Il secondo Novecento e gli anni Duemila – L'autore: Pier Paolo Pasolini 3 I grandi temi La visione politica Gli anni trascorsi da Pasolini a Casarsa – nell’ultima fase della guerra e poi nell’immediato dopoguerra – segnano per lui il momento dell’acquisizione di una consapevolezza ideologica. Una tematica apertamente politica compare nelle poesie degli anni successivi, raccolte nei volumi (1954) e (1958). La sezione finale (del 1949) di quest’ultimo volume si intitola : ciò prelude alla centralità della tematica politica che sarà propria della raccolta successiva, significativamente intitolata (1957), la quale comprende componimenti degli anni Cinquanta. Il di Pasolini sarà sempre, però, piuttosto . Quello che gli interessa, infatti, non è tanto il proletariato, cui si rivolge il Pci, ma il , ovvero il popolo prima dell’avvento di una coscienza di classe. La meglio gioventù L’usignolo della Chiesa Cattolica La scoperta di Marx Le ceneri di Gramsci comunismo eterodosso sottoproletariato La scoperta di Marx Nel poemetto che dà il titolo alla raccolta , in un immaginario colloquio con l’urna dell’autore dei , Pasolini esprime tutta l’ambiguità della propria appartenenza politica: « , dell’essere / con te e contro te; con te nel cuore, / in luce, contro te nelle buie viscere». E alcuni versi più avanti il poeta spiega tale contraddizione: «attratto da una vita proletaria / a te anteriore, è per me religione / / la sua allegria, non la millenaria / sua lotta: la sua natura, non la sua / coscienza». Davanti a Gramsci, assurto a simbolo dell’ortodossia marxista, Pasolini dichiara che il suo amore per il mondo popolare è viscerale, estraneo a ogni ideologia. La conquista della coscienza di classe, che il comunismo indicava come l’obiettivo prioritario, in quanto preliminare alla possibilità di una lotta di massa finalizzata alla rivoluzione proletaria, avrebbe significato per il proletariato una maggiore consapevolezza politica, civile e culturale. Ma questo avrebbe finito con il compromettere l’autenticità, la genialità, la spontaneità, la libertà che Pasolini vedeva come caratteristiche fondamentali di quel popolo che nei suoi anni friulani prima e in quelli romani poi aveva imparato a conoscere. Da qui la sua : da una parte razionalmente desidera, insieme con il Partito e aderendo al suo programma, l’evoluzione culturale e il miglioramento delle condizioni materiali di vita dei lavoratori; ma dall’altra intimamente teme che quel processo di cambiamento possa determinare la corruzione, in senso borghese, della candida essenza popolare. Le ceneri di Gramsci Quaderni del carcere Lo scandalo del contraddirmi sofferta posizione politica Di fronte a Gramsci T1 Il pianto della scavatrice Le ceneri di Gramsci Nella seconda parte delle sei di cui è costituita la lirica , in alcuni dei suoi versi più belli ed emotivamente più intensi, Pasolini rievoca l’esperienza delle borgate romane e soprattutto illumina il lettore sulla propria particolare concezione del popolo. Il pianto della scavatrice Terzine di endecasillabi non rimati. Sono frequenti versi ipometri o ipermetri (cioè con un minore o maggiore numero di sillabe rispetto alla misura endecasillabica). METRO L’ del autenticità popolo Asset ID: 220 ( ) let-altvoc-il-pianto-della-scavat280.mp3 Ad alta voce Povero come un gatto del Colosseo, vivevo in una borgata tutta calce e polverone, lontano dalla città e dalla campagna, stretto ogni giorno in un autobus rantolante: e ogni andata, ogni ritorno era un calvario di sudore e di ansie. Lunghe camminate in una calda caligine, lunghi crepuscoli davanti alle carte ammucchiate sul tavolo, tra strade di fango, muriccioli, casette bagnate di calce e senza infissi, con tende per porte… Passavano l’olivaio, lo straccivendolo, venendo da qualche altra borgata, con l’impolverata merce che pareva frutto di furto, e una faccia crudele di giovani invecchiati tra i vizi di chi ha una madre dura e affamata. Rinnovato dal mondo nuovo, libero – una vampa, un fiato che non so dire, alla realtà che umile e sporca, confusa e immensa, brulicava nella meridionale periferia, dava un senso di serena pietà. Un’anima in me, che non era solo mia, una piccola anima in quel mondo sconfinato, cresceva, nutrita dall’allegria di chi amava, anche se non riamato. E tutto si illuminava, a questo amore. Forse, ancora di ragazzo, eroicamente, e però maturato dall’esperienza che nasceva ai piedi della storia. Ero al centro del mondo, in quel mondo di borgate tristi, beduine, di gialle praterie sfregate da un vento sempre senza pace, venisse dal caldo mare di Fiumicino, o dall’agro, dove si perdeva la città fra i tuguri; in quel mondo che poteva soltanto dominare, quadrato spettro giallognolo nella giallognola foschia, bucato da mille file uguali di finestre sbarrate, il Penitenziario tra vecchi campi e sopiti casali. Le cartacce e la polvere che cieco il venticello trascinava qua e là, le povere voci senza eco di donnette venute dai monti Sabini, dall’Adriatico, e qua accampate, ormai con torme di deperiti e duri ragazzini stridenti nelle canottiere a pezzi, nei grigi, bruciati calzoncini, i soli africani, le piogge agitate che rendevano torrenti di fango le strade, gli autobus ai capolinea affondati nel loro angolo tra un’ultima striscia d’erba bianca e qualche acido, ardente immondezzaio… 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 l’affanno del motore richiama un rantolo (vale a dire il respiro del moribondo). arsura polverosa. i fogli dell’attività letteraria. venditore ambulante di olive. che sembrano accampamenti di nomadi del deserto, più che quartieri di una capitale dell’Occidente avanzato. comune ai confini di Roma, alle foci del Tevere. campagna. le catapecchie che costituiscono le borgate. è complemento oggetto del predicato , di cui è soggetto (v. 44), cioè il carcere di Rebibbia. è apposizione di . le masserie che sembrano come addormentate. i monti della Sabina, a nord di Roma. induriti dalle loro esperienze di vita. vocianti. molto caldi. perché ricoperta di polvere. dall’odore acre, pungente. 5 rantolante: 8 calda caligine: 9 carte: 13 olivaio: 34 beduine: 37 Fiumicino: 38 agro: 39 tuguri: 40 che: poteva dominare il Penitenziario 41 quadrato… giallognolo: Penitenziario 45 sopiti casali: 49-50 monti Sabini: 52 duri: 53 stridenti: 55 africani: 59 bianca: 60 acido: >> pag. 1103 era il centro del mondo, com’era al centro della storia il mio amore per esso: e in questa maturità che per essere nascente era ancora amore, tutto era per divenire chiaro – era, chiaro! Quel borgo nudo al vento, non romano, non meridionale, non operaio, era la vita nella sua luce più attuale: vita, e luce della vita, piena nel caos non ancora proletario, come la vuole il rozzo giornale della cellula, l’ultimo sventolio del rotocalco: osso dell’esistenza quotidiana, pura, per essere fin troppo prossima, assoluta per essere fin troppo miseramente umana. 65 70 75 in base a quanto si legge nel di Marx e Engels (1848), il proletariato è la «classe degli operai moderni, che vivono solo fintantoché trovano lavoro, e che trovano lavoro solo fintantoché il loro lavoro aumenta il capitale». Si tratta dunque di una classe sociale funzionale all’economia capitalistica, una classe assai diversa dal sottoproletariato, che vive lontano dai meccanismi del sistema produttivo. E se il proletariato può elaborare una coscienza politica, il sottoproletariato è ben lontano dal condividerla. la definisce. Pasolini attribuisce l’espressione negativa caos a qualche giornale di partito ( : sezione di partito). la metafora dice la scarna essenzialità della condizione di vita della gente del popolo, che vegeta ai limiti della sopravvivenza, in un’esistenza ridotta, appunto, all’osso. per il fatto di essere (proposizione causale), come anche al verso successivo. 72 non ancora proletario: Manifesto del partito comunista 73 la vuole: non ancora proletario cellula 75 osso: 77 per essere: Dentro il testo I contenuti tematici In questi versi l’autore rievoca il momento del suo primo contatto con il mondo delle e con la . La borgata è una zona intermedia, lontana (vv. 3-4), che non possiede la struttura dell’agglomerato urbano né quella della comunità rurale. Essa è una sorta di terra di nessuno, abbandonata dalla politica e dalle istituzioni, sostanzialmente disinteressate alla vita e ai problemi di chi vi abita. Pasolini, invece, sceglie consapevolmente di condividere l’esistenza di queste persone. Lo fa perché in tale ambiente egli può finalmente ritrovare sé stesso e una nuova gioia di vivere, che si esplica all’insegna di una condizione di libertà dai vincoli moralistici piccolo-borghesi ( , v. 19). L’istintiva (v. 27) della gente del popolo si comunica al poeta, che si sente intimamente vicino a quel mondo sottoproletario al quale si accosta. In lui, così, cresce il senso di appartenenza all’anima popolare ( , […] , vv. 25-27). Poco importa se il suo amore (che andrà inteso qui anche in senso erotico, nei confronti dei ragazzi del popolo) non è del tutto ricambiato ( , v. 28), perché (v. 29). borgate romane loro grande carica umana dalla città / e dalla campagna Rinnovato dal mondo nuovo allegria Un’anima in me, che non era solo mia cresceva di chi amava, anche se non riamato tutto si illuminava, a questo amore A contatto con la borgata La borgata romana diventa così il (vv. 33 e 61), il luogo dove il giovane “di buona famiglia” può finalmente maturare a contatto con un’esperienza (v. 32), vale a dire la vita degli ultimi in queste (v. 34), di coloro, cioè, che sono abbandonati a sé stessi da quanti detengono le leve della grande Storia collettiva. E su questo mondo emerge di nuovo l’ (il vocabolo torna al v. 62) del poeta per il popolo. centro del mondo che nasceva ai piedi della storia borgate tristi, beduine amore L’amore per il popolo >> pag. 1104 Il popolo per Pasolini è puro nella misura in cui non è contaminato né dai distorti valori borghesi né dalle ideologie politiche. La (v. 64) equivale a un’involuzione interiore e può esprimersi come amore solo finché è allo stato iniziale ( , vv. 64-65). Quando l’ideologia ha il sopravvento e il popolo ne viene corrotto, esso rischia di perdere la propria essenza, fatta di un’ingenuità che è (vv. 69-70). Per Pasolini la forza più viva e autentica della Storia non è dunque il proletariato consapevole della propria condizione e della necessità di rivendicare i propri diritti (come riteneva l’ortodossia comunista, qui emblematizzata dal , vv. 73-74), ma – appunto – questo sottoproletariato primitivo e ignaro, un (v. 72) niente affatto negativo, bensì dotato di una straordinaria energia vitale, (v. 77) e (v. 78). maturità per essere nascente / era ancora amore la vita / nella sua luce più attuale rozzo giornale / della cellula caos non ancora proletario pura assoluta L’essenza pre-politica del sottoproletariato Le scelte stilistiche In questa come nelle altre liriche della raccolta Pasolini tenta una sintesi tra lirismo e impegno civile. Infatti egli non rinuncia ad affrontare certi nodi politici e ideologici (come quello relativo alla visione del proletariato e alle prospettive di una sua azione), ma insieme pone sé stesso e il proprio io poetico – con tutte le sue tensioni, le sue angosce, i suoi slanci, i suoi entusiasmi, i suoi sentimenti – in rapporto dialettico con la realtà che rappresenta. Alla marginalità del sottoproletariato romano corrisponde la marginalità personale del poeta, finché queste due condizioni finiscono quasi con il sovrapporsi. Le ceneri di Gramsci Impegno e soggettivismo Dal punto di vista prettamente formale, va notato come a una forma metrica, la terzina, di tipo tradizionale – sebbene rivisitata con una certa libertà – si unisca qui un linguaggio semplice e discorsivo, perfettamente funzionale agli intenti narrativi e dimostrativi che l’autore si propone di perseguire. I due elementi sembrerebbero in contraddizione, ma la scelta pasoliniana risponde a una motivazione precisa: affinché i contenuti concettualmente impegnativi (sul piano storico, logico, razionale) di questi versi potessero trovare una loro poeticità era necessario «imprigionarli dentro istituzioni stilistiche codificate, dentro ritmi, rime e suoni saldamente impiantati nella tradizione, […] preesistenti e tali da costituire un margine alla violenza dell’autobiografia» (Cerami). Metrica e linguaggio Verso le competenze COMPRENDERE Riassumi il contenuto del testo in circa 10 righe. 1 ANALIZZARE Rintraccia tutti i riferimenti alla povertà dell’ambiente e della gente della borgata. 2 Quale figura retorica troviamo nel sintagma (v. 16)? 3 frutto di furto Allitterazione. A Paronomasia. B Ossimoro. C Iperbato. D INTERPRETARE Perché il poeta ripete l’aggettivo in due versi consecutivi (vv. 41-42)? Che cosa intende sottolineare in questo modo? 4 giallognolo In che senso il carcere di Rebibbia domina la borgata? 5 PRODURRE Confronta questi versi con quelli di di Umberto Saba ( T4, p. 813). Quali analogie riscontri? Ed eventualmente quali differenze? Scrivi un testo espositivo di circa 20 righe. 6 Città vecchia ►