Il primo Novecento – L'autore: Eugenio Montale 3 I grandi temi La concezione della poesia Non è facile mettere a fuoco la poetica di Montale: in primo luogo perché conosce nel tempo una significativa evoluzione, e in secondo luogo per la riluttanza del poeta a lasciarsi imbrigliare in definizioni, scuole, correnti. Siamo dinanzi a un autore lucidissimo e ironico, che tende a depistare i critici e a dissimulare i riferimenti teorici del suo lavoro, riscontrati già in età giovanile sulle pagine di filosofi come Schopenhauer, Bergson, Boutroux. È dunque opportuno procedere per via di negazione e rimarcare innanzitutto la , tenendo presente un suo celebre distico: «Codesto solo oggi possiamo dirti, / ciò che siamo, ciò che vogliamo» ( T7, p. 863). Montale infatti o di profeta. Come si vedrà nella seconda parte dell’Unità, gli perseguono un evidente abbassamento di tono rispetto ai roboanti proclami futuristi o alla voce impostata dei «poeti laureati», in un’ottica di sostanziale equidistanza dalle avventure avanguardistiche e dalla vuota ripetizione di moduli ottocenteschi. In questo senso Gabriele d’Annunzio non rappresenta un idolo da abbattere, ma un modello da «attraversare», filtrandone i risultati stilistici più alti al attraverso una sensibilità radicalmente diversa. distanza dalle esperienze liriche dell’epoca non non ►  non attribuisce al poeta un ruolo di vate Ossi di seppia «Ciò che siamo» non Nella raccolta d’esordio Montale esplora un angoscioso . L’io lirico si aggira smarrito, perplesso, dando prova di un’inettitudine a vivere che può ricordare i Crepuscolari. Ma, se questi reagivano assumendo toni patetici, il poeta ligure adotta un atteggiamento di stoica resistenza dinanzi alla «ferrea catena della necessità», in cui cerca «l’anello che non tiene». All’aridità interiore oppone la ricerca di uno spiraglio, di un varco in grado di dare tregua al «male di vivere», il quale non viene espresso in forma concettuale, con riflessioni astratte, ma condensato in una serie di : un muro sormontato da vetri spezzati (in , T8, p. 865), una foglia secca che si accartoccia o un cavallo che stramazza a terra (in , T9, p. 868). Come Pascoli, anche Montale preferisce la specie al genere (non uccelli, ma «ghiandaie»; non un fiore, ma un «girasole») e ama concentrarsi su oggetti umili. Non intende però recuperare lo sguardo ingenuo del «fanciullino» pascoliano né cogliere l’essenza profonda e irrazionale del mondo, come aspirava a fare la poetica simbolista. Le cose diventano piuttosto emblemi dell’emozione provata dal poeta, che in esse si cristallizza, secondo modalità che ricordano da vicino la , elaborata dal poeta statunitense Thomas Stearns Eliot (1888-1965) negli stessi anni: un’immagine o una situazione particolare acquistano per il lettore un immediato significato di valore universale, senza il bisogno di mediazioni o spiegazioni. Così il senso di una vita arida e prosciugata ha il suo emblema negli «ossi di seppia»; il male di vivere in un «rivo strozzato»; l’indifferenza e il distacco dalla vita in una «statua» colta nell’immobilità atmosferica di un pomeriggio estivo ecc. disagio esistenziale immagini pregnanti Meriggiare pallido e assorto ►  Spesso il male di vivere ho incontrato ►  teoria del “correlativo oggettivo” Resistere al «male di vivere» Certamente la poesia di Montale è oscura e “difficile”, ma ciò non dipende tanto dall’uso audace dell’analogia o dall’abbondanza di concetti astratti, quanto piuttosto dalla e, soprattutto nella seconda e terza raccolta, dall’opacità dei riferimenti e dalle volute omissioni che nascondono le motivazioni reali da cui scaturiscono i versi. È questo il punto che lo allontana dai poeti ermetici: Montale dice di ritenersi nato nel solco di una «corrente di poesia non realistica, non romantica e nemmeno strettamente decadente, che molto all’ingrosso si può dire metafisica», in quanto nata «dal cozzo della ragione con qualcosa che non è ragione». Al riguardo è decisiva, negli anni Trenta e Quaranta, la suggestione esercitata su di lui dall’ . Tanto nelle quanto nella l’appello a una emerge in primo piano. Montale compone un canzoniere in cui l’amore è chiamato a riscattare anche le tragedie della Storia, rappresentate da guerre e dittature. Tale riscatto è però un’ , non sostenuta, come lo è in Dante, da una fede ultraterrena, ma dalla brutalità e dalla stupidità delle vicende umane oltre che dallo scetticismo e dal pessimismo del poeta stesso. fortissima concentrazione semantica allegorismo dantesco Occasioni Bufera figura femminile in grado di annientare le miserie dell’esistenza illusione minacciata Una poesia metafisica  >> pag. 838  Nelle ultime opere Montale esplicita la polemica contro i miti omologanti che plasmano l’immaginario collettivo: «Ho scritto un solo libro, di cui prima ho dato il , ora do il », dichiara nel 1975. In effetti, alle prime tre raccolte, che costituiscono ai suoi occhi il (cioè il diritto della medaglia), seguono nel 1971 e di lì a poco un’ulteriore, cospicua produzione poetica: insieme compongono il , cioè il rovescio. L’autore , ai quali egli guarda perplesso quando non addirittura inorridito. Compaiono nei suoi testi, quali spunti compositivi, episodi minimi di ; la tensione lirica al sublime si spegne, sostituita da un , pervaso di . I versi di Montale si muovono ora tra i rifiuti della società dei consumi, ma nonostante tutto la poesia non perde senso, resta «ancora possibile», come il poeta sosterrà ricevendo il premio Nobel. recto verso recto Satura verso lega il proprio senso di smarrimento ai meccanismi della società di massa cronaca pubblica e privata tono colloquiale e prosastico ironia Il rovescio della medaglia  T1  Un bilancio letterario Intenzioni (Intervista immaginaria) Terminata la Seconda guerra mondiale, Montale è vicino alla soglia dei cinquant’anni e fa il punto sulla propria opera poetica, che consiste in quel momento di due libri ( e ) e di una piccola raccolta, , che sarebbe confluita nel volume . Il poeta immagina dunque un’intervista a sé stesso in cui si giudica con lucidità e disincanto. Il testo viene pubblicato sulla “Rassegna d’Italia” nel gennaio 1946. Ne riportiamo i passi salienti. Ossi di seppia Le occasioni Finisterre La bufera e altro Una di dichiarazione poetica Scrivendo il mio primo libro (un libro che si scrisse da sé) […] ubbidii a un bisogno di espressione musicale. Volevo che la mia parola fosse più aderente di quella degli altri poeti che avevo conosciuto. Più aderente a che? Mi pareva di vivere sotto a una campana di vetro, eppure sentivo di essere vicino a qualcosa di essenziale. Un velo sottile, un filo appena mi separava dal definitivo. L’espressione assoluta sarebbe stata la rottura di quel velo, di quel filo: un’esplosione, la fine dell’inganno del mondo come rappresentazione. Ma questo era un limite irraggiungibile. 1 2 3 5 quid 4 5 . nacque da un’urgenza interiore incontenibile, prima ancora che da un razionale moto della volontà, e fu scritto in maniera impetuosa. non riuscivo a stabilire un contatto con la realtà. dal dato in grado di svelare l’autentica natura della realtà. una parola essenziale sarebbe stata in grado di squarciare il velo e svelare l’inganno che si nasconde dietro le apparenze ( , 1819, è il titolo dell’opera più importante del filosofo tedesco Arthur Schopenhauer). 1 il mio primo libro: Ossi di seppia 2 si scrisse da sé: 3 Mi pareva di vivere sotto a una campana di vetro: 4 dal definitivo: quid 5 L’espressione assoluta sarebbe stata la rottura… rappresentazione: Il mondo come volontà e rappresentazione  >> pag. 839  E la mia volontà di aderenza restava musicale, istintiva, non programmatica. All’eloquenza della nostra vecchia lingua aulica volevo torcere il collo, magari a rischio di una controeloquenza. […] Non pensai [nelle ] a una lirica pura nel senso ch’essa poi ebbe anche da noi, a un giuoco di suggestioni sonore; ma piuttosto a un frutto che dovesse contenere i suoi motivi senza rivelarli, o meglio senza spiattellarli. […] Le erano un’arancia, o meglio un limone a cui mancava uno spicchio: non proprio quello della poesia pura nel senso che ho indicato prima, ma in quello del , della musica profonda e della contemplazione. Ho completato il mio lavoro con le poesie di , che rappresentano la mia esperienza, diciamo così petrarchesca. Ho proiettato la Selvaggia o la Mandetta o la Delia (la chiami come vuole) dei «Mottetti» sullo sfondo di una guerra cosmica e terrestre, senza scopo e senza ragione, e mi sono affidato a lei, donna o nube, angelo o procellaria. 10 6 Occasioni 7 8 Occasioni 9 15 pedale 10 Finisterre 11 12 20 13 Montale riprende l’esortazione di Verlaine a «torcere il collo all’eloquenza», per esprimere l’intento di staccarsi dall’italiano aulico della tradizione poetica, sentito come inadeguato. Per lui occorre liberarsi dalla retorica tradizionale anche a rischio di fondare, per contrasto, una retorica opposta ( ). allude alla poetica dell’Ermetismo, prendendone le distanze. senza esibirli, senza mostrarli in modo troppo evidente. la precisazione serve a sottolineare il sapore aspro delle . in senso musicale. Intende la capacità di mantenere a lungo una nota. in quanto verte su una figura femminile. donne ispiratrici. Selvaggia dei Vergiolesi fu cantata da Cino da Pistoia; Mandetta di Tolosa da Guido Cavalcanti; Delia dal poeta francese cinquecentesco Maurice Scève. è un uccello marino in grado di volare nelle condizioni più difficili. Di qui il nome ( in latino significa tempesta). 6 All’eloquenza… controeloquenza: controeloquenza 7 Non pensai… sonore: 8 senza spiattellarli: 9 un’arancia… limone: Occasioni 10 : pedale 11 esperienza… petrarchesca: 12 la Selvaggia… Delia: 13 procellaria: procella Dentro il testo       I contenuti tematici Nell’ Montale passa in rassegna le intenzioni che guidano la sua ricerca poetica e le accoglienze ricevute dalla sua produzione. Ne emerge la grande capacità del poeta di recepire i più significativi impulsi culturali dei tempi che si trova ad attraversare, rifiutando però di aderire a una corrente o a un movimento. Montale sta per conto proprio, e tiene a sottolineare il dinamismo della sua produzione poetica che non resta inchiodata alla maniera degli esordi – connotata dal desiderio fortemente agonistico di (r. 9) alla vecchia di stampo accademico e dannunziano –, ma evolve senza tradire le iniziali premesse. «In questo senso», scrive in un altro passo dell’ , «è prodigioso l’insegnamento del Foscolo, un poeta che non s’è ripetuto mai». Resta inteso, comunque, che più di un’affermazione andrà presa con le molle: Montale si compiaceva di depistare i critici, suggerendo interpretazioni dubbie e dissimulando influenze decisive. Intervista immaginaria torcere il collo eloquenza Intervista immaginaria Un percorso indipendente Verso le competenze       COMPRENDERE In che cosa consiste il desiderio giovanile di (r. 8) ricordato da Montale? 1 aderenza Che genere di poesia diversa dalla (r. 11) intende fare Montale nelle ? 2 lirica pura Occasioni INTERPRETARE Spiega con parole tue l’espressione (r. 9). 3 torcere il collo