PAROLA D’ AUTORE ⇒ T1  Sigmund Freud | La seconda conferenza americana Nel 1909 Freud e Jung furono invitati da Stanley Hall, un famoso psicologo americano,  a presentare per la prima volta le teorie psicoanalitiche negli Stati Uniti.  Freud temeva molto questa presentazione, poiché avrebbe dovuto spiegare la psicoanalisi  a persone che non conoscevano l’argomento e che non erano laureate in  medicina. Il brano riportato è un passo della seconda conferenza, nel quale Freud,  usando una metafora, spiega in modo chiarissimo il funzionamento dell’inconscio. , Bollati Boringhieri, Torino 1989, pp. 143-145 Cinque conferenze sulla psicoanalisi Mi è forse permesso di dimostrarvi il processo  della rimozione e il necessario rapporto di  questa con la resistenza mediante una metafora  grossolana, che voglio desumere proprio  dalla nostra situazione attuale. Supponete  che in questa sala e in questo uditorio, di cui  non so abbastanza lodare l’esemplare silenzio  e attenzione, si trovi però un individuo che  si comporta in modo disturbante e distolga  la mia attenzione dal mio compito ridendo  maleducatamente, chiacchierando e stropicciando  i piedi. Io dichiaro che così non posso  continuare la conferenza, e allora tra voi si alzano  alcuni robusti signori e dopo breve lotta  mettono alla porta il disturbatore della quiete. Egli è dunque rimosso e io posso continuare la  mia conferenza. Ma, perché il disturbo non si  ripeta quando l’espulso tenti di penetrare nuovamente  nella sala, i signori che hanno eseguito  la mia volontà accostano le loro sedie alla  porta disponendosi in tal modo come resistenza  una volta avvenuta la rimozione. Se ora traducete  queste località in termini psichici come  conscio e inconscio, vi trovate di fronte ad una  riproduzione abbastanza fedele del processo di  rimozione. […] Se ci pensate bene però, con l’allontanamento  del disturbatore e con il disporsi dei custodi  davanti alla porta la faccenda non è necessariamente  finita. Può darsi benissimo che l’individuo  messo alla porta, ormai esasperato e privo  di ogni riguardo, ci dia ancor del filo da torcere.  Per la verità non è più fra noi, ci siamo liberati  della sua presenza, del suo riso beffardo,  delle sue osservazioni a mezza voce, eppure in  un certo senso, l’allontanamento non ha avuto  successo, perché ora, all’esterno, egli fa un baccano  insopportabile e le sue grida e il suo picchiare  alla porta con i pugni ostacolano la mia  conferenza più di quanto la ostacolasse prima  il suo comportamento maleducato. In queste  circostanze saremmo ben lieti se il nostro stimatissimo  presidente dottor Stanley Hall si  assumesse la parte dell’intermediario e del paciere.  Egli parlerebbe con il tipo recalcitrante  là fuori e si rivolgerebbe poi a noi invitandoci  a farlo rientrare, rendendosi egli stesso garante  che quell’individuo d’ora in avanti si comporterà  meglio. Grazie all’autorità del dottor Hall,  ci decidiamo a sospendere la rimozione e ora  subentrano nuovamente silenzio e pace. Questa  non è affatto una descrizione inadeguata  del compito che spetta al medico nella terapia  psicoanalitica delle nevrosi. Rispondi Quale metafora utilizza Freud per spiegare l’inconscio? 1. Perché l’allontanamento non risolve la situazione? 2. Che ruolo ha il dottor Stanley Hall? 3.  >> pagina 336 ⇒ T2  Sigmund Freud | Perché la guerra? Riportiamo un brano della lettera con cui nel settembre del 1932, Freud risponde a  Einstein in merito alla questione dell’inevitabilità della guerra. Einstein e Freud si  erano incontrati una sola volta, qualche anno prima a casa di Ernst, il figlio minore  di Freud. Secondo quanto scritto da Freud al collega Ferenczi, Einstein «capisce  di psicologia quanto io mi intendo di fisica, per cui la nostra conversazione è stata  molto piacevole». Nel 1931 il “Comitato permanente delle lettere e delle arti” della  Società delle Nazioni promosse il carteggio sulla guerra dei due grandi scienziati. (1932), Bollati Boringhieri, Torino 1975, pp. 82-85 Perché la guerra? (carteggio con Einstein) e altri scritti Per gli scopi immediati che ci siamo proposti  […] ricaviamo la conclusione che non c’è speranza  di poter sopprimere le tendenze aggressive  degli uomini. Si dice che in contrade felici,  dove la natura offre a profusione tutto ciò di  cui l’uomo ha bisogno, ci sono popoli la cui  vita trascorre nella mitezza, presso cui la coercizione  e l’aggressione sono sconosciute. Posso  a malapena crederci; mi piacerebbe saperne di  più su questi popoli felici. Anche i bolscevichi  sperano di far scomparire l’aggressività umana,  garantendo il soddisfacimento dei bisogni  materiali e stabilendo l’uguaglianza sotto tutti  gli altri aspetti tra i membri della comunità.  Io la ritengo un’illusione. Intanto essi si sono  diligentemente armati, e, fra i modi con cui  tengono uniti i loro seguaci, non ultimo è il  ricorso all’odio contro tutti gli stranieri. D’altronde  non si tratta, come Lei stesso osserva,  di abolire completamente l’aggressività umana;  si può cercare di deviarla al punto che non  debba trovare espressione nella guerra. Partendo dalla nostra dottrina mitologica delle  pulsioni, giungiamo facilmente a una formula  per definire le vie indirette di lotta alla guerra.  Se la propensione alla guerra è un prodotto  della pulsione distruttiva, contro di essa è ovvio  ricorrere all’antagonista di questa pulsione:  l’Eros. Tutto ciò che fa sorgere legami emotivi  tra gli uomini deve agire contro la guerra. Questi  legami possono essere di due tipi. In primo  luogo relazioni che pur essendo prive di meta  sessuale assomiglino a quelle che si hanno con  un oggetto d’amore. […] L’altro tipo di legame  emotivo è quello per identificazione. Tutto  ciò che provoca solidarietà significative tra gli  uomini risveglia sentimenti comuni di questo  genere, le identificazioni. Su di esse riposa in  buona parte l’assetto della società umana. […] La condizione ideale sarebbe naturalmente una  comunità che avesse assoggettato la vita pulsionale  alla dittatura della ragione. Nient’altro  potrebbe produrre un’unione tra gli uomini  così perfetta e così tenace, perfino in assenza  di reciproci legami affettivi. Ma secondo ogni  probabilità questa è una speranza utopistica.  Le altre vie per impedire indirettamente una  guerra sono certo più praticabili ma non promettono  alcun successo. È triste pensare a mulini  che macinano talmente adagio che la gente  muore di fame prima di ricevere la farina. Rispondi Quale opinione ha Freud del comunismo? 1. Perché Freud scrive che è impossibile una «dittatura  2. della ragione»? Rispondi tenendo presente  quello che hai studiato in questa unità.