei profondi di un popolo. Marzo 1821 eserciti lingua religione memorie etnia sentimenti «Una d’arme, di lingua, d’altare...» Il secolare asservimento dei «volghi spregiati» (ossia dei popoli di cui si disprezzano le volontà) è tematizzato nell' L'azione ha luogo nell'Alto Medioevo, al tempo delle lotte per il predominio nella penisola fra i longobardi e i franchi, alle quali le popolazioni locali assistevano impotenti e timorose. Nel coro che conclude il terzo atto della tragedia si intravede il convincimento che nessun valido aiuto potrà provenire dall'esterno: il , agendo con determinazione e ripudiando una volta per tutte le lotte fratricide, su cui insiste l'altra tragedia manzoniana, Adelchi. popolo italiano potrà darsi la libertà confidando esclusivamente sulle proprie forze Il conte di Carmagnola. I «volghi spregiati»  , bassorilievo. Pavia, Pinacoteca. Soldati longobardi  T5  Dagli atrii muscosi, dai Fori cadenti , coro dell’atto III Adelchi Posto alla fine del terzo atto, è il primo dei due cori della tragedia. I franchi invadono la Pianura padana, mettendo in fuga i longobardi, che da tempo vi spadroneggiavano. Le popolazioni italiche assistono ansiose nella speranza che la sconfitta degli antichi oppressori si traduca nella loro emancipazione. Ma la voce del coro si incarica di dissipare le illusioni: un padrone sostituisce l’altro e la libertà non può arrivare per mano straniera. Composto in pochi giorni, nel gennaio del 1822, il testo venne sottoposto a un lungo lavoro di correzione per eliminare i riferimenti troppo espliciti alle strategie politiche della Restaurazione, che non avrebbero passato il vaglio della censura austriaca. 11 strofe di doppi senari, rimati AABCCB (la rima in B è sempre tronca). METRO   frustrate  di un   Speranze popolo oppresso  >> pag. 709  PARAFRASI           Dagli atrii muscosi, dai Fori cadenti,          dai boschi, dall'arse fucine stridenti,          dai solchi bagnati di servo sudor,          un volgo disperso repente si desta;        intende l'orecchio, solleva la testa          percosso da novo crescente romor. 5 Dagli atri degli antichi palazzi invasi dal muschio ( ), dalle piazze e dai monumenti antichi in rovina ( ), dai boschi, dalle officine rumorose ( ) e riarse dal fuoco, dai campi bagnati con sudore di schiavi, una plebe divisa all'improvviso ( ) si sveglia; tende l'orecchio e solleva il capo, scossa ( ) da una notizia ( ) inattesa e dilagante. 1-6 muscosi Fori cadenti stridenti repente percosso romor i palazzi invasi dal muschio, le vestigia di un lontano passato glorioso simboleggiano il periodo di decadenza vissuto dalle popolazioni italiche, offrendo una rappresentazione pittoresca delle rovine che ricorda le incisioni di Giambattista Piranesi (1720-1778). si tratta della notizia della disfatta dei longobardi a opera dei franchi. 1-2 Dagli atrii muscosi... fucine stridenti: cadenti 6 novo crescente romor:          Dai guardi dubbiosi, dai pavidi volti,          qual raggio di sole da nuvoli folti,          traluce de' padri la fiera virtù:     ne' guardi, ne' volti confuso ed incerto          si mesce e discorda lo spregio sofferto          col misero orgoglio d'un tempo che fu. 10 Dagli sguardi dubbiosi, dai volti impauriti, balena ( ) il valore guerriero degli avi, come un raggio di sole tra nuvole fìtte ( ): negli sguardi, nei volti, le umiliazioni subite ( ) si mescolano e contrastano, confuse e incerte, con il misero orgoglio dei tempi andati. 7-12 traluce nuvoli folti spregio sofferto anche l'antico valore non è ormai che un'ombra fuggevole, sui volti delle popolazioni italiche rese inerti dalla lunga oppressione. 7-9 Dai guardi dubbiosi... fiera virtù:          S'aduna voglioso, si sperde tremante          per torti sentieri, con passo vagante,     fra tema e desire, s'avanza e ristà;          e adocchia e rimira scorata e confusa          de' crudi signori la turba diffusa,          che fugge dai brandi, che sosta non ha. 15 La gente si raduna speranzosa, si disperde intimorita per sentieri tortuosi, con passo incerto ( ), fra la paura e il desiderio ( ) avanza e si ferma ( ); e guarda e studia le schiere disordinate ( ) dei crudeli oppressori ( ), scoraggiate e confuse, che fuggono senza sosta dal campo di battaglia ( ).  13-18 vagante tema e desire ristà la turba diffusa signori dai brandi si riunisce. Soggetto di questo e dei verbi successivi è ancora il volgo del v. 4. letteralmente, "dalle spade" dei franchi vittoriosi. 13 S’aduna: 18 dai brandi:          Ansanti li vede, quai trepide fere, irsuti per tema le fulve criniere,          le note latebre del covo cercar;          e quivi, deposta l'usata minaccia,          le donne superbe, con pallida faccia,          i figli pensosi pensose guatar. 20    Li vede ansimanti, come spaventate ( ) bestie feroci, con le chiome ( ) fulve irte per la paura, cercare i noti anfratti ( ) del loro covo; e qui, abbandonato il consueto atteggiamento minaccioso, vede le donne altere, con il volto pallido, guardare ( ) inquiete i figli inquieti.  19-24 trepide criniere latebre guatar i longobardi sono paragonati a bestie spaventate, in fuga verso le loro tane. per la paura dei franchi invasori. 19 trepide fere: 23 con pallida faccia:     E sopra i fuggenti, con avido brando,          quai cani disciolti, correndo, frugando,          da ritta, da manca, guerrieri venir:          li vede, e rapito d'ignoto contento,          con l'agile speme precorre l'evento,     e sogna la fine del duro servir. 25 30 E da destra e da sinistra vede arrivare addosso ai fuggitivi guerrieri con spade desiderose di colpire ( ), come cani sciolti che corrono e frugano: li vede, e presa da una gioia sconosciuta ( ), con la speranza che corre veloce ( ) precorre gli eventi, e sogna la fine della dura schiavitù.  25-30 avido brando ignoto contento l’agile speme          Udite! quei forti che tengono il campo,          che ai vostri tiranni precludon lo scampo,          son giunti da lunge, per aspri sentier:          sospeser le gioie dei prandi festosi,     assursero in fretta dai blandi riposi,          chiamati repente da squillo guerrier. 35 Ascoltate! Quei vincitori ( ) che occupano il campo di battaglia e che impediscono la fuga ai vostri tiranni sono arrivati da lontano, lungo strade faticose: hanno sospeso la gioia dei festosi pranzi ( ), in fretta si sono levati dai dolci riposi, chiamati all'improvviso da trombe di guerra ( ). 31-36 forti prandi squillo guerrier apostrofe del poeta agli italici. 31 Udite:  >> pag. 710           Lasciâr nelle sale del tetto natio          le donne accorate, tornanti all'addio,          a preghi e consigli che il pianto troncò: han carca la fronte de' pesti cimieri,          han poste le selle sui bruni corsieri,          volaron sul ponte che cupo sonò. 40    Hanno lasciato ( ) nelle sale della casa ( ) natia le donne affrante, che ripetevano i saluti di commiato ( ), intente a preghiere e a consigli interrotti dal pianto: hanno il capo gravato da elmi ammaccati ( ), hanno poste le selle sui bruni cavalli ( ), hanno galoppato sul ponte levatoio che ha emesso un suono cupo al loro passaggio.  37-42 Lasciâr tetto tornanti all’addio pesti cimieri corsieri qui Manzoni indulge al gusto medievaleggiante diffuso nelle ballate romantiche del primo Ottocento, dove pullulano elmi, cavalli e ponti levatoi. 40-42 han carca... cupo sonò:          A torme, di terra passarono in terra,          cantando giulive canzoni di guerra,     ma i dolci castelli pensando nel cor:          per valli petrose, per balzi dirotti,          vegliaron nell'arme le gelide notti,          membrando i fidati colloqui d'amor. 45 A gruppi sono passati di paese in paese, cantando allegre canzoni di guerra, ma pensando in cuor loro ai dolci castelli lasciati: percorrendo valli pietrose e balze scoscese ( ) hanno vegliato armati nelle notti gelide, ricordando ( ) i fiduciosi colloqui d'amore. 43-48 balzi dirotti membrando          Gli oscuri perigli di stanze incresciose,     per greppi senz'orma le corse affannose,          il rigido impero, le fami durâr:          si vider le lance calate sui petti,          a canto agli scudi, rasente agli elmetti,          udiron le frecce fischiando volar. 50 Hanno sopportato ( ) gli ignoti pericoli di soste snervanti ( ), le corse affannose attraverso dirupi senza traccia di passaggi ( ), la disciplina ferrea ( ), la fame: hanno visto le lance nemiche contro i loro petti, accanto agli scudi, rasente agli elmi hanno sentito il fischio delle frecce scagliate. 49-54 durâr stanze incresciose greppi senz’orma rigido impero     E il premio sperato, promesso a quei forti,          sarebbe, o delusi, rivolger le sorti,          d'un volgo straniero por fine al dolor?          Tornate alle vostre superbe ruine,          all'opere imbelli dell'arse officine,     ai solchi bagnati di servo sudor. 55 60 E il premio sperato, promesso a quei valorosi ( ) sarebbe, o illusi ( ), di mutare le vostre sorti, di porre fine alle sofferenze di una plebe straniera? Tornate alle vostre superbe rovine, alle mansuete ( ) opere delle vostre riarse officine, ai campi bagnati dal sudore di schiavi.  55-60 forti delusi imbelli in una redazione precedente il poeta osservava che se i franchi avessero voluto recare beneficio agli oppressi avrebbero potuto cominciare con la «lurida plebe» che abitava le loro terre. il passo riecheggia i versi iniziali, per rimarcare l'immutata condizione servile. 57 d’un volgo... dolor: 58-60 Tornate... sudor:          Il forte si mesce col vinto nemico,          col novo signore rimane l'antico;          l'un popolo e l'altro sul collo vi sta.          Dividono i servi, dividon gli armenti;     si posano insieme sui campi cruenti          d'un volgo disperso che nome non ha. 65 I vincitori si mescolano al nemico vinto, il vecchio signore rimane in compagnia del nuovo; l'uno e l'altro popolo incombono su di voi ( ). Si spartiscono i servi, il bestiame ( ); insieme si stanziano sui campi insanguinati ( ) di una plebe divisa e senza nome.  61-66 sul collo vi sta gli armenti cruenti Giambattista Piranesi, (particolare), XVIII sec. Firenze, Gabinetto dei disegni e delle stampe degli Uffizi. Veduta di Campo Vaccino  >> pag. 711  Dentro il testo       I contenuti tematici Come spiega nella prefazione al Manzoni nelle sue tragedie riprende dai modelli classici l'espediente dei cori, piegandoli però ad assumere una diversa funzione: ne fa dei «cantucci» che si riserva per commentare le vicende, sostituendo la propria voce a quella dei personaggi. In questa occasione, interrotta l'azione nel momento in cui i franchi trionfano, il poeta non propone in partenza una meditazione personale, ma ripercorre gli eventi adottando il di una terza componente rimasta sinora nell'ombra, ovvero i che assistono sbigottiti alla sconfitta dei loro signori longobardi (vv. 1-30). In armonia con lo spirito evangelico, Manzoni concentra la propria attenzione sugli , in opposizione alla prospettiva della tragedia classica, per la quale si dovrebbero ritenere degne d'interesse soltanto le gesta di eroi e grandi personaggi. Egli realizza così, allo stesso tempo, gli obiettivi delineati nella lettera a Chauvet e nel : completa cioè il nudo referto dei documenti storici integrandoli con i sentimenti di una massa di uomini passati sulla terra senza lasciare traccia. Il (vv. 4 e 66), le «genti meccaniche» che nell' restano relegate nel coro del terzo atto balzeranno in primo piano nei , in tutta la loro vitale individualità. Conte di Carmagnola, punto di vista popoli italici umili Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica volgo disperso Adelchi Promessi sposi Il punto di vista del    volgo disperso II poeta si rivolge con forza agli italici, che fanno da spettatori al corso della Storia (vv. 31-66). In primo luogo propone un * sulle rinunce, sulle fatiche e sui rischi affrontati dai franchi nel corso della campagna militare. Nel descrivere gli invasori giunti da Oltralpe, Manzoni a tratti sembra cedere al fascino della saga barbarica, ma in realtà l'insistenza sul loro coraggio e vigore risulta funzionale al passaggio successivo, in quanto essa alimenta l'interrogativo retorico rivolto agli italici: perché illudersi? A che pro sperare che un esercito straniero intervenga gratuitamente per restituire la libertà a un popolo che ha dimenticato le antiche glorie, ormai ridotto a in stato di schiavitù? Incapaci di agire, gli italici non possono che assistere agli avvenimenti, con il cuore in tumulto. Ma questa è già una sconfitta: ancora una volta gli autentici vinti, al di là delle apparenze, sono loro. I longobardi, che non si sono mai fusi con le popolazioni locali (ma la storiografia moderna ha poi smussato questa tesi troppo netta), troveranno presto un accordo con i nuovi oppressori: (vv. 62-63). flash back volgo disperso col novo signore rimane l'antico; / l'un popolo e l'altro sul collo vi sta : il commento del poeta  Udite! In tal modo Manzoni lancia un evidente , che – un millennio più tardi – si trovavano a fronteggiare situazioni non troppo dissimili. Tramontato il Regno d'Italia, satellite della Francia napoleonica, il ritorno degli Asburgo aveva dissipato molti generosi sogni d'autonomia. L' scritto all'indomani della repressione violenta con cui l'Austria aveva reagito ai moti del 1821, risente fortemente del clima di tensione che allora si respirava a Milano. Le conseguenze politiche della Restaurazione e il dominio repressivo dell'Austria insegnano come libertà e rispetto si debbano conquistare con le proprie forze, ma non solo: le sconfitte dei carbonari sono le sconfitte di un progetto elitario, che non aveva cercato né trovato vasta condivisione popolare. Manzoni, indifferente al mito romantico dell'eroe solitario, ritiene invece che sia fondamentale il più possibile . Il rinnovamento della società italiana e la conquista dell'indipendenza devono essere perseguiti da tutti gli italiani, non solo dagli intellettuali, ai quali pure spetta il compito di sensibilizzare l'opinione pubblica. rimprovero ai patrioti a lui contemporanei Adelchi, suscitare la volontà del popolo intorno all'idea di nazione La lezione della Storia   >> pag. 712  Le scelte stilistiche L'uso di versi parisillabi quali i doppi senari*, in cui gli accenti sono fissi, conferisce al coro , molto adatte a scene belliche e di folla. Questo ritmo, che mima l'andamento di una poesia popolare, ricalca i caratteri della ballata romantica. Se il si mantiene su un registro , con abbondante presenza di aulicismi ( , , , , ), scarseggiano tuttavia le perifrasi auliche, e soprattutto la sintassi appare molto lontana dalla tendenza all'uso delle subordinate secondo il costrutto latino tipica di poeti come Parini o Monti. Alla semplicità della metrica fa riscontro infatti la , in cui prevalgono le proposizioni coordinate per asindeto* ( , vv. 4-5), mai troppo estese: nessun periodo oltrepassa la misura della strofa. Insieme alle numerose figure della ripetizione (inaugurate dall'insistita anafora* dei primi tre versi), sono questi i mattoni su cui Manzoni costruisce i continui crescendo che danno al lettore l' . cadenze regolari e incalzanti lessico elevato tema desire brandi latebre speme semplicità della sintassi si desta; / intende l'orecchio, solleva la testa impressione complessiva di una drammatica concitazione La resa drammatica  Verso le competenze       COMPRENDERE Come viene descritto il comportamento dei longobardi, incalzati dai franchi? 1 Chi viene invitato a tornare (v. 60)? 2 ai solchi bagnati di servo sudor ANALIZZARE Rintraccia tutte le espressioni che descrivono i franchi. In quali atteggiamenti vengono ritratti e quali caratteristiche complessive vengono loro attribuite? 3 Quale figura retorica riconosci al v. 20? E quale al v. 24? 4 Individua nel testo le espressioni che ricadono nella sfera del "vedere" e dell’"agire". 5 INTERPRETARE Confronta la situazione storica descritta nel brano con quella attuale in cui scrive Manzoni: quali analogie e quali differenze cogli? 6 PRODURRE Quale pittore o disegnatore (anche di fumetti) a tuo parere potrebbe efficacemente ritrarre la scena a cui gli italici assistono? Spiega i motivi della tua scelta in un testo argomentativo di circa 20 righe. 7 La riflessione sulla lingua Ai tempi di Manzoni erano in pochi a capire il toscano, e pochissimi in grado di parlarlo, persino fra i ceti colti. Nella seconda introduzione al , addirittura, Manzoni riconosce nel milanese l'unica lingua «nella quale ardirei promettermi di parlare [...] tanto da stancare il più paziente uditore, senza proferire un barbarismo [vocabolo straniero]; e di avvertire immediatamente qualunque barbarismo che scappasse altrui». In realtà l'autore conosce molto bene anche il e periodicamente esercitato nelle lettere. In una di esse, scritta all'amico Claude Fauriel nel 1806, confessa di aver visto «con un piacere misto d'invidia il popolo di Parigi intendere ed applaudire alle commedie di Molière», mentre in Italia l'eccessivo scarto fra lingua scritta e lingua parlata rende impossibile agli scrittori l'effetto di erudire «la moltitudine, di farla invaghire del bello e dell'utile, e di rendere in questo modo le cose un po' più come dovrebbono essere». Fermo e Lucia francese, perfezionato negli anni trascorsi a Parigi Tra milanese e francese  Il problema della , che tormenta Manzoni sin dalla gioventù, diviene pressante nel momento in cui egli inizia a dedicarsi alla stesura del romanzo, rendendosi conto ben presto dell’estrema difficoltà del compito, moltiplicata dalla mancanza di una lingua comune nella penisola e di una norma universalmente riconosciuta. Di qui i dubbi che accompagnano la transizione dall'eclettismo del al "toscano-milanese" della ventisettana (ovvero l'edizione del 1827), figlio di febbrili consultazioni di vocabolari e altre fonti libresche. Subito dopo, il viaggio a Firenze, con la celebre "risciacquatura dei panni in Arno", contribuisce a orientare l'autore verso l'uso vivo del . A questa opzione è improntata la revisione linguistica del romanzo, che sfocia nell'edizione definitiva, comparsa in dispense fra il 1840 e il 1842. popolarità del linguaggio Fermo e Lucia ceto colto cittadino La scelta del fiorentino   >> pag. 713  D'altra parte, alla produzione creativa Manzoni accompagna intense riflessioni teoriche, che avrebbero dovuto convergere nel trattato , al quale lavora per decenni, scrivendone cinque redazioni senza mai giungere a un esito ritenuto soddisfacente. Nelle carte di questo «eterno lavoro», pubblicate solo nel XX secolo, lo scrittore articola le sue idee in materia di lingua, ragionando sul concetto di "uso" e confutando le posizioni espresse in merito da puristi e Classicisti. Nelle pagine di , egli insiste sui , unico idioma utilizzato dagli italiani di varia provenienza per comunicare tra loro. La viene pubblicamente espressa e difesa dallo scrittore in interventi più estemporanei, a cominciare dalla a Giacinto Carena, pubblicata nel 1850, in cui auspica la redazione di un vocabolario dell'uso vivo e caldeggia l'individuazione di una capitale linguistica da assumere a modello. Come il latino fu la lingua di Roma e il francese è la lingua di Parigi, il fiorentino sarà la lingua dell'Italia. , secondo Manzoni, : la nuova nazione dovrà porsi e risolvere il problema. Queste convinzioni impregnano i numerosi interventi, pubblici e privati, che negli anni della vecchiaia Manzoni instancabilmente dedica a una questione che ritiene non puramente estetica, ma innanzitutto sociale e politica. Della lingua italiana Sentir messa vantaggi del toscano tesi "fiorentinista" Lettera sulla lingua italiana L'unità politica non può prescindere dall'unità linguistica Le riflessioni teoriche sulla lingua  T6  La al ministro Broglio Relazione Il ministro della Pubblica istruzione Emilio Broglio, all’inizio del 1868, istituisce una commissione incaricata di occuparsi delle strategie con cui promuovere «in tutti gli ordini del popolo la notizia della buona lingua e della buona pronunzia». Ne affida la presidenza a Manzoni, che in breve tempo consegna e fa stampare su varie riviste una , dove ribadisce gli orientamenti più volte espressi in precedenza, rimarcando la necessità di una diffusione capillare del fiorentino parlato. Relazione intorno all’unità della lingua e ai mezzi di diffonderla Una per gli   lingua italiani Una nazione dove siano in vigore vari idiomi e la quale aspiri ad avere una lingua in comune, trova naturalmente in questa varietà un primo e potente ostacolo al  suo intento. In astratto, il modo di superare un tale ostacolo è ovvio ed evidente: sostituire a que' diversi mezzi di comunicazione d'idee un mezzo unico, il quale, sottentrando a fare nelle singole parti della nazione l'ufizio essenziale che fanno i particolari linguaggi, possa anche soddisfare il bisogno, non così essenziale, senza dubbio, ma rilevantissimo, d'intendersi gli uomini dell'intera nazione tra di loro, il più pienamente e uniformemente che sia possibile. Ma in Italia, a ottenere un tale intento, s'incontra questa tanto singolare quanto dolorosa difficoltà, che il mezzo stesso è in questione; e mentre ci troviamo 5 1 10 2 sostituendo nelle singole parti della nazione le funzioni ( ) essenziali svolte dai dialetti. in Italia si discute ancora di quale debba essere la lingua nazionale. 1 sottentrando… particolari linguaggi: ufizio 2 il mezzo stesso è in questione:  >> pag. 714  d'accordo nel voler questa lingua, quale poi essa sia, o possa, o deva essere, se ne disputa da cinquecento anni. Una tale, si direbbe quasi, perpetuità di tentativi inutili potrebbe, a prima vista,  far credere che la ricerca stessa sia da mettersi, una volta per sempre, nella gran  classe di quelle che non hanno riuscita, perché il loro intento è immaginario, e il mezzo che si cerca non vive che nei desideri. Lontani per sé da un tale scoraggimento, e animati dall'autorevole e patriottico invito del sig. Ministro, i sottoscritti non esitano a esprimere la loro persuasione,  che il mezzo c'era, come c'è ancora; che il non avere esso potuta esercitare la sua naturale attività ed efficacia, è avvenuto per la mancanza di circostanze favorevoli, senza però, che una tale mancanza abbia potuto farlo dimenticare, né renderlo affatto inoperoso; e che questa sua debole attività è quella che ha data occasione ai tanti sistemi che hanno potuto sovrapporglisi come le borraccine e i licheni a un albero che vegeti stentatamente. Questo mezzo, indicato dalla cosa stessa, e messo in evidenza da splendidi esempi, è: che uno degl'idiomi, più o meno diversi, che vivono in una nazione, venga accettato da tutte le parti di essa per idioma o lingua comune [...]. In verità, pensando a que' due gran fatti delle lingue latina e francese, non si può a meno di non ridere della taccia di municipalismo che è stata data e si vuol mantenere a chi pensa che l'accettazione e l'acquisto dell'idioma fiorentino sia il mezzo che possa dare di fatto all'Italia una lingua comune. Senza il municipalismo di Roma e di Parigi non ci sarebbe stata, né lingua latina, né lingua francese. [...] Riconosciuta poi che fosse la necessità d'un tal mezzo, la scelta d'un idioma che possa servire al caso nostro, non potrebbe esser dubbia; anzi è fatta. Perché è appunto un fatto notabilissimo questo: che, non c'essendo stata nell'Italia moderna una capitale che abbia potuto forzare in certo modo le diverse province a adottare il suo idioma, pure il toscano, per la virtù d'alcuni scritti famosi al loro primo apparire, per la felice esposizione di concetti più comuni, che regna in molti altri, e resa facile da alcune qualità dell'idioma medesimo, che non importa di specificar qui, abbia potuto essere accettato e proclamato per lingua comune dell'Italia, dare generalmente il suo nome (così avesse potuto dar la cosa) agli scritti di tutte le parti d'Italia, alle prediche, ai discorsi pubblici, e anche privati, che non fossero espressi in nessun altro de' diversi idiomi d'Italia. E la ragione per cui questa denominazione sia stata accettata così facilmente, è che esprime un fatto chiaro, uno di quelli la di cui virtù è nota a chi si sia. Ognuno infatti, che non sia preoccupato da opinioni arbitrarie e sistematiche, intende subito che per poter sostituire un linguaggio novo a quello d'un paese, bisogna prendere il linguaggio d'un altro paese. S'aggiunga un altro fatto importante anch'esso, cioè che, o tutti o quasi tutti quelli che negano al toscano la ragione di essere la lingua comune d'Italia, gli  3 4 15 5 6 20 7 25 8 9 30 10 35 40 11 45 12 50 debba. eterna continuità. sconforto. i membri della commissione, di cui oltre all’autore facevano parte il filologo e politico Ruggero Bonghi (1826- 1895) e lo scrittore e giornalista Giulio Carcano (1812-1894). per la divisione della penisola in più entità statali. le tante teorie sulla lingua si sono sovrapposte all'ipotesi del fiorentino come lingua della nazione, nello stesso modo in cui il muschio ( ) e i licheni si attaccano a un albero che stenta a svilupparsi. il latino e il francese, come si spiega subito sotto. accusa di provincialismo, cioè di avere una visione ristretta del problema. s'intende in ambito letterario, dove il ruolo dominante del toscano è fuori discussione. pregiudizi accademici. 3 deva: 4 perpetuità: 5 scoraggimento: 6 i sottoscritti: 7 mancanza… favorevoli: 8 tanti sistemi... vegeti stentatamente: borraccine 9 splendidi esempi: 10 taccia di municipalismo: 11 lingua comune dell’Italia: 12 opinioni... sistematiche:  >> pag. 715  concedono pure qualcosa di speciale, una certa qual preferenza, un certo qual privilegio sopra gli altri idiomi d'Italia [...]. È da osservarsi, del rimanente, che la denominazione di lingua toscana non corrisponde esattamente alla cosa che si vuole e si deve volere, cioè a una lingua una; mentre il parlare toscano è composto d'idiomi pochissimo dissimili bensì tra di loro, ma dissimili, e quindi non formanti una unità. Ma l'improprietà del vocabolo non potrà cagionare equivoci, quando si sia, in fatto, d'accordo nel concetto; in quella maniera che le denominazioni di latino, di francese, di castigliano, quantunque derivate, non da delle città, ma dai territori, non hanno impedito che per latino s'intendesse il linguaggio di Roma, come, per francese e per castigliano, s'intendono quelli di Parigi e di Madrid. Uno poi de' mezzi più efficaci e d'un effetto più generale, particolarmente nelle nostre circostanze, per propagare una lingua, è, come tutti sanno, un vocabolario. E, secondo i princìpi e i fatti qui esposti, il vocabolario a proposito per l'Italia non potrebbe esser altro che quello del linguaggio fiorentino vivente. 55 13 60 65 14 certamente. adatto. 13 bensì: 14 a proposito: Dentro il testo       I contenuti tematici Infervorato dall'incarico ricevuto dal ministero, che lo chiama a intervenire operativamente sulla questione che più gli stava a cuore, l'ormai vecchio Manzoni si pone al lavoro e in pochi mesi appronta la , che suscita accese discussioni. La componente fiorentina della commissione, in particolare, dissente sul ruolo secondario che in essa viene attribuito agli scrittori, ritenuti tradizionalmente modelli fondamentali in materia di lingua. Manzoni, convinto che la nel nuovo contesto nazionale sia un' , assegna, come si è detto, un . Approva per questo motivo l'invio di maestri toscani in tutto il paese, e incoraggia la compilazione di un vocabolario dell'uso vivo, che bandisca gli usi storici degli autori dei secoli andati e funga da punto di riferimento per una serie di dizionari bilingui, atti a suggerire il corrispondente fiorentino corretto dei termini dialettali. Relazione questione della lingua urgenza sociale prima che una questione letteraria ruolo cruciale alla parlata della classe colta fiorentina Un’urgenza sociale  Il ruolo di Manzoni nel promuovere la sovrapposizione fra italiano e lingua parlata a Firenze (che in quegli anni era capitale del Regno) è senza dubbio decisivo, ma più sotto forma di esempio pratico che come proposta teorica. Già alla fine dell'Ottocento, infatti, diventano nelle scuole del Regno una fondamentale palestra di lingua. I tormentati ripensamenti linguistici che avevano accompagnato la stesura del romanzo vengono così premiati da un esito che supera ogni più rosea aspettativa. I promessi sposi I "travagli" di "uno scrittore non toscano"  Verso le competenze       COMPRENDERE Sintetizza il contenuto del brano in circa 5 righe.  1 ANALIZZARE Individua ed esamina i passi in cui si espongono le ragioni del accordato al toscano. 2 privilegio INTERPRETARE  In che senso Manzoni sminuisce il ruolo degli scrittori in materia di lingua, e per quali motivi?  3