1. Professionisti della sapienza nell’Atene del V secolo a.C. 1.1 LA RICERCA SULLA SOGGETTIVITÀ UMANA Il V secolo a.C. è un periodo di per la storia del pensiero greco: l’indagine sul cosmo e la ricerca di un principio fisico o intellettuale capace di spiegare la realtà lasciano spazio a una , che diventa prioritaria per studiosi, artisti e filosofi. grandi trasformazioni riflessione sull’essere umano e sulla vita collettiva La fioritura del , con le tragedie di Eschilo, Sofocle ed Euripide e con la commedia di Aristofane, la nascita della , la figura di  e la si collocano proprio nel V secolo a.C., in particolare ad , che dopo le vittorie sui persiani e sotto il governo democratico di Pericle (461-429 a.C.) conquista il primato politico sulle altre e diventa il centro culturale più attivo della Grecia. I sofisti, non ateniesi di nascita e “maestri itineranti” da una città all’altra, scelgono proprio Atene come luogo privilegiato del loro insegnamento e della loro professione. teatro storiografia Socrate sofistica Atene póleis Nel 478-477 a.C. sorse la Lega delio-attica, una confederazione di città greche in funzione antipersiana, sotto la leadership di Atene. Durante l’età di Pericle la Lega divenne strumento dell’egemonia politico-economica ateniese. 1.2 LA SOFISTICA E L’INSEGNAMENTO COME PROFESSIONE Sofistica è il termine usato per designare la corrente di pensiero sorta nel V secolo a.C. per opera di pensatori detti sofisti. La parola non indica una scuola, come è stata per esempio quella pitagorica, caratterizzata da interessi e ricerche comuni. Il termine “sofista”, il cui senso generico è “sapiente”, designa una qualifica di tipo e si riferisce a una particolare competenza di o . I sofisti, attivi nella seconda metà del  professionale natura tecnica intellettuale V secolo a.C., si definivano infatti i : capaci di  professionisti della sapienza esercitarla, ma soprattutto di insegnarla. L’insegnamento fu infatti la professione  a cui più si dedicarono. Non erano propriamente filosofi, né scienziati e  neppure pensatori alla ricerca della verità. Piuttosto si occupavano dell’educazione  degli uomini e della loro formazione politica soprattutto attraverso  l’ , ovvero l’arte della persuasione. Con i sofisti  insegnamento della retorica l’ , la virtù spirituale e morale per eccellenza, prima solo ereditabile, diventa  areté . insegnabile Anche se la sofistica, come si è già detto, non fu una scuola, è possibile rintracciare  nel pensiero e nell’attività dei sofisti una serie di elementi comuni,  quali: l’ ; attenzione per l’uomo come soggetto individuale e sociale il , ossia l’idea che non esista una verità assoluta e che la verità  relativismo è sempre soggettiva; l’ , secondo cui il sapere deve avere un risvolto ; utilitarismo ▶  pragmatico la predilezione per il , che parte dall’esperienza per arrivare  metodo induttivo alla formulazione di idee generali; la , cioè l’arte di far prevalere con argomentazioni serrate una tesi  dialettica a prescindere dalla verità del suo contenuto; la , cioè l’insieme delle tecniche relative all’arte del discorso  retorica . | APPROFONDIAMO | ▶  Delle opere dei sofisti conosciamo solo alcuni frammenti, e scarse sono  anche le notizie dei dossografi, gli scrittori che raccolsero le dottrine ( )  dóxai dei pensatori greci antichi. I sofisti fecero dell’insegnamento una , un . Il loro era,  professione mestiere come scrive lo storico francese Henri I. Marrou (1904-1977), un «precettorato  collettivo»: essi riunivano «attorno a sé i giovani che venivano loro  affidati e di cui assumevano la formazione completa per tre o quattro anni». Questa formazione veniva impartita dietro . compenso Dunque, le grandi novità che contraddistinguono l’insegnamento dei sofisti  da quello dei sapienti che li precedono sono: la a cui si rivolgono (il loro insegnamento  cerchia circoscritta di allievi non è indirizzato alla generica collettività); il per apprendere  pagamento di alte cifre in denaro da parte degli alunni un sapere la cui efficacia è pratica, sociale e politica. La clientela non era assicurata: i sofisti si spostavano di città in città, accompagnati dagli alunni che a mano a mano trovavano. Per strada, nelle piazze o nei santuari bisognava e, per farlo, usavano diverse strategie: domande e risposte brevi (brachilogia) o lunghi discorsi (macrologia). Questi ultimi potevano essere e quindi estemporanee, oppure discorsi accuratamente preparati e scientificamente rilevanti. persuadere il pubblico improvvisazioni brillanti I lunghi discorsi oratori dei sofisti hanno dato vita a un nuovo genere letterario:  la . Le conferenze, che venivano retribuite, potevano essere  conferenza di propaganda, e quindi aperte a tutti, oppure trattare temi tecnici e specifici  per un pubblico selezionato. I sofisti insegnavano l’ , e lo fecero prevalentemente ad  arte della politica , che con Pericle visse la sua , il periodo di massimo splendore  Atene età d’oro culturale ed economico. È questa l’epoca in cui l’economia della città,  prima legata all’agricoltura e al possesso della terra, fa un grosso balzo in  avanti grazie allo sviluppo delle ; le arti e  attività artigianali e commerciali la cultura raggiungono vette senza precedenti (si pensi alla costruzione del  Partenone, tempio consacrato alla dea Atena); le riforme democratiche di  Pericle, inoltre, pongono le condizioni per la partecipazione dei ceti sociali  meno abbienti alla vita politica. In questo clima di dinamismo sociale, agonismo politico e intensa fioritura  economica, culturale e artistica, i sofisti educavano gli uomini a diventare  buoni cittadini, ad amministrare gli affari dello Stato e a esercitare il potere in  modo efficace. Lo facevano insegnando ai loro allievi a padroneggiare la retorica,  l’arte della persuasione, l’uso strategico della parola, mediante il quale ogni  cittadino poteva arrivare a occupare un ruolo in seno alla propria comunità. L’atteggiamento critico e dubbioso dei sofisti in merito al valore indiscusso  della cultura tradizionale e dei fenomeni sociali, quali la religione e il mito,  le leggi e il progresso, fa di loro delle . Tuttavia,  figure dinamiche e innovatrici poiché il fondamento del loro insegnamento e del loro pensiero è l’arte  della persuasione e dell’argomentare le proprie opinioni, essi veicolano una  e una certa :  concezione relativistica dei valori indifferenza rispetto ai contenuti non trasmettono quindi una teoria, ma un per  insieme di tecniche affermarsi nella società. Per questo furono fortemente criticati soprattutto da  Aristofane, Platone e Aristotele, i quali vedevano in loro i rappresentanti di  un e della . vuoto individualismo privatizzazione del sapere I due più eloquenti esempi di questa nuova pedagogia fondata sull’arte della  parola ci vengono dai padri fondatori della sofistica: e . Protagora Gorgia Video – I sofisti: paìdeia e retorica :  pragmatico pratico, concreto  (dal greco  prágma, “cosa”,  “fatto”).   CHE COS’È LA RETORICA approfondiamo Il vocabolo “retorica” «viene dal radicale greco  , che indica l’atto del dire, del discorrere, in  rhe modo pregnante e nello stesso tempo largo (come  è nella natura stessa del discorrere). Poiché essa  interviene su problemi di “tutti”, deve far ricorso  allo strumento più diffuso di cui disponga l’umanità,  e questo è appunto l’uso della parola, anzi della  sequenza di parole che fa capo alla frase». La retorica  comprende cinque parti: l’invenzione, la disposizione,  l’elocuzione, la mnemotecnica e l’azione. L’invenzione «corrisponde alla ricerca dei luoghi,  ovvero appunto degli argomenti con l’aiuto dei  quali si può sperare di ottenere il consenso intellettuale  delle menti […]. Gli argomenti, una volta  trovati, debbono essere disposti convenientemente,  secondo una strategia ben calcolata del discorso;  si può decidere di partire da argomenti minori e  di poco conto, marginali, periferici, per innescare  una marcia ascendente e giungere infine agli argomenti  di maggior peso; o, invece, si può optare per  uno schema discendente». L’elocuzione è l’«ampio  ricorso alle risorse dell’espressione verbale», mentre  la mnemotecnica è, «alla lettera, il ricorso alla  memoria dell’oratore, il quale conduceva la sua  performance, dire oggi, in presa diretta,  potremmo senza potersi concedere pause di riflessione, momenti  di interruzione, di sospensione: o se avesse  osato prendersi tali pause, esse potevano essergli  rivoltate contro, venendo interpretate come esitazioni,  dubbi, difficoltà di ragionamento, con un  effetto rovinoso sulla propria audience. Da qui la  necessità che il buon oratore, prima di prendere la  parola, si ponesse in capo l’ordine di successione  dei vari argomenti cui desiderava fare ricorso, in  modo da evocarli a tempo e luogo opportuni, senza  dimenticanze e salti». Tuttavia, il buon oratore  deve anche «“agire” la sua orazione, presentarla  con l’accompagnamento del corpo, l’abile regia di  effetti sonori, con parole pronunciate talora smorzando  i toni, talaltra alzandoli fino a punte di massima  intensità». R. Barilli, , Mondadori, Milano, 1983 La Retorica  >> pagina 434 per immagini Le colonne del sapere Questo murale è stato realizzato dall’artista  bolognese BLU ad Atene nel 2011, mentre  il paese stava attraversando una crisi  economica che ha messo in discussione la  sua appartenenza all’Unione Europea. L’opera  d’arte, infatti, ritrae un tempio della  Grecia antica i cui pilastri sono colonne di  monete da 1 euro che stanno per crollare.  Questa immagine suggerisce, provocatoriamente,  ciò che oggi fa da sostegno a uno  dei simboli principali della cultura greca  antica, ampiamente riconosciuta come  fondamento della democrazia europea: il valore della valuta europea. Ma i soldi possono essere i  pilastri della cultura di un popolo? Che ruolo può giocare l’economia nella trasmissione del sapere  e dei valori? I sofisti, che sono stati i primi a richiedere una retribuzione per il loro insegnamento,  hanno a loro tempo suscitato un acceso dibattito sull’offerta a pagamento della formazione e sulle  conseguenze della mercificazione dell’educazione.  >> pagina 435 Protagora e l’umanesimo relativistico Protagora nacque tra il 484 e il 481 a.C.  ad Abdera, colonia greca sulla costa meridionale della Tracia, nell’Egeo settentrionale.  La sua professione di sofista lo portò a viaggiare molto: soggiornò  a lungo in Sicilia e ad Atene. Durante il governo oligarchico dei Quattrocento  che prese il potere ad Atene nel 411 a.C., fu accusato di empietà: i  suoi libri vennero bruciati ed egli si sottrasse alla condanna a morte fuggendo  per mare. Delle sue opere rimangono pochissimi e brevi frammenti, ma  della sua dottrina ha trattato in alcuni suoi dialoghi Platone, che riconobbe  in Protagora un pensatore profondo. Due frammenti concisi e lapidari sintetizzano il suo pensiero. Il primo, contenuto  nel libro e riportato da Platone nel , afferma:  La verità o i discorsi demolitori Teeteto « : di quelle che sono per ciò che sono, di  Di tutte le cose è misura l’uomo quelle che non sono per ciò che non sono». Questa frase fonda e sancisce quello  che viene chiamato “ ”. Secondo Protagora, infatti, non  umanesimo relativistico esiste un principio esterno, assoluto, autonomo cui fare riferimento; è l’uomo,  attraverso il suo punto di vista, sempre soggettivo, a essere criterio e misura di ciò  che accade. L’uomo ricava ciò che sa da ciò che esperisce, e poiché le esperienze  umane sono sempre relative, in quanto dipendono da un particolare punto di  vista, ne consegue che . tutto il sapere dell’uomo è relativo Questo significa anche che su ogni cosa ci possono essere opinioni contrastanti.  L’insegnamento di Protagora, infatti, si basava sull’ (discorso  antilogia contraddittorio, dal greco , “contro”, e , “discorso”), tant’è che  antí lógos è il titolo della sua opera più importante, andata completamente  Antilogie perduta. Secondo Protagora, dunque, su ogni questione si può sostenere  sempre il pro e il contro, e l’abilità oratoria consiste nell’ avere ragione in  , nel rendere più forte, vero e buono il discorso più debole. ogni circostanza Non esistendo un criterio assoluto di verità, la scelta del singolo e dell’intera  comunità, secondo Protagora, va orientata verso ciò che è utile per se stessi  cui si appartiene. Infatti: e per la collettività A chi è malato i cibi sembrano e sono amari, a chi sta bene, al contrario, sono e sembrano gradevoli. Se non che non è lecito inferire da ciò che di questi due l’uno è più sapiente dell’altro – che non è possibile – e nemmeno si deve dire che l’ammalato, perché ha tale opinione è ignorante, ed è sapiente il sano perché ha opinione contraria; bensì bisogna mutare uno stato nell’altro, perché lo stato di sanità è migliore. E così, anche nell’educazione, bisogna tramutar l’uomo da un abito peggiore a un abito migliore. Ora, per codesti mutamenti, il sofista adopera discorsi come il medico farmaci: ma nessuno mai indusse chicchessia che avesse opinioni false ad avere opinioni vere; né di fatti è possibile che uno pensi cose che per lui non esistono, o cose estranee a quelle di cui abbia in quel momento una data impressione, ché queste soltanto per lui sono vere ogni volta.  Platone, , 166e-167e, trad. it. di M. Valgimigli, introd. e note di A. M. Ioppolo, Editori Laterza, Roma-Bari, 1999, pp. 71-73 Teeteto Il compito dell’educatore, dunque, consiste nell’insegnare la ,  virtù dell’accortezza intesa come capacità di scegliere ciò che serve, per se stessi e soprattutto  per la città – la dimensione politica, infatti, secondo Protagora è  fondamentale per le comunità umane –, e di saper distinguere l’utile dal dannoso. Un altro frammento che va nella direzione del relativismo, in senso però  ▶  , dice: «Sugli dèi io non posso sapere né che esistono, né che non  agnostico esistono, né quale sia la loro forma: molte sono le cose che lo impediscono,  la loro invisibilità e il fatto che sia breve la vita dell’uomo». Anche rispetto  alle divinità, quindi, il parametro di conoscenza di cui l’uomo deve avvalersi  è la propria esperienza. Video – I sofisti: Protagora : proprio di chi, in merito a un certo argomento, si astiene dal prendere posizione. Dal greco , “ignoto”. agnostico ágnostos ⇒ |  T1   Intorno allo stato primitivo p. 472  >> pagina 436 per immagini Perché le guerre di religione? I numerosi murales della città di Belfast raccontano i ,  troubles cioè le violenze e gli attentati che tra gli anni Sessanta  e gli anni Novanta del secolo scorso hanno insanguinato con  migliaia di morti l’Irlanda del Nord a causa del conflitto religioso  tra gli unionisti, per lo più protestanti, che volevano  la permanenza dell’Irlanda del Nord nel Regno Unito, e i separatisti  repubblicani, di religione cattolica, che chiedevano  invece la riunificazione politica dell’Irlanda. Solo nell’aprile  1998 si pose fine al conflitto con la firma dell’accordo del  Venerdì Santo e due successivi referendum che decisero la  permanenza nel Regno Unito dell’Irlanda del Nord. Negli  ultimi anni il messaggio sui muri è cambiato. I giovani writer  vogliono mandare messaggi positivi, di unione e pace. Emblematico è in questo senso il murale  . L’immagine rappresenta un ragazzo irlandese, rivolto ai passanti, che tiene  Il figlio di Protagora in mano una colomba trafitta da due frecce: su una, la croce dei Cavalieri di Malta, ripresa come  simbolo dal protestantesimo, sull’altra la croce latina di tradizione cattolico-cristiana. Il titolo fa  riferimento al filosofo greco Protagora, noto per il suo agnosticismo religioso. Il messaggio del murale  rappresenta dunque una provocazione per ribadire l’inutilità delle contrapposizioni religiose,  che non hanno ragione di sussistere e sono lesive della convivenza tra le persone e della pace. , murale realizzato a Belfast, nel Nord dell’irlanda, dallo street artist francese MTO all’interno del cortile chiamato Memoriale della guerra dell’Irlanda del Nord. Il figlio di Protagora  >> pagina 437 CITTADINI RESPONSABILI La libertà di espressione L’articolo 21 della Costituzione italiana tutela la libertà di stampa e di espressione, affermando che «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure». Questo articolo è spesso travisato da coloro che, in nome di tale garanzia di libertà, dichiarano di avere il diritto di diffondere messaggi che istigano all’odio razziale, alla violenza contro le donne, gli omosessuali e le persone trans. Per esempio, un caso è rappresentato dalle “Sentinelle in Piedi”, un gruppo di persone nato nel 2013 per difendere la libertà di espressione minacciata, a loro avviso, dal disegno di legge Scalfarotto, che si proponeva di contrastare la violenza discriminatoria motivata da odio contro le persone omosessuali o di diversa appartenenza etnico-culturale, nazionale e religiosa. “Le Sentinelle in Piedi” non volevano, in realtà, difendere la libertà di espressione, bensì limitarla a chi aveva un pensiero diverso dal loro. Lavoriamo INSIEME   Secondo te, la Costituzione può tutelare l’espressione  di sentimenti contrari alla giustizia e che inneggiano  all’odio? Dividetevi in due gruppi e discutetene  insieme. Gorgia: maestro di retorica Gorgia nacque in Sicilia, a Lentini (Siracusa),  intorno al 483 a.C. Giunse ad Atene nel 427, dove riscosse un grande consenso  con la sua arte oratoria e come insegnante di retorica. Scrisse diverse  opere di vario genere, tra cui: un trattato filosofico dal titolo Sul non essere o  , il cui contenuto ci è noto sotto forma di compendio; un’orazione  sulla natura funebre in lode dei cittadini ateniesi caduti nella guerra del Peloponneso;  un manuale intitolato Téchne (“Arte retorica”), dove era forse esposta la sua  teoria sulla retorica. Le uniche opere a essersi conservate sono le due orazioni  fittizie intitolate , in cui Gorgia  Encomio di Elena e Difesa di Palamede dimostra con solide argomentazioni logiche l’innocenza dei due eroi: l’una  ritenuta responsabile della guerra di Troia, l’altro accusato di aver tradito gli  ▶  in cambio di denaro. achei Nell’opera , Gorgia dimostra tre tesi: Sul non essere . Non esistono né l’essere né il non essere: ,  nulla esiste il non essere non c’è perché se ci fosse sarebbe essere e non essere insieme, e questa è una contraddizione  in termini; , perché se ci fosse sarebbe o eterno  l’essere non c’è o generato, o entrambe le cose insieme. Tuttavia, se fosse eterno sarebbe  infinito, quindi non sarebbe in nessun luogo e non esisterebbe affatto; se  invece fosse generato, dovrebbe essere nato o dall’essere o dal non essere,  il che non è possibile. Infatti dal non essere non nasce nulla, e se l’essere  è nato dall’essere, significa che c’era prima e quindi non è stato generato; . «Le  vero che ciò che esiste non è pensato e che perciò l’essere, se c’è, è inconoscibile se anche qualcosa esistesse, non sarebbe conoscibile dall’uomo cose pensate – spiega il filosofo Nicola Abbagnano – non esistono: altrimenti  esisterebbero tutte le cose inverosimili e assurde che all’uomo piace  pensare. Ma se è vero che ciò che è pensato non esiste, allora sarà anche  ». . Noi ci esprimiamo con la parola, ma la parola non è l’essere, dunque con le  se anche qualcosa fosse conoscibile, non sarebbe comunicabile agli altri parole non possiamo comunicare l’essere. Ne consegue , secondo Gorgia, l’impossibilità di fondare una verità e  , perché la parola non può comunicare la verità,  un’ etica unica e assoluta ▶  può solamente esprimere suggestioni e sentimenti al fine di persuadere in  ogni circostanza. Nel pensiero del filosofo la parola ha il potere di suscitare emozioni e passioni,  «è un potente sovrano, ha la virtù di troncare la paura, di rimuovere il  dolore, d’infondere gioia, d’intensificare la compassione», agendo come una  sorta di che crea dipendenza e incanta. Affinché la parola possa  farmaco esplicare questo suo enorme potere, tuttavia, è necessario che la forma e lo  . Grande maestro di stile, Gorgia infuse alla sua prosa un  stile siano accurati forte colorito poetico, ponendo particolare attenzione al ritmo e alla musicalità  delle frasi e delle parole e facendo ampio uso di rime e figure retoriche  di vario genere. Egli impartiva il suo insegnamento somministrando agli allievi esercizi di  vario tipo, quali: imitazione di orazioni da lui composte e attività di composizione  virtuosistica su soggetti immaginari. In questo modo gli studenti  si addestravano nella pratica oratoria. Importante era anche l’aspetto della  retorica dedicato all’ . improvvisazione :  achei così  sono chiamati i  greci nei poemi  omerici. : (dal  etica greco ,  éthos “abitudine”,  “uso”, “indole”),  è l’insieme delle  norme e dei  comportamenti  morali che  orientano le  azioni di un  individuo o di  un gruppo di  individui ed è  anche quella  parte della  filosofia che  si occupa del  problema morale.  >> pagina 438 – Psicologia & Teatro FINESTRE INTERDISCIPLINARI IL TEATRO COME MEZZO DI RIFLESSIONE PEDAGOGICA: I DUE DISCORSI La commedia del V secolo a.C. fu un fenomeno artistico di carattere politico: attraverso la satira, infatti, venivano posti all’attenzione del pubblico situazioni e personaggi di attualità e aspetti della vita civile. In questo passo delle del commediografo Aristofane viene messa in scena la contesa tra il Discorso Giusto e il Discorso Ingiusto. Il primo rappresenta un modello educativo chiuso, tradizionalista, conformista; l’altro riproduce un amorale individualismo dove vince solo chi riesce, senza scrupolo, a prevalere sugli altri. Nuvole DISCORSO GIUSTO Vieni qui, presentati agli  spettatori: la faccia tosta, ce l’hai. DISCORSO INGIUSTO Va’ dove ti pare: più gente  ci sarà e più facilmente ti rovinerò, parlando. DISCORSO GIUSTO Tu, rovinarmi! E chi sei? DISCORSO INGIUSTO Il discorso. DISCORSO GIUSTO Quello debole. DISCORSO INGIUSTO Ma vinco te, che pur affermi  esser più forte di me. DISCORSO GIUSTO Con quali arti? DISCORSO INGIUSTO Inventando nuove sentenze. DISCORSO GIUSTO Già, questa roba che fiorisce  adesso ( indicando il pubblico ) per via di questi  sciocchi. DISCORSO INGIUSTO Saggi, non sciocchi. DISCORSO GIUSTO Io ti concerò molto male. DISCORSO INGIUSTO E che farai, dimmi? DISCORSO GIUSTO Dirò il giusto. DISCORSO INGIUSTO E io ribatterò e ti sconvolgerò  ogni cosa: affermo, infatti, che la giustizia  non esiste affatto. DISCORSO GIUSTO Affermi che non esiste? DISCORSO INGIUSTO E su, allora: dove si trova? DISCORSO GIUSTO Presso gli dèi. DISCORSO INGIUSTO E allora, se esiste giustizia, come mai Zeus non l’ha pagata, lui che ha messo in catene suo padre . 1 DISCORSO GIUSTO Ahi, già mi sento male: datemi  un catino! DISCORSO INGIUSTO Un vecchio pazzo sei, e  squilibrato! […] DISCORSO GIUSTO Per causa tua, nessun ragazzo  vorrà andare a scuola. E gli Ateniesi si accorgeranno,  un giorno, che cosa vai insegnando  a questi sciocchi. DISCORSO INGIUSTO Sei ridotto da far pietà. CORO Basta con le risse e gli insulti. Ma tu, fa’  vedere ( ) che cosa insegnavi  a Discorso Giusto a quelli di una volta; e tu ( )  a Discorso Ingiusto poi, questa nuova educazione: udito il vostro  contraddittorio, egli scelga da chi andare a  scuola . 2 DISCORSO GIUSTO Facciamo così. DISCORSO INGIUSTO Facciamolo. […] DISCORSO GIUSTO Vi dirò dunque l’antica educazione com’era, quando io fiorivo dicendo il giusto e la modestia era tenuta in conto. In primo luogo, un ragazzo non doveva sentirsi nemmeno a bisbigliare una parola: poi, dovevano sfilare per le vie in ordine, verso la casa del maestro, tutti quelli di un quartiere insieme, nudi anche se nevicava come farina da uno straccio. Poi ancora, il maestro  cominciava con l’insegnar loro un canto, che  essi imparavano senza accavallar le cosce […]  mantenendo l’accordo tramandato dai padri . 3 […] A scuola di ginnastica, poi, dovevano sedere  con le gambe allungate, in modo da non  mostrar nulla d’indecente a quelli fuori; […] DISCORSO INGIUSTO Roba vecchia […] Da  tempo mi sentivo strozzare fin nelle viscere  e ardevo dalla voglia di mandar per aria tutta  codesta roba con opposti argomenti. […] Ma considera, o giovinetto, quante cose  comporta la temperanza e di quanti piaceri  dovresti privarti: fanciulli, donne, cottabo ,  4 ghiottonerie, bevute, risate. E ti par che valga  la pena di vivere, senza queste cose? D’accordo.  E vengo ora ai bisogni di natura. Tu hai  fatto qualche sciocchezza, ti sei innamorato,  hai cornificato qualcuno e sei stato sorpreso:  sei perduto, perché non sei capace di parlare. Ma se te la fai con me, approfitta pure della  natura, salta, ridi, non aver nulla per turpe. E se ti sorprendono in adulterio, rispondi al  marito che non hai fatto niente di male, e poi  danne la colpa a Zeus: anche lui è debole di  fronte all’amore e alle donne. E tu, mortale,  come saresti più forte di un dio? Aristofane, , 889-1082, in , trad. di R. Cantarella, Istituto editoriale italiano, Milano, 1949, pp. 148-152 Nuvole Commedie Il mito racconta che Crono, il più giovane dei Titani, sapendo che un erede l’avrebbe spodestato, ingoiava i suoi figli generati dall’unione con Rea. Quest’ultima, prima di partorire Zeus, si rifugiò a Creta per salvarlo dal padre. Fu proprio Zeus in seguito a costringere Crono a vomitare tutti i suoi fratelli, imponendo il proprio dominio sul mondo e ingaggiando una lotta contro i Titani, che furono sconfitti, relegati e incatenati nel Tartaro, regione ai confini della terra dove abitano i figli della notte.  1. Lo spettatore, ascoltati entrambi (Discorso Giusto e Discorso Ingiusto) e le rispettive proposte di educazione, sceglierà da chi imparare.  2. Si fa riferimento all’antica educazione di genealogia paterna incentrata sulla pudicizia, l’ordine e il decoro.  3. Il cottabo è un gioco molto praticato in Grecia, durante i banchetti, dalla gioventù ateniese. Il fine del gioco era cercare di colpire un bersaglio con le gocce di vino rimaste sul fondo della tazza. 4. Rappresentazione degli Uccelli di Aristofane presso il teatro greco di Siracusa, dove ogni anno vengono messe in scena tragedie e commedie dell’antica Grecia. per immagini La memoria della città Nel 2017 a Lentini, in Sicilia, è nato  un progetto per riqualificare il quartiere  Badia. L’idea di rigenerazione  urbana che l’iniziativa sottende è  quella di creare un percorso “di cultura  a cielo aperto”. Attraverso l’arte  e in particolar modo la street art, si  desidera far rivivere la memoria della  città, ritraendo anche le persone che  ne hanno fatto la storia. Per l’edizione 2018 sono stati invitati  quattro artisti, tra cui Marta Lorenzon.  L’illustratrice di Pordenone ha  ritratto Gorgia, il filosofo nativo di  Lentini, con capelli grigio-azzurri,  una folta barba e uno sguardo fiero. Marta Lorenzon, Gorgia da Lentini, murale, 2018, Lentini.  >> pagina 441 1.3 ASPASIA DI MILETO: LA STRANIERA INTELLETTUALE «Non esiste  nessuna donna greca che non sia diventata famosa se non attraverso gli  uomini, o per lo meno, attraverso un uomo» scrive Nicole Loraux (1943- 2003), storica e antropologa del mondo antico. Aspasia, infatti, è la donna  più conosciuta e famosa dell’ perché fu maestra di Socrate e compagna  ▶  età classica di Pericle. Aspasia non era originaria di Atene, veniva dalla Grecia asiatica, da Mileto, la culla della sapienza filosofica. «La compagna di Pericle era ad Atene una straniera e tale restò fino alla morte […] e forse fu proprio questo statuto di  (straniera), che le impediva di essere la moglie legittima dell’uomo  meteca con cui viveva (Pericle), a dare alla milesia la libertà di essere un’   intellettuale e quel prestigio, un po’ soffocante ma eccezionale, che nell’Atene classica era  collegato al suo nome», scrive Loraux. Aspasia si trasferì ad Atene poco dopo il 450. Come racconta lo scrittore  greco Plutarco nella , lo statista ateniese si innamorò di lei  Vita di Pericle perché « » e . Non  era sapiente e versata nella politica maestra di retorica divenne mai sua moglie, perché Pericle stesso aveva da poco emanato una  legge che escludeva dalla cittadinanza i nati da matrimoni con uno straniero.  Rimase la sua compagna, la sua consigliera privilegiata, la sua maestra. La loro relazione si fondava su una grande affinità intellettuale e Aspasia  fu l’autrice di numerosi discorsi tenuti da Pericle. Per lei questi ripudiò la  moglie e, prosegue Plutarco, «presala a casa, e avuto da lei un altro figlio, le  dimostrava talmente tanto amore da abbracciarla e baciarla tutte le volte che  usciva e rientrava dall’agorà». Questa relazione fu così importante per Pericle  che egli, rimasto senza eredi poiché i figli legittimi erano morti, modificò  la legge sulla cittadinanza per consentire al figlio avuto con Aspasia di essere  iscritto nella lista dei cittadini. Aspasia frequentò politici importanti e intellettuali di spicco, tra cui il filosofo  Socrate. La tradizione antica fa di lei un’ , ma  etèra | ▶  APPROFONDIAMO | illustri cittadini ateniesi si recavano ad ascoltarla con le loro mogli perché, a  quanto pare, le educava alla convivenza e al sodalizio domestico. Pare che Socrate ebbe come maestra Aspasia sia nell’arte retorica sia nelle  questioni filosofiche riguardanti l’amore. I due, infatti, condividevano una  visione paritaria della relazione tra i sessi e «una visione dell’insegnamento  nel quale l’amore è strumento primario di trasmissione di sapere» (V. Andò,  grecista). :  età classica periodo della  storia greca  antica che va dal  V secolo a.C. al  323 a.C., anno  della morte  di Alessandro  Magno. Esso  coincide con la  fase di massimo  splendore della  civiltà greca. per immagini La maestra di Socrate Nell’Atene del V secolo a.C., dove  l’azione della donna è confinata  all’ambito domestico e il silenzio è  considerato una delle maggiori virtù  femminili, la figura di Aspasia rappresenta  un caso del tutto eccezionale. A casa di Aspasia, eccellente maestra  di oratoria originaria di Mileto,  si riunivano per dibattere con lei filosofi,  artisti, politici, poeti. In questo  dipinto l’anziano filosofo Socrate e il  giovane Alcibiade, politico e generale  ateniese, ascoltano ammirati le sue  parole. Pare che il primo abbia avuto  Aspasia come sua maestra nell’arte  retorica e nelle questioni filosofiche  riguardanti l’amore. Nicolas-André Monsiau, , 1800 ca., Museo Puškin delle Belle Arti, Mosca. Aspasia conversa con Alcibiade e Socrate esperienze   attive e Ius soli ius sanguinis Nel 451 a.C. Pericle introdusse una legge secondo la quale si poteva essere cittadini  ateniesi solo se nati da genitori entrambi ateniesi. Oggi come si può diventare cittadini italiani? Che cosa s’intende  per e per ? Cerca informazioni sull’argomento, poi discuti con i compagni sul ruolo  ius soli ius sanguinis della legislazione nella costruzione di una società inclusiva.  >> pagina 443   LE TRE DONNE DELL’UOMO ATENIESE: MOGLIE, CONCUBINA, ETÈRA approfondiamo Dice Demostene , in un celebre passo, che l’uomo  1 ateniese poteva avere tre donne: la moglie ( damar  ) per avere figli legittimi; la concubina ( )  o guné pallaké “per la cura del corpo”, vale a dire per avere  rapporti sessuali stabili; e, infine, l’etèra, hedonés  , ovverosia per il piacere. Questa “tripartizione”  heneka delle funzioni femminili, nel rapporto con  l’uomo (di per sé estremamente sintomatica della  strumentalità del rapporto uomo-donna), pone peraltro  alcuni problemi, determinati dalla necessità  di delimitare i confini del ruolo di concubina. Nella  consuetudine quotidiana, infatti, il rapporto con la  (che, a volte, era accolta addirittura nella  pallaké casa coniugale) era sostanzialmente identico a  quello con la moglie, ed era sottoposto a una regolamentazione  giuridica che da un canto imponeva  alla concubina l’obbligo della fedeltà, esattamente  come se fosse una moglie; e dall’altro riconosceva  ai figli nati dalla concubina alcuni diritti successori,  sia pur subordinati a quelli dei figli legittimi. Ma  questo non significa che il diritto ateniese autorizzasse  la bigamia, come si è spesso affermato citando  una frase di Diogene Laerzio . Scrive Diogene,  2 in effetti, che gli ateniesi «a causa della scarsità di  uomini, desideravano aumentare la popolazione e  approvarono una legge secondo la quale un uomo  poteva sposare una donna ateniese e avere figli  da un’altra». E anche recentemente la  frase è stata considerata una prova del  fatto che il diritto ateniese, sia pur temporaneamente  e in circostanze eccezionali,  avrebbe ammesso la bigamia. Ma, a ben vedere, la frase significa una  cosa molto diversa. Più precisamente,  significa che gli ateniesi riconobbero  ai figli nati fuori dal matrimonio un  certo status. In altre parole, riconobbero e regolarono  giuridicamente l’esistenza delle concubine, accanto  alle mogli, ma in posizione diversa da queste,  stabilendo una precisa gerarchia fra i due rapporti  stabili che l’uomo poteva avere. Ma, come dice Demostene, la gamma dei possibili  rapporti che un uomo ateniese poteva avere con le  donne non si esaurisce qui. Oltre alla moglie e alla  concubina, infatti, egli poteva avere anche una terza  donna che, pur non essendo legata a lui da un  rapporto stabile, non era neppure, tuttavia, un’accompagnatrice  occasionale: e questa terza donna  era l’etèra. Più educata di una donna destinata al matrimonio,  l’etèra, destinata, invece, professionalmente ad accompagnare  gli uomini nei luoghi nei quali moglie e  concubina non potevano seguirli, era una specie di  rimedio organizzato da una società di uomini che,  avendo segregato le donne, riteneva tuttavia che la  compagnia di alcune di esse potesse rallegrare le  attività sociali, gli incontri fra amici, le discussioni  che le mogli, oltre a non dovere, non erano comunque  in grado di sostenere. Ed ecco quindi l’etèra, la  terza donna, alla quale l’uomo remunerava un rapporto  (anche sessuale) che, pur non essendo esclusivo,  non era neppure meramente occasionale. Una “compagna” dunque (perché questo è il significato  di etèra) alla quale l’uomo chiedeva  e pagava una relazione in qualche misura  gratificante anche sotto il profilo intellettuale,  e quindi del tutto diversa sia dal rapporto  con la moglie sia da quello con una  prostituta , p. 444  . | ▶  APPROFONDIAMO | E. Cantarella, , Einaudi Scuola, Milano, 1995, p.49 L’ambiguo malanno. Le donne nell’antichità greca e romana Uomo politico e oratore greco  1. (384-322 a.C.). Scrittore e storico della filosofia  2. greca (V secolo d.C.). Busto di Aspasia, copia romana di un originale greco del V secolo a.C., Musei Vaticani, Roma.  >> pagina 444   LA PROSTITUZIONE FEMMINILE approfondiamo Nella maggior parte dei casi di condizione  servile, la prostituta ( )  porné era una donna che, pur esercitando  una professione non vietata dalla legge  (che puniva come reato la prostituzione  maschile, ma non quella femminile), era oggetto  di pesante riprovazione sociale,  e veniva presa in considerazione  dalle leggi della città solo per  due motivi: per fissare il limite  massimo della sua tariffa,  e per pretendere da lei il pagamento  di un’imposta sul  reddito. Molto diversa da quella di  una comune prostituta, però,  era la condizione della donna  che, anziché vendersi nelle strade  o nei bordelli, si vendeva nei templi. Come in Oriente, anche in Grecia  esistevano delle prostitute sacre ( )  hierodoúlai che, dopo essere state consacrate  alla divinità, si vendevano ai pellegrini,  devolvendo i proventi delle loro attività al tempio  presso cui prestavano servizio. Quale fosse lo statuto giuridico delle è cosa discussa, ritenendosi da alcuni che esse fossero delle schiave del tempio e da altri, invece, che la consacrazione alla divinità le rendesse libere, anche se obbligate a vivere nel tempio e a prestare ivi servizio come prostitute. Ma ai nostri effetti la questione non ha particolare rilevanza. Comunque destinate a vendersi, le  erano, in ogni caso, delle prostitute privilegiate, e non solo per la protezione e gli agi, certamente maggiori di quelli di cui godevano le altre prostitute, che derivavano loro dalla vita nel tempio. Il loro privilegio consisteva anche e soprattutto nella loro “sacertà” che le collocava nella scala sociale in una posizione molto diversa da quella delle , e circondava la loro attività di un alone che consentiva loro, come dice Pindaro (poeta greco, 518-438 a.C.) nel suo famoso  dedicato alle “ragazze sacre” di Corinto, di «senza biasimo negli amabili letti della tenera età cogliere il frutto», e che indusse Simonide (poeta greco, 556-468 a.C.) a ringraziarle per avere contribuito, con le loro preghiere, alla vittoria sui Persiani.  hierodoúlai hierodoúlai 1 pornái skolion 2   E. Cantarella, , Einaudi Scuola, Milano, 1995, pp. 51-52 L’ambiguo malanno. La donna nell’antichità greca e romana Nell’essere considerate sacre alla divinità. 1. Componimento di tipo conviviale, cioè destinato ad allietare  2. i banchetti. Vaso con raffigurazione di un simposio, 280-360 a.C. per lo studio Quali trasformazioni investono il pensiero greco nel V secolo a.C.? 1. Quali innovazioni apportano i sofisti nel campo della trasmissione del sapere e che cosa si intende per  2. relativismo quando si parla di loro? Che cosa accomuna Socrate e Aspasia rispetto al tema dell’educazione? 3.     Per discutere INSIEME Ai nostri giorni secondo te in quale donna si esprime la sapienza  propria di Aspasia? Fai una ricerca insieme ai tuoi compagni in un piccolo gruppo, soffermandoti  su un’intellettuale contemporanea. Quindi esponetela e descrivetela in classe.