– Psicologia & Letteratura inglese FINESTRE INTERDISCIPLINARI LO STREAM OF CONSCIOUSNESS Nel 1914 lo scrittore irlandese James Joyce  (1882-1941) scrisse , una  Gente di Dublino raccolta di racconti che vede come protagonisti  degli abitanti di Dublino. L’insieme delle  storie segue un percorso tematico che può  essere suddiviso in quattro sezioni, ciascuna  delle quali rappresenta una fase della vita:  dall’infanzia si passa all’adolescenza, poi all’età  adulta e alla vita pubblica. Nella stesura del  testo Joyce ha utilizzato la tecnica narrativa  del flusso di coscienza ( ),  stream of consciousness che consiste nella libera riproduzione in forma  scritta dei pensieri di una persona così come  compaiono nella sua mente, prima di essere  riorganizzati logicamente in frasi. In Gente di  il flusso di coscienza viene realizzato  Dublino attraverso il monologo interiore dei protagonisti  alle prese con i propri conflitti interiori,  le proprie sensazioni e i propri pensieri. Nel brano qui riportato la protagonista è  Eveline, giovane donna irlandese innamorata  di Frank, marinaio straniero che le ha  proposto di sposarlo. Nel testo spicca l’abilità  di Joyce nel riprodurre il flusso dei pensieri  di Eveline, la quale si lascia andare ai ricordi  della propria infanzia e alle fantasie sul futuro,  attraverso un susseguirsi di associazioni di  pensieri che si vengono a formare nella sua  mente. La sua volontà sembra essere quella di  sposarsi, cambiare paese e lasciarsi alle spalle  la sua vita passata, ma l’onda delle emozioni,  che la culla, la annega e la trascina come il  mare, sul finire del racconto la paralizza. Sedeva alla finestra osservando la sera invadere  il viale. Teneva la testa appoggiata alle tende e  nelle narici aveva l’odore della cretonne polverosa. Era stanca. […] Un tempo lì c’era stato un campo dove giocavano  tutte le sere con i figli dell’altra gente. […] Era tanto tempo fa; lei e i suoi fratelli e sorelle  erano tutti cresciuti, sua madre era morta. Tutto cambia. Adesso stava per andare via come  gli altri, per lasciare la sua casa. Casa! Guardò in giro per la stanza, passando in  rivista tutti gli oggetti familiari che aveva spolverato  una volta alla settimana per tanti anni,  domandandosi da dove mai venisse tutta quella  polvere. Forse non avrebbe mai rivisto gli oggetti  familiari dai quali non aveva mai immaginato di  venire separata. […] Aveva acconsentito ad andarsene, a lasciare la  sua casa. Era saggio? Cercò di ponderare ogni aspetto della questione. A casa aveva comunque tetto e cibo; aveva intorno  quelli che aveva conosciuto tutta la vita. Naturalmente doveva lavorare sodo, sia a casa sia  al negozio. Cosa avrebbero detto di lei ai grandi  magazzini scoprendo che era scappata con uno?  Che era una stupida, forse; e avrebbero rioccupato  il suo posto con un’inserzione. La signorina  Gavan sarebbe stata contenta. Ce l’aveva sempre  avuta con lei, soprattutto ogni volta che c’era gente  che ascoltava. Ma nella sua nuova casa, in un lontano paese  ignoto, non sarebbe stato così. Allora sarebbe stata  sposata: lei, Eveline. La gente l’avrebbe trattata  con rispetto. Non come era stata trattata sua madre.  […] Era una bella fatica mandare avanti la  casa e fare in modo che i due bambini che le erano  rimasti affidati andassero a scuola regolarmente e  prendessero regolarmente i pasti. Era un duro lavoro,  una vita dura, ma ora che stava per lasciarla  non la trovava una vita del tutto indesiderabile. Con Frank stava per esplorare un’altra vita. Frank  era molto buono, virile, aperto. Doveva partire  con lui sul battello della notte per diventare sua  moglie e vivere con lui a Buenos Aires, dove aveva  una casa che l’aspettava. Come ricordava bene  la prima volta che l’aveva visto; alloggiava in una  casa sulla strada principale dove lei andava in visita.  Parevano poche settimane fa. Stava in piedi  al cancello, con il berretto a visiera spinto indietro  sulla testa e i capelli che gli ricadevano in avanti  su un viso di bronzo. Poi si erano conosciuti. L’attendeva  tutte le sere fuori dei grandi magazzini  e l’accompagnava a casa. L’aveva portata a vedere  La Zingarella e lei era esultante mentre sedeva  con lui in una parte del teatro insolita. Gli piaceva  terribilmente la musica e cantava un poco.  La gente sapeva che le faceva la corte e, quando  lui cantava della ragazza che ama un marinaio, si  sentiva sempre piacevolmente confusa. La chiamava  Poppens per scherzo. Dapprima avere un  ragazzo l’aveva eccitata e poi aveva cominciato a  trovarlo simpatico. Raccontava di paesi lontani.  Aveva cominciato come mozzo a una sterlina al  mese su una nave della linea Allan che salpava per  il Canada. Le aveva enumerato i nomi delle navi  su cui era stato e i nomi dei diversi servizi. Aveva  attraversato lo stretto di Magellano e le raccontava  storie dei terribili patagoni. A Buenos Aires  era stato fortunato, disse, ed era venuto nella vecchia  patria solo per una vacanza. Naturalmente,  suo padre aveva scoperto la relazione e le aveva  proibito di avere a che fare con lui. «Li conosco questi marinai» aveva detto. Stava in mezzo alla folla ondeggiante nella stazione  al North Wall. Lui le teneva la mano e lei  sapeva che le stava parlando, che ripeteva qualcosa  sulla traversata più e più volte. La stazione era  piena di soldati con bagagli scuri. Attraverso le  ampie porte dei capannoni intravedeva la massa  nera della nave, ormeggiata accanto al muro del  molo, con gli oblò illuminati. Non rispose nulla.  Si sentiva le guance pallide e fredde e, da un  labirinto di angoscia, pregò Dio di guidarla, di  indicarle quale era il suo dovere. La nave mandò  un lungo fischio lugubre nella bruma. Se andava,  domani sarebbe stata sul mare con Frank, diretta  a tutto vapore verso Buenos Aires. I biglietti  per la traversata erano stati presi. Poteva ancora  tirarsi indietro dopo tutto quello che lui aveva  fatto per lei? L’angoscia le fece venire la nausea  mentre continuava a muovere le labbra in silenziosa  fervente preghiera. Una campana le squillò sul cuore. Lo sentì afferrarle  la mano: «Vieni!». Tutti i mari del mondo le si rovesciarono intorno  al cuore. La stava attirando dentro di essi:  l’avrebbe affogata. Si aggrappò con entrambe le  mani alla ringhiera di ferro. «Vieni!» No! No! No! Era impossibile. Le mani strinsero  convulse e frenetiche il ferro. Lanciò in mezzo ai  mari un grido di tormento. «Eveline! Evvy!» Lui si precipitò oltre la barriera e le gridò di  seguirlo. Gli urlarono di andare avanti, ma la  chiamava ancora. Fissò su di lui il viso bianco,  passivo, da animale indifeso. I suoi occhi non gli  dettero nessun segno di amore o di addio o di  riconoscimento. J. Joyce, , Demetra, Milano 2006 Gente di Dublino Blanche Jaques, (1882-1941), olio su tela, The National Portrait Gallery, Londra. Ritratto di James Joyce