Il primo Ottocento – L'autore: Giacomo Leopardi 1 La vita L’ambiente familiare e la formazione Nel il borgo di si trova ai confini di uno degli Stati più arretrati d'Italia, quello pontificio, in una realtà del tutto marginale, lontana dai fermenti politici, sociali e culturali suscitati in Italia e buona parte dell'Europa prima dalla cultura illuminista e poi dagli ideali della Rivoluzione francese. In quell'anno, nel piccolo centro marchigiano, nasce Giacomo Leopardi, primogenito di una nobile casata, figlio del e di . Il padre, eccentrica figura di gentiluomo di provincia, è un bibliofilo erudito, infaticabile intellettuale conservatore, difensore accanito della politica ecclesiastica, tenace oppositore di ogni riforma politica. Genitore affettuoso quanto possessivo, esercita da subito un'influenza fondamentale nel favorire l'inclinazione del figlio alle lettere: possiede infatti una notevole ricca di opere classiche, filosofiche e teologiche, per la quale ha dilapidato il pur cospicuo patrimonio. La madre, austera e rigorosamente religiosa, è una donna poco incline alle manifestazioni di affetto: la sua inattaccabile severità è dovuta soprattutto all'educazione bigotta e alla pesante responsabilità di far fronte a un bilancio familiare reso pericolante dalle scelte finanziarie del marito. Giacomo vive la sua fanciullezza in questo ambiente: una fanciullezza, tuttavia, non infelice, vivacizzata dai giochi con i fratelli minori Carlo e Paolina (i fratelli sono complessivamente dieci, ma solo alcuni supereranno l'infanzia), ai quali racconta favole ispirategli dalla sua innata fantasia. 1798 Recanati conte Monaldo Adelaide Antici biblioteca Casa Leopardi La vita di Giacomo Leopardi - prima parte La vita di Giacomo Leopardi - seconda parte Il ragazzo ha un'intelligenza prodigiosa. Inizialmente è educato da precettori ecclesiastici che però non sono in grado di impartirgli insegnamenti adeguati alle sue possibilità, poi si forma come autodidatta: nelle quattro stanze della biblioteca paterna, tappezzate da quasi 16000 volumi, apprende il greco e l'ebraico, si cimenta nelle prime prove filologiche, immagina sui libri l'esistenza di una realtà viva e lontana dal suo angusto e gretto mondo paesano. Sono gli anni (1808-1815) che Leopardi stesso immortala come quelli dello « », che gli procura una straordinaria erudizione. A questo periodo risalgono , già espressione di ampi interessi culturali: si spazia dai versi in latino a quelli in volgare di ispirazione classicistica o arcadica (è il caso di tragedie come , scritta nel 1811 a soli tredici anni, e 1812), dalle traduzioni poetiche (Orazio, Mosco e l' soprattutto) agli studi filologici, dai trattati di argomento scientifico ( , 1813) alle ricerche di stampo illuministico ( , 1815). studio matto e disperatissimo i primi componimenti La virtù indiana Pompeo in Egitto, Odissea Storia dell'astronomia Saggio sopra gli errori popolari degli antichi Un genio precoce e autodidatta Recanati, una delle sale della biblioteca di Palazzo Leopardi. >> pag. 774 Le "conversioni" e l’infelicità del giovane poeta Giacomo non ha ancora abbandonato le idee paterne, conservatrici in politica, religione e letteratura, quando nel 1817 l'amicizia epistolare con lo scrittore (1774-1848), intellettuale laico e democratico, lo stimola a un importante ampliamento di prospettive. È in questa fase che possiamo situare la cosiddetta , ossia il passaggio dalla fase erudita e di studio a quella della composizione creativa. Infatti, dopo aver letto i poeti contemporanei – da Foscolo a Goethe, da Alfieri a Monti – e preso posizione nella polemica tra Classicisti e Romantici con una (in risposta al saggio di Madame de Staël), che però non viene pubblicata, dà avvio nel 1819 alla sua vera e propria produzione lirica con la stesura dei primi Pietro Giordani "conversione letteraria" Lettera ai sigg. compilatori della “Biblioteca italiana“ Idilli. Dall’erudizione alla poesia A soli vent'anni la sua incomincia a essere : Leopardi soffre di scoliosi, di febbri continue e soprattutto di disturbi agli occhi. Nel contempo emergono i primi segni di e di , per cui il giovane accusa soprattutto il paese e l'ambiente retrogrado in cui vive, «tana, caverna», dove «tutto è morte, tutto è insensataggine e stupidità». In particolare l'amicizia con Giordani gli fa prendere coscienza del desiderio di uscire dall'anonimato e confrontarsi con una cultura più ampia e moderna, acuendo in lui la percezione di costrizione e soffocamento che prova a contatto con un mondo opprimente. Il bisogno di spezzare l'isolamento si traduce nel progetto di abbandonare il paese: così, nel 1819, egli tenta invano una , spinto dal desiderio di sottrarsi alla noia e alla disperazione, ma il passaporto, che segretamente si è fatto fare, finisce nelle mani del padre. Scrive in diverse lettere a Giordani di sentirsi «mangiato dalla malinconia, zeppo di desiderii, attediato, arrabbiato» (agosto 1818), «stordito dal niente che mi circonda», senza «più lena di concepire nessun desiderio, né anche della morte, non perch'io la tema in nessun conto, ma non vedo più divario tra la morte e questa mia vita, dove non viene più a consolarmi neppure il dolore» (novembre 1819), «stecchito e inaridito come una canna secca, e nessuna passione trova più l'entrata di questa povera anima» (marzo 1820). salute minata insoddisfazione malessere fuga da Recanati Malinconia e disperazione Anche la fede, inculcatagli dalla madre, non lo sorregge più: avviene qui la («dal bello al vero»), che gli ispira una nuova visione della vita, avversa a ogni credo religioso e vicina alle tesi del materialismo settecentesco, alle quali resterà legato fino alla morte. "conversione filosofica" «Dal bello al vero» In cerca della libertà Nel novembre 1822 Leopardi ottiene di poter lasciare Recanati e coronare il sogno di conoscere, dal vivo e non solo dalle pagine dei libri, realtà diverse che, secondo le sue illusioni giovanili, gli permetteranno di sfuggire alla morsa della sofferenza esistenziale. La meta è , dove lo zio Carlo Antici, persona con buone conoscenze sociali, spera di fargli ottenere una sistemazione presso la Curia. Il progetto però non va in porto e il soggiorno di Leopardi termina nell'aprile del 1823: cinque mesi segnati dalla nel constatare la distanza tra la città immaginata e quella reale, che egli trova vuota, corrotta, dissipata, popolata da intellettuali boriosi e provinciali, occupati in sterili diatribe accademiche. Al ritorno a Recanati, il poeta traccia un primo bilancio della propria esistenza, straziato dalla sensazione di aver scoperto . Roma profonda amarezza la propria infinita solitudine Il soggiorno romano >> pag. 775 Incupita la sua concezione della vita, Giacomo riversa negli scritti un pessimismo assoluto: il frutto di questa radicalizzazione del pensiero è un primo gruppo di , in prosa. Ormai emancipato, per età ma non economicamente, dalla tutela dei genitori, è libero di muoversi da Recanati: nel 1825 si reca a , dietro invito dell'editore Stella, per curare una collana di opere classiche latine, ma la precarietà delle sue condizioni fisiche gli impedisce di guadagnarsi da vivere («io sono», scrive nello , «si perdoni la metafora, un sepolcro ambulante, che porto dentro di me un uomo morto, un cuore già sensibilissimo che più non sente»); quindi, si trasferisce a , dove si guadagna da vivere con lezioni private e poi, dopo un'altra sosta a Recanati, a (dove conosce Manzoni, intento ad adeguare i alla lingua fiorentina), per poi soggiornare a , dove trascorre l'inverno del 1828, confortato dal clima mite della città. Operet te morali Milano Zibaldone Bologna Firenze Promessi sposi Pisa Un sofferto vagabondaggio cronache dal passato II viaggio a Roma L'esperienza romana del poeta recanatese tra speranze, innamoramenti e delusioni. A ventitré anni, finalmente, per Giacomo prende corpo l'occasione della vita. Dopo il tentativo di fuga da Recanati fallito all'ultimo momento, ora anche i genitori acconsentono che il figlio si sposti dal «natio borgo selvaggio» ed entri in contatto con il mondo. Da Roma – la meta tanto agognata – arriva la notizia che la cattedra di Letteratura latina presso la Biblioteca Vaticana è vacante: forte della sua sterminata cultura filologica, Leopardi spera di ottenerla. Lo zio materno Carlo Antici, da tempo a Roma, vince le ultime resistenze del padre Monaldo: «L'esperienza cittadina», scrive, «sarà certo di gran giovamento al vostro primogenito. Ve lo riconsegnerò più uomo». In realtà, bastano pochi giorni di permanenza e Giacomo sperimenta già le prime cocenti delusioni. La possibilità dell'impiego presso la biblioteca pontificia svanisce presto: si dice che le idee del giovane intellettuale siano troppo pericolose e spregiudicate in tema di politica e religione. Per cancellare la sua fama di materialista, gli chiedono di intraprendere la carriera ecclesiastica, ma Leopardi rifiuta recisamente. I rapporti umani non vanno meglio: le donne del popolo – che forse il ragazzo sperava essere più disponibili – sono noncuranti e altezzose. Ma la delusione maggiore riguarda la vita culturale della città: gli intellettuali gli appaiono fatui e insignificanti, chiusi nel pedante culto dell'antiquaria (scienza che studia l'antichità), eruditi senz'anima. Nei giudizi che formula sul loro conto Leopardi non usa mezze misure, sfoderando un insospettabile turpiloquio: uno di questi, l'abate Francesco Cancellieri, celebrato storico dell'epoca, viene definito «un coglione, un fiume di ciarle». Gli rimane la sola consolazione delle passeggiate solitarie. Biblioteca Apostolica Vaticana, interno del Salone Sistino. Città del Vaticano. >> pag. 776 Gli ultimi anni Nella primavera del 1828, Leopardi è intanto tornato alla poesia, come scrive egli stesso nella lettera del 2 maggio 1828 alla sorella Paolina: «E dopo due anni, ho fatto dei versi quest'Aprile, ma versi veramente all'antica, e con quel mio cuore d'una volta». Si tratta dei cosiddetti , altrimenti detti "canti pisano-recanatesi". Vengono infatti composti tra Pisa e Recanati, dove il poeta è costretto a tornare («l'orrenda notte di Recanati mi aspetta», scrive il 19 giugno 1828 all'amica Antonietta Tommasini) a causa dell'aggravarsi delle sue condizioni di salute, e dove vive fino al 1830. "grandi idilli" Tra Pisa e Recanati Un gruppo di amici toscani lo invita nuovamente a Firenze, promettendogli una rendita mensile per un anno: si tratta degli intellettuali che collaborano al progetto culturale del ginevrino Giovan Pietro Vieusseux, che pubblica la rivista "Antologia". Il poeta accetta, nonostante il profondo dissenso ideologico che lo separa dall'ottimismo liberal-progressista che si respira nelle riunioni del circolo. Il 30 aprile 1830 Giacomo saluta per l'ultima volta i genitori e lascia la casa paterna: non tornerà più a Recanati. Il soggiorno fiorentino sembra riaccendere le illusioni sopite: Leopardi è ospite di salotti raffinati, animati dalla presenza di dame intriganti. Tra queste, emerge la «Dama bellissima e gentilissima», , una nobildonna un po' svampita che ostenta cultura letteraria collezionando autografi di letterati famosi. Il sentimento che la donna suscita nel poeta è il più appassionato che egli abbia mai provato, ma la speranza che il suo amore sia ricambiato è di breve durata: dopo la delusione di questa esperienza, Giacomo lascia Firenze. Fanny Targioni Tozzetti Le delusioni fiorentine Leopardi si trasferisce a Roma insieme a un giovane amico, l'esule scrittore napoletano , conosciuto nel 1827. Con lui, dopo un'ultima, breve sosta fiorentina nel 1832, si reca a Napoli. Qui trascorre gli ultimi anni di vita con l'intermezzo di un soggiorno in una villetta fra Torre del Greco e Torre Annunziata, per sfuggire all'epidemia di colera che si è abbattuta sulla città partenopea. La permanenza napoletana, dapprima fonte di un certo benessere, diventa poi più difficile per l'incompatibilità con l'ambiente e soprattutto per il deteriorarsi della salute. Le sue condizioni si aggravano rapidamente e un malore lo uccide il 14 giugno , a . Secondo la testimonianza di Ranieri, il suo corpo viene salvato per poco dalla fossa comune destinata ai morti di colera e seppellito nella chiesetta di San Vitale. Un secolo dopo, nel 1938, i resti di Leopardi vengono traslati a Mergellina, nel Parco di Piedigrotta, non lontano dal luogo dove c'è quella che la tradizione considera la tomba di Virgilio. Antonio Ranieri 1837 Napoli A Napoli con Antonio Ranieri Incisione raffigurante Villa Ferrigni presso Napoli, dove Leopardi scrisse , XIX sec. Collezione privata. La ginestra