2. La formazione del cittadino e dell’oratore 2.1 L’ DAL CIRCOLO DEGLI SCIPIONI A CICERONE HUMANĬTAS La  cultura greca – come abbiamo anticipato – suscitò reazioni contrastanti a  Roma. Il più noto dei suoi detrattori fu uno stimato uomo politico, Marco  (234-149 a.C.). Egli riteneva che le influenze  Porcio Catone, detto il Censore ellenizzanti introducessero nella società romana il lusso, la pigrizia  e la licenziosità, e indicava come unico riferimento valido il   mos maiōrum (letteralmente “costume degli antichi”), il che  codice di comportamento modellava la vita di ogni cittadino romano. Il si fondava su  mos maiōrum principi quali la sobrietà, il decoro, l’austerità, il rispetto per gli dèi e per i  familiari, la virtù militare, il senso civico e l’osservanza delle leggi, l’integrità  morale e la lealtà. Catone e la sua famiglia testimoniarono una rigida adesione a questi valori:  secondo il racconto dello scrittore greco Plutarco, la moglie rifiutò la moda,  allora diffusa tra le donne altolocate, di far allattare i propri figli da una balia,  e anzi allattava anche i piccoli schiavi di casa, con l’intento di instillare, insieme  al latte, la fedeltà nei confronti della . Catone, inoltre, si occupò  familia personalmente dell’educazione culturale, etica e fisica del figlio Marco ed  espresse le sue convinzioni sul tema dell’educazione in opere quali Ad Marcum  (“Al figlio Marco”), (“Poesia sui costumi”) e  filium Carmen de moríbus (“L’agricoltura”). Al centro del suo credo pedagogico c’era la  De agri cultura formazione di un uomo che sapesse coniugare rettitudine morale e abilità  : il (“uomo retto, abile nel parlare”). nel parlare vir bonus dicendi perītus Sul versante opposto a quello di Catone si collocava il ,  Circolo degli Scipioni un gruppo di intellettuali riuniti intorno al generale Publio Cornelio  Scipione Emiliano (185-129 a.C.) e composto da vari esponenti della  nobiltà romana. Nel II secolo a.C. esso si fece promotore di un profondo  rinnovamento culturale, ispirato dall’ . ammirazione per la civiltà greca Questa trasformazione fu possibile, e in un certo senso inevitabile, in seguito  all’espansione romana nelle aree dell’Italia meridionale e della Sicilia colonizzate  dai greci (sullo scorcio del III secolo a.C.) e, soprattutto, in seguito  alla sottomissione del regno di Macedonia (168 a.C.) e all’imposizione del  dominio romano sulle città della Grecia (146 a.C.). Nel II secolo a.C., sullo sfondo di queste vicende storico-politiche, arrivarono  a Roma pensatori del calibro di (storico greco, 200 ca.-120  Polibio ca. a.C.) e (filosofo greco, 185 ca.-110 ca. a.C.). Il primo vi giunse  Panezio come ostaggio in seguito alla conquista della Macedonia, ma grazie alla sua  vasta cultura fu ammesso nel Circolo degli Scipioni. Fu lui probabilmente  a introdurvi anche Panezio, la cui presenza fu determinante nella diffusione  dello a Roma. ▶  stoicismo Polibio e Panezio esaltavano la grandezza di Roma, sostenendo  che fosse stata raggiunta grazie alle virtù dei padri. Il  Circolo degli Scipioni, dunque, favorì un felice incontro tra  , generando l’ideale  intellettualità greca e moralità romana dell’ . Esso si fondava sulla convinzione, di matrice  humanitas stoica e radicata nell’ideale ellenistico di (letteralmente,  philantropía “amore per l’essere umano”), che tutti gli esseri  umani sono dotati di ragione e per questo sono simili, cittadini  . Nel contesto romano, tale convinzione  di un unico mondo assumeva il volto di una , che  missione civilizzatrice Roma doveva realizzare unificando tutte le genti nel segno  della e della . pace giustizia (uomo politico e scrittore latino,  Marco Tullio Cicerone 102-43 a.C.) ereditò questo pensiero e vi  | ▶  L’AUTORE | infuse nuova linfa. Estimatore della cultura ellenica (che aveva peraltro avuto  modo di approfondire compiendo un viaggio di formazione in Grecia),  era fermamente convinto che il dominio di Roma comportasse una grande  responsabilità culturale e che l’assimilazione delle conquiste raggiunte dai  greci nei vari campi del sapere fosse imprescindibile per la maturazione del  popolo romano. Si approcciò alla filosofia con un :  atteggiamento eclettico cioè non si identificava in una sola corrente di pensiero, ma attingeva in maniera  libera e originale da correnti diverse. Nel (“La Repubblica”)  De Republica e nel (“Le leggi”), per esempio, riprese i temi della riflessione  De legibus di Platone e la composizione dialogica tipica delle sue opere , p.  | ▶  UNITÀ 4 499  , ma reinterpretandoli alla luce del panorama istituzionale romano. Fu  | influenzato anche dallo , non nella versione austera e astratta proposta  stoicismo dal fondatore Zenone (IV-III secolo a.C.), ma in quella più moderata,  aperta e politicamente impegnata di Panezio. Non si appassionò invece all’ , in cui ravvisava  epicureismo | ▶  APPROFONDIAMO | dei pericoli per la società romana a causa dell’accento posto sul piacere  e sull’individualismo. Cicerone, infatti, propugnò sempre l’ ideale di una vita  , totalmente dedita alla cura della cosa pubblica. attiva Dai vari influssi culturali ricavò la profonda convinzione che la «vera e perfetta  eloquenza» dovesse basarsi necessariamente sull’ armonia tra filosofia e  . Nel (“L’oratore”), per esempio, criticò  politica, ragione e parola De oratore aspramente chi pensava che i due campi della retorica e della filosofia si  potessero separare insegnando da una parte l’arte del dire, dall’altra l’arte del  pensare. Possiamo affermare che l’ in Cicerone assunse un profilo  humanitas , configurandosi come un ,  educativo ideale di cultura di ampio respiro capace di portare a realizzazione quanto di più autenticamente umano esiste  nell’uomo. Con i suoi scritti filosofici Cicerone diede un contributo fondamentale  alla formazione del . lessico filosofico latino   Video – Marco Porcio Catone :  stoicismo corrente  filosofica fondata  da Zenone di  Cizio intorno  al 300 a.C. Prende il nome  dalla Stoá  (“portico  poikíle dipinto”) in  Atene, dove  Zenone teneva  le sue lezioni. Per gli stoici,  gli esseri umani  compartecipano  della ragione, che  è la loro qualità  più propria. Busto in marmo di Cicerone, 63-43 a.C., Musei Capitolini, Roma.   Marco Tullio Cicerone L’AUTORE Cicerone è una delle figure più eminenti  dell’antichità; le sue numerose opere hanno  esercitano un'influenza profondissima sulla  cultura occidentale. Nasce ad Arpino (Frosinone)  nel 106 a.C. da una famiglia dell’ordine  equestre, una delle classi sociali più facoltose  a Roma, formata da cittadini abbastanza  ricchi da possedere un cavallo da guerra. Il  padre, che nutriva nei suoi confronti alte  aspettative, lo conduce a Roma, dove egli ha  l’opportunità di frequentare illustri insegnanti  e di intraprendere una brillante carriera politica.  Nell’80 a.C. vince la sua prima causa  come avvocato, in un processo politicamente  rischioso. Nel 77 a.C. sposa Terenzia, una ricca  ereditiera di famiglia patrizia, da cui ha i  figli Tullia e Marco. È dapprima questore in  Sicilia, poi pretore; eletto console (63 a.C.),  sventa il colpo di Stato passato alla storia  con il nome di congiura di Catilina (62 a.C.). Quando nel 60 a.C. Cesare, Pompeo e Crasso  si accordano per la spartizione del potere siglando  il patto noto come primo triumvirato,  viene emarginato dalla vita politica con una  condanna all’esilio (58 a.C.) e i suoi beni vengono confiscati. Riesce poi a rientrare a  Roma e a diventare governatore della Cilicia,  in Asia Minore, ma la sua vita continua  a essere intrecciata alle drammatiche vicende della fine della repubblica. Dopo l'assassinio  di Cesare (44 a.C.), scaglia dure orazioni  contro Marco Antonio, nell’illusione di avere  dalla sua l’appoggio di Ottaviano. Ma quando  Marco Antonio, Ottaviano e Lepido costituiscono  il secondo triumvirato (43 a.C.), il  suo nome è iscritto nelle liste di proscrizione. Quello stesso anno, viene ucciso da sicari di  Marco Antonio nella sua villa di Formia. Nasce ad Arpino da famiglia equestre 106 a.C. Vince la sua prima causa come avvocato 80 a.C. 77  Sposa  a.C. Terenzia Viene eletto console 63 a.C. 62  Sventa la  a.C. congiura di Catilina Viene esiliato 58 a.C. 43  Viene ucciso da  a.C. sicari di Marco Antonio Cesare Maccari, , affresco, 1889, Palazzo Madama, Roma. Cicerone accusa Catilina in Senato   L’EPICUREISMO approfondiamo L’epicureismo è una dottrina filosofica che deve il  suo nome a Epicuro di Samo (341-270 a.C.). L’intento  della filosofia epicurea è di indicare una via  per la felicità, intesa come assenza di dolore e di  turbamento. Per raggiungere questo fine Epicuro  propone il tetrafarmaco, cioè un quadruplice rimedio  contro i mali e le superstizioni che maggiormente  affliggono l’animo, che sono: il timore degli  dèi, della morte, del dolore, di non raggiungere il  piacere. Il tetrafarmaco consiste in una regola di  vita che si fonda su quattro osservazioni: gli dèi vivono in una dimensione diversa, negli ,  intermundia e nella loro beatitudine non si curano  degli uomini, per questo non serve temerli; l’anima è un corpo fatto di atomi, per cui quando  noi ci siamo la morte non c’è, e quando c’è la  morte noi non ci siamo; il piacere si raggiunge facilmente quando si soddisfano  i desideri naturali e necessari (per esempio  quello di bere), si controllano i desideri naturali  non necessari (per esempio  il desiderio di una bevanda  prelibata) e si eliminano  i desideri non naturali e  non necessari (per esempio  il bere smodato indotto  dalla società); il dolore acuto dura poco  e il male che dura molto  è sopportabile, per  questo non serve temere il  dolore. La vasta produzione di Epicuro  è andata quasi totalmente  perduta. Conosciamo il suo  pensiero soprattutto grazie al più grande esponente  romano dell’epicureismo: il poeta latino Lucrezio  (I secolo a.C.), che nel poema   De rerum natura (“La natura delle cose”) offre una descrizione del  mondo secondo i principi dell'epicuresimo. Busto in marmo di Epicuro, copia romana di un originale greco del III/II secolo a.C., British Museum, Londra.  >> pagina 499 2.2 IL VOLTO PATERNO DI CICERONE Nel , Cicerone elogia le  De oratore cure riservate dal padre alla sua formazione, che erano state tanto grandi da  suscitare persino delle critiche. D’altra parte, come mostra soprattutto il suo  epistolario, anche lui fu un padre molto premuroso, sia verso la figlia Tullia,  che chiamava affettuosamente , sia verso il figlio Marco. Quando  Tulliŏla questi nacque, a distanza di dieci anni dalla primogenita, Cicerone scrisse al  suo carissimo amico Tito Pomponio Attico (uomo d’affari e letterato, 110- 32 a.C.) di essersi «arricchito di un figlio». Nonostante le travagliate vicende politiche in cui fu coinvolto, non trascurò  mai il rapporto con Marco. Scelse per lui gli insegnanti migliori, lo  mandò a studiare in Grecia, lo incoraggiò a dedicarsi alla retorica, cercando  di distoglierlo dalla passione per le armi. Cicerone nutriva grandi ambizioni per il figlio, nella speranza di tramandare  alla sua discendenza il prestigio faticosamente conquistato. Egli, infatti,  era un , cioè il ad avere ricoperto homo novus primo della sua famiglia alte  . Marco, tuttavia, si dimostrava irresponsabile e svogliato,  cariche dello Stato preferendo agli studi la vita mondana. Le lettere di Cicerone al riguardo rivelano  un’apprensione che contrasta con la sicurezza ostentata in altre opere.  Le preoccupazioni aumentarono durante il soggiorno di Marco in Grecia,  anche per le sue continue richieste economiche, gravose persino per un avvocato  affermato come Cicerone. Sembra, infatti, che tra le cause della fine  dell’unione trentennale di Cicerone con la moglie Terenzia ci sia stato anche  un disaccordo circa la condotta da tenere con Marco. Dopo il divorzio, Cicerone  sposò la giovane Publilia, ma il loro matrimonio fu molto breve. Cicerone non riservò la stessa cura all’istruzione della figlia – come abbiamo  visto, questo non rientrava nei doveri di un padre –, pur apprezzandone  sin dall’infanzia la vivace intelligenza. Tullia, tuttavia, visse più del consueto  nella casa paterna: nelle parentesi fra i suoi tre sfortunati matrimoni e, stabilmente,  dopo il secondo divorzio. In questo modo, ebbe l’opportunità di  ricevere , tant’è che il padre amava intrattenersi a  preziosi stimoli culturali conversare con lei. Tullia morì di parto nel 45 a.C., a soli trentaquattro anni.  Cicerone ne ebbe un dolore immenso. Ammise che Giulio Cesare sapeva  sopportare con più dignità la perdita della figlia Giulia. Per rendere più accettabile  la sua sofferenza, scrisse il De consolatione (“La consolazione”), di  cui ci sono pervenuti solo pochi frammenti.  >> pagina 500 2.3 L’UOMO RETTO, ABILE NEL PARLARE: IL PROGETTO PEDAGOGICO DI QUINTILIANO L’ (“La formazione dell’oratore”),  Institutio oratoria di Marco Fabio Quintiliano , è considerata il | ▶  L’AUTORE | primo trattato  . Essa, infatti, differisce in un aspetto  pedagogico della storia occidentale essenziale dalle opere precedenti dello stesso genere, per esempio dal De  di Cicerone, al quale pure si richiama: non si limita a considerare le  oratore caratteristiche interne di un’orazione, ma espone una visione di più ampio  , dalla culla alla tomba. respiro sulla formazione dell’oratore La maturità della riflessione pedagogica e didattica che Quintiliano manifesta in questa opera gli derivava dalla lunga esperienza non solo come  avvocato ma anche come insegnante. L’ , pertanto, si presta  Institutio oratoria a interpretazioni diverse a partire da molteplici angolazioni: la si può leggere  come un o come un manuale rivolto agli insegnanti libro di supporto per  nel difficile compito di educare o, ancora, come un i genitori trattato di retorica  . destinato agli studenti L’ideale che Quintiliano persegue è quello del ,  vir bonus dicendi perītus cioè la formazione di un uomo abile nell’uso delle ma  tecniche retoriche dotato anche di . In questo modo Quintiliano intendeva  qualità civiche ed etiche rilanciare un ideale – promosso dal retore ateniese Isocrate | ▶  UNITÀ  , p. 460  , introdotto nella cultura romana da Catone il Censore e poi ripreso  4 | da Cicerone – che era stato tradito dal divorzio tra retorica e morale. Secondo  Quintiliano, era necessario , in realtà  riunificare questi due campi indivisibili. Bisogna considerare che le condizioni storiche erano profondamente mutate  rispetto all’epoca repubblicana: il regime imperiale poneva   limiti decisivi alla libertà di pensiero e di espressione. Ciononostante, nel suo proposito  di , Quintiliano  educare alla partecipazione politica attraverso la retorica manifestava un atteggiamento profondamente . Il I libro dell’ ,  ottimista Institutio infatti, si apre nel segno della fiducia rispetto al tema dell’educazione: «Dopo la nascita di un figlio, dunque, il padre deve concepire per lui la più  alta speranza: così se ne occuperà con particolare attenzione fin da principio  ». Non è vero, infatti,  che solo pochi individui  sono dotati: al contrario, si  trovano moltissime persone  pronte all’apprendimento,  perché così come gli  uccelli volano, gli uomini  sono naturalmente forniti  . di vivacità intellettuale Per questa ragione, il padre  non dovrà trascurare nulla,  a partire dalla scelta di nutrici  che si comportino e si  esprimano correttamente:  sono loro le prime persone  che il bambino ascolta  e di cui cerca di imitare le  parole. Stesso discorso vale  per i giovani schiavi, fra i  quali il bambino crescerà, e  per i primi insegnanti, che  dovranno essere coltissimi. Così come è bene che siano colti il padre e la madre. Secondo Quintiliano,  neppure la prima infanzia può essere esclusa dalla formazione etica e intellettuale,  che però dovrà essere graduale, basata sul gioco e rispettosa delle  , perché egli non inizi a odiare studi che non può  inclinazioni del bambino ancora amare. Convinto sostenitore della , Quintiliano  superiorità delle scuole pubbliche esamina e confuta i principali argomenti a favore dell’istruzione privata: :  la segregazione in casa non è una garanzia contro la degenerazione spesso i vizi peggiori si apprendono nell’ambiente domestico, imitando  proprio i genitori e i loro amici; oppure a causa di un’educazione improntata  a coccole e concessioni esagerate; un insegnante che si rivolge a diversi allievi non necessariamente dedicherà  «La voce del maestro, infatti, non è  a ciascuno minori attenzioni. come il cibo, che diminuisce al crescere dei commensali, bensì come il sole,  che elargisce a tutti la medesima luce e il medesimo calore». Il maestro può  essere addirittura più motivato di fronte a un uditorio più numeroso. D’altra  parte, l’amore dovrebbe costituire il fondamento della sua professione. In particolare, la scuola pubblica permette al giovane di imparare insieme  con gli altri, grazie alla e alla sana . Imparare  collaborazione ⇒  competizione con gli altri è una condizione fondamentale perché egli non maturi un senso  spropositato delle proprie capacità e poi magari venga meno quando è il  momento di dimostrarle pubblicamente: infatti, non si può imparare «nella  solitudine ciò che va messo in pratica in mezzo a molti». Nella scuola pubblica,  inoltre, maturano che restano salde per tutta la vita. amicizie L’acume pedagogico di Quintiliano si manifesta anche nel suo rifiuto dei  . Essi sono non solo dannosi, perché avviliscono la personalità  metodi coercitivi degli alunni, ma anche controproducenti, poiché finiscono con il favorire  ciò che vorrebbero combattere, cioè inaspriscono lo spirito di ribellione. Quintiliano sconsiglia persino le , affermando che quanto più un  punizioni maestro ammonirà, tanto meno dovrà punire. Queste considerazioni, tuttavia,  valgono solo in relazione agli : le percosse, infatti, sono  uomini liberi ammesse nei confronti degli schiavi. Quintiliano è un fermo sostenitore dell’ , greca e latina.  educazione bilingue Analizza dettagliatamente , oltre  programmi e metodologie didattiche che le prerogative di ciascun maestro. È importante, afferma, che il   grammaticus rimanga nei confini delle e non anticipi i tempi  proprie competenze assegnando agli studenti più brillanti, per una sua soddisfazione personale,  esercitazioni di retorica, che è la disciplina insegnata dal . D’altra parte,  rhetor quest’ultimo deve essere consapevole della sua responsabilità di formare la  . Pertanto dovrà parlare di ciò che è onesto e  morale attraverso l’eloquenza di ciò che è bene, adirarsi e offendere il meno possibile, spiegare con semplicità,  rispondere alle domande di buon grado, gratificare senza eccessi, ricercando  il giusto equilibrio tra pazienza e rigore. Le materie fondamentali, secondo Quintiliano, sono la grammatica, la  retorica, la filosofia, la musica, la matematica, l’astronomia e la geometria.  L’autore sostiene la necessità di un insegnamento onnicomprensivo , capace  di preparare un oratore «perfetto e privo di lacune». In questo senso, la sua  opera ci offre una mirabile testimonianza dell’ romana. humanitas   Video – Marco Fabio Quintiliano: l' Institutio oratoria radici delle parole competizione:  il sostantivo deriva dal verbo latino , “chiedere,  competĕre cercare insieme”, formato dalla preposizione (“con”), che sottolinea la radice relazionale  cum e solidale del termine, e , “chiedere”, “ricercare”. Sul piano etimologico,  petĕre dunque, non è giustificata l’accezione negativa che la parola “competizione” ha assunto nella  nostra società e nei contesti di apprendimento. Il pedagogista Emanuele Isidori propone di  sostituirla con il neologismo “coopetizione”, che assomma in sé i concetti di collaborazione  e competizione. ⇒ |  T2 p. 532 Imparare insieme Una pagina dell’ in un manoscritto del XV secolo, Biblioteca Laurenziana, Firenze. Quintiliano compose l’ in soli due anni, tra il 90 e il 92 d.C., per poi pubblicarla nel 95. Institutio oratoria Institutio   Marco Fabio Quintiliano L’AUTORE Quintiliano nasce a Calagurris, in Spagna,  intorno al 35 d.C. Da bambino si trasferisce  a Roma con il padre, maestro di retorica, per  compiere gli studi. Rientrato in Spagna, torna  definitivamente nella capitale nel 68, al seguito  dell’imperatore Galba (68-69), dedicandosi  alle professioni di avvocato e di docente di  retorica. All’inizio insegna privatamente, poi  nella prima scuola pubblica, fondata nel 78 da  Vespasiano, ottenendo per questo incarico uno  stipendio molto elevato. Ha tra i suoi discepoli  lo scrittore Plinio il Giovane e forse lo storico  Tacito. L’imperatore Domiziano (81-96) gli affida persino la formazione dei suoi nipoti, de signati  alla successione. Quando ancora la sua  fama è alle stelle, Quintiliano si ritira a vita privata  per dedicarsi alla composizione delle sue  opere. Dei suoi numerosi scritti ci è pervenuta  solo l’ , composta tra il 90 e il  Institutio oratoria 92. La sua vita è segnata dal successo, grazie  soprattutto alla stretta collaborazione che egli  intrattiene con la famiglia imperiale, ma anche  dal dolore per la prematura perdita della moglie e dei due figli. Muore a Roma nel 96. Nasce a Calagurris, in Spagna 35 d.C. Si trasferisce definitivamente a Roma 68 Scrive  90-92 l’Institutio oratoria Muore  96 a Roma per lo studio Descrivi la genesi dell’ nel Circolo degli Scipioni e il contributo che ha offerto Cicerone alla  1. humanitas sua formulazione. Quali caratteristiche del emergono dalle vicende personali di Cicerone? 2. pater familias Su quali argomenti si fonda la difesa della scuola pubblica da parte di Quintiliano? 3.     Per discutere INSIEME «Sono un uomo e niente di ciò che è umano mi è estraneo» è una celebre  espressione del commediografo latino Terenzio (II secolo a.C.) che sintetizza la concezione  dell’ . In tempi recenti, il giornalista Vittorio Arrigoni, assassinato a Gaza nel 2011, era  humanitas solito concludere i suoi reportage dalla Striscia di Gaza con la frase «Restiamo umani». Approfondisci la  sua storia e confrontati in classe con i tuoi compagni.