Il primo Novecento – L'autore: Luigi Pirandello L’AUTORE NEL TEMPO Se il rapporto di Pirandello con il pubblico, in particolare per quanto riguarda la produzione teatrale, è stato sempre sostanzialmente positivo, la critica ufficiale, almeno fino agli anni Venti del Novecento, si dimostra indifferente o persino negativa nei confronti della sua opera. L’autore rimane a lungo imprigionato sotto l’etichetta di scrittore umorista che cede volentieri al bozzetto tragicomico tipico del romanzo d’appendice. Anche quando i primi drammi vengono rappresentati sulla scena, con un dilagante successo di pubblico, la critica resta fredda e parla di «astrattezza» e «cerebralità»; i personaggi vengono assimilati a marionette inquiete che agiscono «senza sentimento e umanità». Principale responsabile di questa incomprensione, volta a liquidare Pirandello come un cattivo «filosofo» e un «poeta» artificioso, è Benedetto Croce, che stronca il saggio all’indomani della sua pubblicazione. Critici di derivazione crociana (Luigi Russo, Attilio Momigliano, Francesco Flora) mostrano di conseguenza una difficoltà pregiudiziale a comprendere la novità dell’opera pirandelliana. Con il successo internazionale di , anche la critica italiana comincia a riconoscere l’originalità del lavoro di Pirandello. Il critico che con maggiore assiduità si occupa dei suoi testi è Adriano Tilgher. In un saggio del 1913, , egli aveva già richiamato l’attenzione sull’antitesi tra «vita» e «forma», che più tardi applica proprio all’opera pirandelliana, nella quale riconosce una visione tragica del mondo. È sempre Tilgher a introdurre il termine “pirandellismo”, che finisce per indicare una sorta di esasperato relativismo, sia in riferimento a un uso della ragione inquieto e tormentato dal conflitto tra apparenza e sostanza, sia in relazione al dubbio che si insinua nelle verità del senso comune, nelle certezze della scienza e delle ideologie. Difficile, anche a causa della discussa adesione di Pirandello al fascismo, è l’impatto, negli anni Sessanta, con i critici di orientamento marxista, che tuttavia hanno il merito di indagare il rapporto dell’autore con la società siciliana, riconducendo la sua poetica alla sensibilità decadente. Ciò avviene in particolare nei saggi di Carlo Salinari (1960) e di Arcangelo Leone De Castris (1962). Se da una parte viene risparmiata a Pirandello l’accusa di essere un intellettuale al servizio del regime, dall’altra viene però criticato il suo disimpegno politico e l’assenza di una visione del mondo rivoluzionaria, quale campeggia invece al centro del teatro epico di Bertolt Brecht. Gli studi recenti tentano di superare la chiave interpretativa del “pirandellismo” tilgheriano, correndo però il rischio di negare troppo radicalmente il peso delle problematiche che il critico aveva messo in luce. Su una posizione di equilibrio si colloca Renato Barilli, che ridimensiona tanto l’interpretazione filosofica di Tilgher, quanto quella, tipica di molta critica attuale, che la disconosce. Altri studi sono stati di volta in volta dedicati a indagini stilistiche (Gianfranco Contini, Marziano Guglielminetti), ad approfondimenti sul «teatro nel teatro» (Cesare Segre), a letture narratologiche sull’io narrante (Angelo Marchese), fino a toccare i metodi psicanalitici, per approfondire il tema dello sdoppiamento collegandolo alla schizofrenia (Elio Gioanola). Un’affermazione faticosa L’umorismo Il successo internazionale e i primi riconoscimenti critici Sei personaggi in cerca d’autore Teoria della critica d’arte La critica marxista Miti e coscienza del decadentismo Storia di Pirandello Le tendenze contemporanee