Il primo Ottocento – L'opera I promessi sposi Fra Cristoforo dinanzi a don Rodrigo (cap. 6) Addio, monti (cap. 8) Il ritratto della monaca di Monza (cap. 9) Renzo nel tumulto di Milano (cap. 13) L’angosciosa notte dell’Innominato (cap. 21) La madre di Cecilia (cap. 34) Il «sugo di tutta la storia» (cap. 38) Tipologia A: «Dimenticatevi di me» T7 T8 T9 T10 T11 T12 T13 Analisi del testo Le ragioni per leggere restano numerose, a dispetto della distanza temporale e culturale che ci separa dall'opera. Siamo dinanzi all' , tanto sul piano stilistico, grazie all'adozione di una prosa toscana scorrevole e priva di fronzoli retorici, quanto sul piano tematico, grazie alla scelta di elevare a protagonisti non principi o cavalieri, ma due umili paesani lombardi partoriti dalla fantasia dell'autore. La spinta al insita nel genere prescelto porta Manzoni a oltrepassare di slancio il pessimismo delle tragedie. Certo, il mondo resta intriso di violenze e ingiustizie, dilaganti in un'epoca in cui la legge non è uguale per tutti, anzi la latitanza dei poteri pubblici lascia i più deboli – a cominciare dalle donne del popolo – alla mercé dei prepotenti. D'altra parte non si possono ridurre a una storia edificante, con tanto di lieto fine garantito dalla Provvidenza; testimoniano invece , ma cercando giustizia, : niente di più attuale. I promessi sposi atto di fondazione del romanzo moderno nella letteratura italiana realismo I promessi sposi la scelta di reagire all'oppressione senza ricorrere alla violenza   I promessi sposi 1 Genesi e composizione La scelta del romanzo Scegliendo di comporre Manzoni sorprende i migliori letterati dell'epoca. Niccolò Tommaseo, per esempio, all'uscita del libro scrive con sconcerto: «L'autore dell' e degli si è abbassato a donarci un romanzo». Lo scrittore si è cioè cimentato in un , decisamente inferiore a odi e tragedie. Perché Manzoni mette a repentaglio la sua fama pur di volgersi a un genere letterario allora poco rilevante? Il punto è che egli individua nel romanzo il mezzo più adatto a coinvolgere vaste fasce di pubblico, respinte dalla difficoltà della letteratura tradizionale e desiderose di vedere rappresentate situazioni vicine alla loro esperienza. I promessi sposi Adelchi Inni sacri genere all'epoca ritenuto adatto al solo intrattenimento Il desiderio di coinvolgere un pubblico ampio   >> pag. 719  Il romanzo consente all'autore di , che nell' erano rimasti sullo sfondo, delineando in chiave drammatica le ingiustizie subite da due popolani onesti e animati da una profonda fede religiosa. Non si tratta semplicemente di divertire i lettori, ma di usare il flessibile strumento della narrazione a . L'« » deve aprire la via all'« », come è chiaramente affermato nella prima introduzione alla stesura originale, a cui Manzoni non aveva dato un titolo ma che è comunemente nota come : «Lettori miei, se dopo aver letto questo libro voi non trovate di avere acquistata alcuna idea sulla storia dell'epoca che vi è descritta, e sui mali dell'umanità, e sui mezzi ai quali ognuno può facilmente arrivare per diminuirli e in sé e negli altri, se leggendo voi non avete in molte occasioni provato un sentimento di avversione al male di ogni genere, di simpatia e di rispetto per tutto ciò che è pio, nobile, umano, giusto, allora la pubblicazione di questo scritto sarà veramente inutile». porre in primo piano gli umili Adelchi fini pedagogici interessante utile Fermo e Lucia Un impegno morale e civile  In questo contesto resta fondamentale l' , garantito dalla decisione di calare la vicenda nel Seicento, al tempo della dominazione spagnola sulla Lombardia, di proiettarla cioè in un passato distante, scrupolosamente ricostruito con l'aiuto di sterminate letture, di ambito soprattutto saggistico. principali sono gli elenchi di gride pubbliche, ovvero i provvedimenti legislativi emanati dai governatori di Milano, le opere sulla peste di e , due storici vissuti nel XVII secolo, gli scritti giuridici degli Illuministi lombardi, i saggi sull'economia pubblicati da (1767-1829). Sulla scelta di evitare ambientazioni contemporanee ha certo influito la repressione austriaca, che negli anni della composizione del romanzo si abbatte con violenza sulla nobiltà milanese: Manzoni ha davanti agli occhi l'esempio del coetaneo Federico Confalonieri, arrestato per cospirazione nel 1821 e condannato a morte (pena poi commutata nella reclusione in un carcere durissimo, lo Spielberg). Sceglie allora un periodo in cui la realtà dell'oppressione asburgica possa comunque essere riconosciuta in controluce: gli pare perfetto il per la Lombardia, in balia dei governanti spagnoli incapaci e corrotti. aggancio al «vero» Fonti Giuseppe Ripamonti Alessandro Tadino Melchiorre Gioia Seicento, secolo della peste, epoca di estrema decadenza L’opzione per il romanzo storico: tra documentazione e prudenza Se è vero che il primo impulso a comporre un romanzo storico viene a Manzoni dalla lettura di , è altrettanto vero che, a differenza dello scrittore scozzese Walter Scott (1771-1832), egli . Ciò non significa che nelle sue pagine manchino influenze del primo Romanticismo (come il castello sinistro, tipico dei romanzi gotici) o della narrativa "nera" settecentesca. A questa, d'altronde, si possono ricondurre il nucleo centrale dell'intreccio, che verte sul tentato rapimento di una fanciulla innocente da parte di un nobile corrotto, e la più celebre digressione, che rievoca gli oscuri maneggi di una monaca assassina e del suo amante: tutti ingredienti già reperibili nelle opere di uno scrittore agli antipodi di Manzoni come il dissoluto marchese De Sade (1740-1814). Non a caso nelle successive stesure l'autore cercherà di attenuare queste suggestioni più visibili nella prima redazione. Ivanhoe non indulge al pittoresco, alle avventure rocambolesche, agli eroi eccezionali Un romanticismo moderato ma non troppo  La vicenda editoriale Manzoni pone mano al romanzo il 24 aprile . Il lavoro prosegue sino al 17 settembre con alcune pause, nel corso delle quali l'autore completa , l' e . Al termine di questo periodo egli ha scritto , divisi in quattro tomi, nei quali si narra – intervallata da lunghe digressioni – la storia di un matrimonio ostacolato dal capriccio di un signorotto locale in un borgo del lecchese. 1821 1823 Il cinque maggio Adelchi La Pentecoste 37 capitoli Il  Fermo e Lucia   >> pag. 720  Intorno ai due promessi sposi, Fermo Spolino e Lucia Zarella (di qui il titolo attribuito all'opera, suggerito dall'amico letterato Ermes Visconti), ruota l'intera società di un'epoca (1628-1631) travagliata da (nel contesto della Guerra dei Trent'anni), , e da una , che miete innumerevoli vittime e contagia quasi tutti i personaggi. A questo flagello Manzoni dedica un'appendice, in cui racconta il , accusati di aver diffuso il morbo con unguenti velenosi, capri espiatori ingiustamente condannati a morte. Al posto delle loro case, demolite, verrà eretta una « » in ricordo, appunto, dell'"infamia" dei presunti colpevoli; essa diventerà invece testimonianza dell'ignoranza umana quando, molto tempo dopo, si dimostrerà l'innocenza dei condannati: la colonna verrà così abbattuta, nel 1778. conflitti carestie rivolte terribile pestilenza processo a due presunti "untori" colonna infame . Milano, Castello Sforzesco, Civica Raccolta delle Stampe “Achille Bertarelli”. Il supplizio degli untori Completata la "prima minuta", nel 1824 Manzoni decide di riscrivere il romanzo, operando modifiche sostanziali, che vanno ben al di là dell'impianto linguistico (del quale si dirà più avanti). Da un lato o , a partire dalla digressione sui delitti della monaca di Monza; dall'altro introduce alcuni passaggi cruciali, relativi per lo più a Fermo, ora ribattezzato Renzo. Rivede l'intreccio dopo la fuga dal paese, alternando i guai di Lucia a quelli di Renzo, mentre in precedenza aveva composto due blocchi separati. , conferendo loro maggiori chiaroscuri (per esempio al ritratto dell'Innominato, chiamato in precedenza Conte del Sagrato), e soprattutto , smussandone l'indole seriosa e intransigente grazie all'introduzione di una robusta dose d'ironia. Infine decide di sopprimere l'appendice sulla «colonna infame». In questa veste vedono la luce nel giugno presso la tipografia di Vincenzo Ferrario, in tre tomi, con il sottotitolo , il quale continua a correggere sino all'ultimo, con incontentabile impegno. Poco dopo Manzoni parte con la famiglia per la Toscana, dove si rende conto della necessità di una significativa revisione linguistica dell'opera (la cosiddetta " "). Le 2000 copie della prima edizione intanto vanno presto esaurite, e lo stesso accade alle altre che seguono di lì a poco. È un , testimoniato dal fiorire di ristampe abusive, dalle traduzioni in francese, inglese, tedesco e dagli elogi spesi da letterati di primo piano, italiani e stranieri (tra questi, Goethe). Gli intellettuali più tradizionalisti criticano tuttavia il rilievo attribuito a due miseri filatori di seta, mentre il mondo cattolico manifesta riserve dinanzi alla scelta di dipingere un parroco, don Abbondio, come mediocre e vigliacco. sopprime riduce gli episodi più scandalosi Modifica i profili di alcuni personaggi agisce sulla voce narrante I promessi sposi 1827 Storia milanese del secolo XVII scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni risciacquatura in Arno successo clamoroso . La "ventisettana" I promessi sposi  >> pag. 721  Dopo una profonda revisione linguistica, orientata verso il , Manzoni promuove una nuova edizione del suo capolavoro, che fa illustrare con disegni originali per allettare i lettori popolari e contrastare le contraffazioni. Nasce così la cosiddetta "quarantana", uscita a dispense dagli stampatori Guglielmini e Redaelli , con il supporto di un gruppo di disegnatori capeggiati da Francesco Gonin. Ad arricchire l'opera vi è anche la presenza della , l'appendice sulla peste scritta per , che Manzoni inserisce dopo il romanzo quale suo inseparabile completamento, tanto che fa scrivere la parola "Fine" in calce a essa. Qui, con spirito illuministico, l'autore esprime il sentimento di orrore etico e religioso per l'ignoranza e la superstizione degli uomini, per le colpe dei giudici che hanno emesso la condanna contro i presunti untori, poiché avrebbero potuto illuminare la verità e non lo hanno fatto per codardia e corruzione, scaricando la responsabilità del contagio della peste su poveri innocenti. L'ultima edizione del romanzo va tuttavia incontro a un doloroso insuccesso. Il pubblico continuerà a preferire la "ventisettana", e più di metà delle 10000 copie della prima tiratura della "quarantana" rimarranno invendute, causando all'autore un gravissimo danno economico. Solo in un secondo tempo, e grazie all'azione determinante della scuola, la "quarantana" diventerà – e lo è tuttora – il testo di riferimento per chi intenda accostarsi ai . fiorentino colto fra il 1840 e il 1842 Storia della colonna infame Fermo e Lucia Promessi sposi . La "quarantana"  I promessi sposi 2 La struttura, i personaggi, i temi Un organismo complesso Nell'Introduzione ai Manzoni sostiene di aver trovato e riscritto in un italiano meno ampolloso un « » (ossia stinto e pieno di sgorbi), in cui gli era capitato di leggere una «bella storia» davvero accaduta, raccolta da un anonimo nel Seicento. Si tratta di un espediente intramontabile, quello del "manoscritto ritrovato", a cui aveva già fatto ricorso – fra i tanti – Miguel de Cervantes nel ( p. 109). La finzione del manoscritto è funzionale a dare il senso del secolo e a inserire nel contesto la figura dell'anonimo, destinato a diventare nel corso della narrazione un vero e proprio personaggio fuori scena. Il narratore lo chiama in causa per («così scrive il mio anonimo» è una delle formule più ricorrenti) e per conferire alla vicenda narrata il carattere di un episodio effettivamente reale. Promessi sposi dilavato e graffiato autografo Don Chisciotte ►  distanziarsi dalla materia in modo ironico La finzione dell’«anonimo»  La storia in questione muove da una situazione di quiete e normalità. Il del romanzo (capitoli 1-8), inquadrata la vicenda fra il lago e le alture del lecchese, si concentra sul sopruso subito da due devoti e laboriosi popolani, Renzo Tramaglino e Lucia Mondella. Alla vigilia delle loro nozze due «bravi», cioè due sgherri di don Rodrigo, un nobile locale invaghito di Lucia, si parano dinanzi al parroco incaricato del matrimonio, don Abbondio, intimandogli di rinunciare, pena la vita. Invano Renzo si rivolge all'avvocato Azzeccagarbugli; né miglior esito è ottenuto dal tentativo di fra Cristoforo, un cappuccino, padre spirituale dei due giovani, di cui l'autore racconta in una digressione l'irrequieta giovinezza: prima di ricevere la vocazione, l'uomo – al secolo Lodovico – ha perfino ucciso un nobile in un duello provocato da futili motivi. primo blocco narrativo L’intreccio   >> pag. 722  Il frate prova a distogliere don Rodrigo dai suoi propositi, ma questi resta fermo nella volontà di impedire il matrimonio, più per puntiglio che per passione, avendo scommesso con il cugino Attilio che avrebbe avuto Lucia. Fallisce anche il tentativo dei due giovani di celebrare il matrimonio di sorpresa, facendo irruzione nottetempo nella casa di don Abbondio, proprio mentre i bravi si recano alla casa di Lucia per rapirla. Non resta ai promessi sposi altro che fuggire dal paese e dai monti natii, ai quali Lucia indirizza uno struggente addio. Insieme alla madre Agnese la fanciulla raggiunge il convento di Monza, dove si pone sotto la protezione di suor Gertrude, un'ambigua monaca di una nobile famiglia alle cui vicende è dedicata la seconda digressione significativa del romanzo, tramite un ampio sulla sua monacazione forzata (capitoli 9-10). Il (capitoli 11-17) verte sulle traversie di Renzo, che raggiunge Milano, dove si trova implicato nei tumulti scaturiti dal rincaro del pane. Arrestato all'osteria della Luna Piena, riesce a liberarsi e a riparare in territorio veneziano, presso il cugino Bortolo, in un paese della Bergamasca dove viene assunto come lavorante al filatoio. Il (capitoli 18-27) vede l'uscita di scena di fra Cristoforo, allontanato grazie ai maneggi di Attilio, e l'entrata dell'Innominato, a cui si rivolge don Rodrigo perché rapisca Lucia. Con l'aiuto dell'amante della monaca di Monza, la giovane è condotta nel castello dell'Innominato. Malvagio e temuto, questi tuttavia vive una crisi di coscienza, che si aggrava dopo un dialogo con Lucia. Recatosi a colloquio dal cardinale Federigo Borromeo, in visita al paese, ne esce convertito: decide di cambiar vita e liberare Lucia, indirizzata prima alla casa di un sarto e poi presso la ricca donna Prassede, moglie dell'erudito don Ferrante. Nel corso di un teso confronto il cardinale rimprovera aspramente don Abbondio per la sua codardia. Al matrimonio si frappone tuttavia un nuovo ostacolo: il voto di castità formulato da Lucia durante la notte disperata trascorsa nel castello dell'Innominato. Renzo, informato via lettera, non riesce a mettersi il cuore in pace. Il (capitoli 28-38) è introdotto da un'articolata ricostruzione del contesto storico e sociale: la carestia, la calata in Lombardia dei lanzichenecchi, il dilagare della peste. Vengono contagiati anche don Rodrigo e Renzo; quest'ultimo ne guarisce e decide di tornare al proprio paese. Al posto di Lucia vi trova soltanto morte e devastazione. Decide perciò di avviarsi alla volta di Milano, stremata dall'epidemia e in preda a un'isterica caccia agli untori. Nel lazzaretto incontra dapprima fra Cristoforo, tornato per dare assistenza ai malati: tra questi vi è don Rodrigo in punto di morte, che Renzo perdona, e Lucia, in via di guarigione. Fra Cristoforo, prima di cedere al morbo che ha infettato pure lui, scioglie il voto di castità. Lo scatenarsi di una pioggia purificatrice accompagna la soluzione della vicenda. Rientrati al paese, i due fidanzati finalmente si sposano, per poi trasferirsi nella Bergamasca, dove la famiglia e gli affari prosperano. Su questo ritorno alla normalità Manzoni chiude il romanzo, nella convinzione che l'idillio «seccherebbe a morte» i lettori. flash back secondo blocco narrativo terzo blocco narrativo quarto e ultimo blocco narrativo All'accuratezza nella definizione degli spazi corrisponde nel romanzo la : don Abbondio incontra i bravi il 7 novembre del 1628; il matrimonio può effettivamente celebrarsi ai primi di novembre del 1630. dunque , ma secondo un andamento irregolare. I primi otto capitoli si distendono in pochi giorni: quando Renzo in fuga passa l'Adda (capitolo 17) non è trascorsa una settimana dall'avvio della storia. Il montaggio alternato fra le concomitanti traversie dei fidanzati aumenta la suspense e mantiene il ritmo serrato sino al momento della liberazione della giovane dal castello dell'Innominato (capitolo 24). Fatte salve le , il ritmo subisce un evidente rallentamento soltanto nell'ultimo blocco, sino al momento del ricongiungimento al lazzaretto (capitolo 36), che conduce rapidamente all'epilogo. precisione temporale Le vicende del romanzo occupano circa due anni molteplici digressioni I tempi della vicenda   >> pag. 723  Il sistema dei personaggi Manzoni offre nei un , percorrendo i diversi strati della società che ritrae: dai popolani a nobili e cardinali, egli descrive per intero e a tutti i livelli la realtà sociale allo scopo di giudicarla alla luce della fede cristiana. I rapporti di forza e l'opposizione tra bene e male emergono con chiarezza in occasione degli incontri, che ricorrono in tutti i punti strategici del romanzo. Come notava già Francesco De Sanctis, sono i principali " " in cui le ragioni dello spirito trionfano: due riguardano fra Cristoforo (a confronto con il fratello dell'uomo che ha assassinato e con don Rodrigo); due il cardinale Borromeo (a confronto con l'Innominato e con don Abbondio). In tutti i casi, si tratta di scontri verbali: in ossequio alla morale cattolica Manzoni si guarda bene dal risolvere il romanzo con il classico duello fra gli antagonisti; a esso sostituisce un commosso perdono, che Renzo concede a don Rodrigo morente. Promessi sposi campionario completo di tipi umani quattro faccia a faccia Rappresentazione totale della società  Protagonisti dei sono due giovani popolani, ritratti in , che loro malgrado si trovano a dover percorrere un disseminato di ingiustizie e pericoli, secondo dinamiche differenti. , onesto, cordiale, ingenuo, impulsivo, incarna un principio di mobilità. La strada è il luogo privilegiato delle sue avventure, sia quando si confronta con le insidie della realtà urbana, sia quando attraversa le campagne, in fuga verso l'Adda o di ritorno al paese natale. La sua vicenda, al termine della quale saprà rinunciare alla vendetta in nome della fiducia nella Provvidenza, è completata dal passaggio di condizione sociale, da operaio a piccolo imprenditore. , timida, pudica, devota, si muove invece solo perché costretta, per lo più in spazi chiusi: la casa, il convento di Monza, il castello dell'Innominato, e così via. Priva di ambizioni sociali e desideri di ricchezza, inorridisce alle attenzioni ricevute da don Rodrigo, che la distolgono dai casti propositi nutriti per il futuro: diventare sposa e madre. Nulla di più, nulla di meno. «Quest'acqua cheta, questa santerella, questa madonnina infilzata», come la definisce don Abbondio, impara a sue spese come i guai vengano a cercare anche gli innocenti, e quanto spesso le apparenze ingannino: l'abito non fa il monaco, né la monaca. Animata da una fede incrollabile, Lucia fa fronte alle circostanze avverse con coraggio e tenacia, così da comporre un profilo femminile in cui la vulnerabilità si intreccia indissolubilmente alla forza d'animo. Promessi sposi chiave positiva ma non idealizzata cammino di formazione Renzo Tramaglino Lucia Mondella I popolani  Francesco Londonio, , 1750-1760 ca. Milano, Pinacoteca Ambrosiana. Giovane filatrice