3. Emozioni e malattia 3.1 Le emozioni Nei paragrafi precedenti abbiamo visto come il nostro corpo sia in parte il risultato di una costruzione culturale. Il corpo è infatti il mezzo attraverso cui gli esseri umani scoprono il mondo e imparano ad abitarlo secondo determinati modelli culturali, che vengono appresi tramite l’interazione sociale. Esso è dunque sia un (fatto di carne, ossa, fluidi e così via), che costituisce la condizione di possibilità materiale di qualsiasi esperienza, sia un , in quanto riflette i processi di inculturazione che ci hanno reso persone in una data società. prodotto biologico prodotto storico-culturale Abbiamo visto come i modi in cui mangiamo, camminiamo, dormiamo non siano l’espressione di un corredo di istinti che possediamo fin dalla nascita, ma atteggiamenti fisici acquisiti attraverso processi di socializzazione e in seguito , cioè percepiti come spontanei e automatici. naturalizzati Se quindi il corpo non è soltanto un’entità naturale, ma è il luogo in cui ( ), qualcosa di molto simile può essere detto delle . Anche i modi in cui reagiamo emotivamente alle situazioni, infatti, sono . la cultura viene incorporata embodied emozioni culturalmente condizionati Per molto tempo, nell’ambito delle scienze umane, le emozioni sono state considerate pulsioni istintive, irrazionali e innate, attinenti più alla sfera naturale che a quella culturale. Questa concezione poggia su una serie di dicotomie profondamente radicate nella tradizione filosofica occidentale: mente/corpo, spirito/materia, razionale/irrazionale, natura/cultura, intelletto/passione. La consacrazione di questa come modello di pensiero dominante dell’Occidente moderno viene solitamente attribuita al filosofo francese (1596-1650), noto come Cartesio, e alla sua concezione dell’uomo composto da una “sostanza pensante” ( ) e una “sostanza fisica” ( ). visione dualistica René Descartes res cogitans res extensa In un libro dal titolo , il neuroscienziato (n. 1944) critica il dualismo cartesiano per aver «disincarnato» la mente e «dementalizzato» il corpo; egli sostiene, al contrario, una , caratterizzato dall’ . L’errore di Cartesio Antonio Damasio concezione unitaria dell’organismo intreccio tra processi fisiologici, emozionali e cognitivi L’antropologia delle emozioni In antropologia l’interesse per le emozioni in quanto costruzioni socioculturali si è sviluppato a partire dagli anni Settanta del secolo scorso e si è intensificato negli anni Ottanta, con diversi lavori etnografici che hanno inaugurato un nuovo filone di studi, chiamato appunto “ ”, volto a indagare la sfera emotiva come luogo d’incontro tra individuo, corpo e società. Quello che proviamo in una data situazione è infatti profondamente connesso al significato che a essa attribuiamo, in base a specifici schemi interpretativi e codici morali introiettati tramite i processi di inculturazione: la paura, per esempio, dipende in larga misura da ciò che valutiamo come pericoloso; la gelosia nei confronti del proprio partner riflette probabilmente una concezione monogamica della coppia; il senso di vergogna o di colpa deriva da ciò che valutiamo come immorale o socialmente inadeguato. antropologia delle emozioni ha definito le emozioni « », cioè (come la sudorazione delle mani, il rossore sulle guance, la tachicardia) che ci caratterizzano come individui e come membri di una società. (1952-2015) e (n. 1952) hanno proposto di considerarle « », poiché esse ci “dicono” ciò che una persona valuta come giusto o sbagliato, buono o cattivo, bello o brutto, opportuno o inopportuno, a seconda dei modelli culturali che ha incorporato. Michelle Rosaldo pensieri incorporati espressioni corporee di concezioni, norme e valori Catherine Lutz Lila Abu-Lughod forme di discorso Così come le cosmologie, i valori e le concezioni sugli individui variano da società a società e nel corso del tempo, anche le emozioni e i codici della loro esprimibilità sono mutevoli e pertanto non costituiscono un linguaggio universale. L’antropologa italiana (n. 1970) mostra, per esempio, come tra i Bijagó dell’isola di Bubaque, nella Guinea Bissau (Africa occidentale), l’eccessiva manifestazione di emozioni quali la collera, la cupidigia, l’avidità, il coraggio, riunite nel sentimento bijagó di , possa essere letta come un segno di stregoneria ( ) poiché infrange il codice etico dominante secondo cui l’individualità deve essere sempre subordinata al benessere collettivo e sottoposta all’autorità degli anziani. Chiara Pussetti edík omadók Le emozioni sono dunque il punto di congiunzione tra la società, il corpo e l’esperienza soggettiva dell’individuo, che, come si è detto, non è mai totalmente passivo rispetto ai modelli culturali che acquisisce. Da un lato, esse costituiscono la vita intima delle persone; dall’altro, partecipano a uno specifico sistema valoriale condiviso, del quale, al contempo, confermano la legittimità. In questo modo svolgono un importante ruolo di tra le tre dimensioni della corporeità individuate dalle antropologhe (n. 1936) e (n. 1944) in un famoso saggio del 1987: il , il e il . La dimensione individuale del corpo è quella più evidente e immediata, « »; quella sociale riguarda il corpo in quanto incarnazione delle e dei ; quella politica fa riferimento alle da parte delle istituzioni che presiedono all’ordine sociale, come lo Stato, i sistemi religiosi o i sistemi medici, e che stabiliscono la sottile soglia tra “normale” e “anormale”, “sano” e “malato”. mediazione Margaret Lock Nancy Scheper-Hughes corpo individuale corpo sociale corpo politico il senso intuitivo del sé incorporato rappresentazioni culturali modelli sociali introiettati strategie di controllo e disciplinamento dei corpi >> pagina 121 3.2 Diversi sguardi sulla “malattia” Abbiamo detto fin qui che ogni società elabora un sistema di norme, valori e rappresentazioni che si riflette nei corpi e nelle emozioni dei suoi membri. Queste norme fungono da per stabilire che cosa sia “sano” e che cosa invece “malato”. I concetti di sembrano implicare quelli di : un corpo in stato di salute può essere definito come un corpo in cui tutto funziona “normalmente”, mentre lo stato di malattia viene generalmente associato a una “anomalia” nel suo funzionamento. ▶ parametri salute/malattia normalità/anormalità Il sociologo francese , nel suo celebre volume (1895), definisce la come una , identificabile con la . La malattia, di conseguenza, insorge nel momento in cui si registra una divergenza da ciò che accade alla maggioranza dei propri simili e che rappresenta la “normalità”. Émile Durkheim Le regole del metodo sociologico salute condizione «ideale» norma costituita dalla maggioranza della specie sociale a cui si appartiene le mestruazioni possono dare luogo a sensazioni spiacevoli (gonfiore e dolori addominali, spossatezza), tuttavia non vengono considerate delle malattie poiché accomunano tutte le donne in età fertile; è, al contrario, la loro assenza a costituire un campanello d’allarme. Nell’età dell’infanzia e della vecchiaia, invece, l’assenza di mestruazioni è la normalità. O ancora, un corpo mutilato o scarificato può essere visto come un corpo “leso” secondo una cultura o come un corpo “civilizzato” secondo un’altra, come nel caso degli Yorùbá dell’Africa occidentale, le cui cicatrici lineari sul volto sono il segno del passaggio dal disordine all’ordine, cioè alla civiltà , p. 247 . Esempi: | unità 6 ▶ | Questi esempi mostrano come i concetti di normalità/anormalità e salute/malattia non siano essenze universalmente date, ma e alla in cui ci si trova. Come il corpo e le emozioni, essi sono . La loro variabilità storico-culturale risulta ancora più evidente quando si parla di malattie psichiche, di cui si occupa l’ , in particolare quando queste si manifestano in contesti extraoccidentali o nella vita di persone come i , che attraversano più paesi e in cui i modelli culturali si intrecciano e si scontrano. norme stabilite in base al contesto socioculturale fase della vita prodotti storici ▶ etnopsichiatria | APPROFONDIAMO | ▶ migranti : criterio o unità di misura che sta alla base di una valutazione. Il termine è mutuato dal linguaggio matematico, dove indica la variabile indipendente. parametro : disciplina che si occupa di esplorare il rapporto tra cultura e sofferenza psichica applicando l’approccio relativista dell’antropologia allo studio dei diversi sistemi medici in base ai quali le persone vivono e concettualizzano il disagio psichico, specie in contesti di frontiera come quello della migrazione. etnopsichiatria Ogni cultura esprime dei valori e delle concezioni particolari che possono riflettersi sul corpo, anche in termini di salute o malattia: per esempio, per alcune popolazioni la e la pittura sulla propria pelle sono delle pratiche considerate del tutto “normali” e quindi “sane”, mentre per altre società possono essere il simbolo esteriore di un corpo lesionato e quindi bisognoso di cure. scarificazione Che cos’è l’etnopsichiatria? approfondiamo L’etnopsichiatria nasce nella prima metà del Novecento come studio della malattia mentale in contesti non occidentali. Il colonialismo aveva infatti dato luogo a un incontro sistematico con popolazioni extraeuropee, costituendo l’ambito dei primi interrogativi sul rapporto tra sofferenza psichica e cultura. La fase inaugurale di questa particolare disciplina risente quindi degli stereotipi e delle rappresentazioni dell’altro del paradigma antropologico evoluzionista e dell’ideologia coloniale: i colonizzati erano dipinti come “primitivi” e selvaggi, dotati di una mente “pre-logica” e vittime di assurde credenze pagane; in quest’ottica venivano visti anche i loro “deliri” e il loro malessere. È con il lavoro dell’antropologo e psicoanalista George Devereux (1908-1985) che l’etnopsichiatria assume la sua configurazione attuale come disciplina autonoma volta ad analizzare la “costruzione” della malattia mentale e della sua cura in una prospettiva transculturale. Da un lato, essa si propone di indagare le rappresentazioni del malessere psichico elaborate dalle cosiddette “medicine tradizionali” in contesti non occidentali; dall’altro, opera un’attenta critica del sapere psichiatrico occidentale, muovendo dalla consapevolezza che in entrambi i casi si tratta di prodotti storico-culturali. Al pari delle conoscenze e delle terapie tradizionali dei guaritori extraeuropei, infatti, anche le categorie diagnostiche della psichiatria occidentale hanno una precisa genealogia: sono nate cioè in un determinato contesto spazio-temporale. Sarebbe perciò ingenuo e potenzialmente dannoso considerarle universalmente valide per comprendere e curare la sofferenza altrui. In questo senso, i contributi dell’etnologo Ernesto De Martino e degli psichiatri Franco Basaglia (1924-1980) e Frantz Fanon (1925-1961) sono stati fondamentali per ripensare criticamente la psichiatria e le sue istituzioni: dalle loro differenti prospettive, hanno mostrato l’inadeguatezza del sapere psichiatrico nell’interpretare e gestire l’esperienza della “follia”, impensabile come concetto univoco e irriducibile alla sua medicalizzazione. La follia si rivela anche come critica implicita all’ordine sociale e ai rapporti di forza presenti in ogni cultura. L’etnopsichiatria è perciò attenta a non trascurare il profilo della “violenza strutturale” in cui è spesso inquadrata la sofferenza dei soggetti, evitando di appiattirla sulla variabile culturale o su quella psicologica; soprattutto quando si parla del malessere dei migranti, che affrontano torture, viaggi estenuanti e condizioni di vita precarie. Qui le questioni antropologiche e psichiatriche si mescolano a quelle giuridiche della dialettica cittadino/straniero, inclusione/esclusione. >> pagina 123 L’antropologia medica La definizione di “malattia” come anomalia fisiologica dell’organismo si sviluppa all’interno del , cioè la , nella cui ottica il corpo è l’“oggetto” biologico del sapere scientifico. Accanto a questo sistema medico ve ne sono molti altri, ciascuno dei quali è costituito da un relative ai concetti di . ▶ sistema medico occidentale ▶ biomedicina insieme interconnesso di credenze, conoscenze e pratiche terapeutiche benessere e malessere Da questa consapevolezza, si è sviluppata, a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, l’“ ”, volta ad analizzare i modi in cui nelle diverse società gli esseri umani vivono, rappresentano e fronteggiano il malessere e la sventura. antropologia medica In Italia è stato l’antropologo (1928-2017) a costituire nel 1988 la “Società italiana di antropologia medica” (Siam), e a introdurre nel 1992 questa nuova disciplina tra gli insegnamenti dell’università degli studi di Perugia, contribuendo significativamente alla sua diffusione al di fuori del contesto statunitense, dov’era nata. Tullio Seppilli In ambito anglosassone l’antropologia medica ha sfruttato la varietà semantica della lingua inglese per sottolineare i diversi punti di vista da cui può essere interpretata la malattia; in inglese, infatti, esistono tre differenti parole per denominarla: , e . Il primo termine indica la definizione biomedica della malattia, cioè la “ ” in cui ci si trova; il secondo coglie invece il , per esempio il non potersi recare al lavoro, il non essere più efficienti o l’essere pericolosi per gli altri, come nel caso di una pandemia; il terzo si riferisce all’ . disease sickness illness condizione patologica significato sociale dell’essere malati esperienza soggettiva del malessere Su quest’ultimo aspetto si è concentrato l’interesse della , rappresentata dall’antropologo e psichiatra e dal suo collega . I due studiosi hanno sviluppato un approccio metodologico incentrato sul dialogo con i pazienti e sull’analisi dei loro racconti ( ), prodotti per comunicare la propria sofferenza. Le loro narrazioni permettono di cogliere la dimensione soggettiva del malessere e di posizionarla all’interno di una . L’aspetto soggettivo della malattia è lasciato molto spesso in ombra dalle definizioni biomediche, rispetto alle quali esso si presenta più ricco e talvolta contraddittorio. Scuola di Harvard Arthur Kleinman | L’AUTORE | ▶ Byron Joseph Good | L’AUTORE | ▶ illness narratives trama di significato che connette la biografia al contesto socioculturale È chiaro che queste tre dimensioni convivono necessariamente nel fenomeno “malattia”, che si presenta come un complesso intreccio di piani. Nel suo studio del 1981 sulla tra i minatori di carbone in Virginia, la sociologa americana (n. 1951) mostra come la definizione della malattia sia il terreno di una continua tra le diverse prospettive degli attori sociali coinvolti: per i minatori, la silicosi è la malattia che non ti fa respirare, che trasforma il tuo habitus impedendoti di condurre la vita “normale” di prima; per i medici degli operai è una disabilità respiratoria provocata dai noduli che si formano nei polmoni in seguito all’inalazione della polvere di carbone; per la compagnia mineraria, coincide con gli spazi bianchi, corrispondenti ai noduli, che appaiono in negativo sulle radiografie e in base ai quali gli operai verranno risarciti. silicosi Barbara Smith negoziazione L’esempio mostra chiaramente l’intreccio conflittuale tra i diversi piani della malattia, che non possono dunque essere considerati come separati e indipendenti l’uno dall’altro. : insieme interconnesso di rappresentazioni e pratiche, variabili culturalmente e nel tempo, che hanno per oggetto il malessere e la sua cura e a cui le persone fanno riferimento nella gestione del proprio disagio. sistema medico : sistema medico caratteristico delle culture europee e occidentali, incentrato su una visione del corpo quale organismo biologico, oggetto del sapere scientifico. biomedicina ⇒ | T3 p. 131 I sistemi medici come sistemi culturali Arthur Kleinman l’autore Arthur Kleinman (n. 1941) è uno psichiatra e antropologo medico statunitense. È considerato una figura di spicco nei campi dell’antropologia medica, della psichiatria culturale, della salute globale e della medicina sociale. Laureato in antropologia sociale all’università di Harvard nel 1974, dedica la sua vita alla comprensione dell’esperienza della malattia, della salute mentale e dello stigma e delle forme di cura e assistenza a livello globale con particolare attenzione alla Cina. Nel 1976 fonda il giornale “Cultura, Medicina e Psichiatria”. È psichiatra presso l’università di Stanford e il , e professore di antropologia medica e psichiatria interculturale presso la Scuola di Medicina di Harvard, dove ottiene l’incarico di direttore del Dipartimento di Medicina Sociale nel 1990. Per il suo contributo all’antropologia medica e alla psichiatria ha ricevuto il Premio Boas (il più alto riconoscimento dell’Associazione Antropologica Americana) ed è stato coautore di molti lavori con altri psichiatri e ricercatori della salute mentale e della psichiatria interculturale, tra cui Paul Farmer, Veena Das e Byron Good. Nel 2004 diventa capo del Dipartimento di Antropologia presso la Facoltà di Arti e Scienze di Harvard. Massachusetts General Hospital Nasce a New York 1941 Si laurea in antropologia sociale presso l’università di Harvard 1974 Crea il giornale “Cultura, Medicina e Psichiatria” 1976 Diventa direttore del Dipartimento di Medicina Sociale della Scuola di Medicina di Harvard 1990 Diventa capo del Dipartimento di Antropologia presso la Facoltà di Arti e Scienze di Harvard 2004 Byron Joseph Good l’autore Byron Joseph Good (n. 1944) è un antropologo medico statunitense che studia principalmente le malattie mentali. Laureato in studi comparati delle religioni presso l’università di Harvard, nel 1977 consegue il dottorato a Chicago con una tesi sulla struttura del discorso medico in una città iraniana di provincia. Svolgendo ricerca etnografica in Iran, Indonesia e Stati Uniti, i suoi lavori hanno contribuito al campo dell’antropologia psicologica, esplorando il significato culturale delle malattie mentali, la malattia raccontata dai pazienti, lo sviluppo comparato dei sistemi di salute mentale. È professore di antropologia medica alla Scuola di Medicina di Harvard e professore al Dipartimento di Antropologia dell’università di Harvard, dove codirige un programma di post-dottorato che ha attirato e attira studiosi da tutto il mondo nell’ambito della psichiatria e dell’antropologia medica. Dal 1986 al 2004 è l’editore del giornale “Cultura, Medicina, Psichiatria” creato da Kleinman. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: (1994), scritto insieme a Kleinman, e (2006). Nel 2013 viene nominato Presidente della Società per l’Antropologia Psicologica. Medicina, Razionalità e Esperienza: una prospettiva antropologica Narrare la malattia Nasce negli Stati Uniti 1944 Consegue il dottorato all’università di Chicago 1977 Diventa editore del giornale “Cultura, Medicina, Psichiatria” fino al 2004 1986 Pubblica, assieme a Kleinman, 1994 Medicina, Razionalità e Esperienza: una prospettiva antropologica Pubblica 2006 Narrare la malattia Viene nominato Presidente della Società per l’Antropologia Psicologica 2013 >> pagina 126 3.3 Il malessere come specchio dei rapporti sociali La silicosi studiata da Smith fa emergere un altro aspetto della malattia, cioè quello di essere, in alcuni casi, l’ . La silicosi, infatti, non colpisce chiunque, ma una categoria specifica di persone: gli operai delle miniere di carbone, che si trovano a dover lavorare in condizioni poco protette, a stretto contatto con le polveri e in assenza di una ventilazione adeguata. Queste condizioni sono imposte dalla compagnia mineraria, che ha il potere di determinare le modalità di lavoro dei suoi dipendenti. In questo caso, dunque, le relazioni sociali non influiscono soltanto sulla percezione soggettiva della malattia ( ), bensì producono anchel’insorgere della malattia stessa ( ). incorporazione di disuguaglianze socio-economiche illness disease Molti altri lavori etnografici, appartenenti al filone di studi dell’antropologia medica, fanno emergere il , come , al pari delle emozioni, che esprime attraverso il corpo la realtà sociale di chi lo vive e le relazioni di potere, quasi sempre asimmetriche, in cui la persona è coinvolta. malessere come linguaggio forma di discorso , per esempio, ha studiato il caso dell’ ( ) tra i coltivatori salariati di canna da zucchero nel Nord-Est del Brasile. Capita talvolta che questi lavoratori, pagati un dollaro al giorno per tagliare alberi, vengano improvvisamente colti da un attacco nervoso cadendo a terra esausti. L’antropologa interpreta i loro attacchi come espressioni metaforiche delle condizioni di malnutrizione e sfruttamento in cui questi braccianti versano fin dall’età di otto anni, e come rispetto a una situazione inaccettabile. Nancy Scheper-Hughes attacco di nervi ataque de nervos forme di protesta silenziosa Manifestazioni analoghe sono state studiate da in Canada, tra le immigrate greche impiegate come operaie nel settore tessile, sfruttate e sottopagate, e perciò costantemente in preda ad attacchi d’ansia o nervosismo. Margaret Lock In ambito italiano, il celebre lavoro di sul tarantismo pugliese ha mostrato come la crisi dei “tarantati” non potesse essere ridotta alla categoria biomedica di malattia, ora causata dal veleno del ragno, ora consistente in un disordine psichico isolato; essa era piuttosto l’espressione di una condizione sociale opprimente, che riguardava soprattutto le donne, nell’Italia meridionale degli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso. Ernesto De Martino In tutti questi casi il malessere si presenta come una sorta di , che denuncia e traduce in termini fisici una condizione sociale non più tollerabile. Ancora una volta, dunque, il corpo si fa specchio sia dei modelli culturali appresi, sia delle condizioni sociali e politiche in cui si trova a vivere. Esso è sempre un , come lo hanno definito e , cioè un corpo “intriso di pensiero”, tanto nella sua versione “sana”, quanto in quella “malata”. Per queste ragioni, la malattia non può essere studiata prescindendo dal contesto esistenziale e socioculturale in cui essa si manifesta; anche in questo caso l’antropologia culturale adotta un , che tenga conto dei diversi fili che compongono il fenomeno del malessere nel suo complesso. volontà di parola del corpo mindfull body Lock Scheper-Hughes approccio olistico Il corpo può essere lo specchio anche di emozioni legate alle disuguaglianze sociali ed economiche tra popoli: l’attacco di nervi dei coltivatori di canna da zucchero in Brasile, studiato da Nancy Scheper-Hughes, per esempio, è il sintomo della loro condizione lavorativa estrema e sottopagata. per lo studio In che senso le emozioni possono essere definite «pensieri incorporati»? 1. Quali sono i tre aspetti della malattia individuati dall’antropologia medica anglosassone? 2. Come vengono visti dall’antropologia culturale i concetti di “salute” e di “malattia”? 3. Per discutere INSIEME Nel libro il medico e docente statunitense di neurologia Oliver Sacks (1933-2015) riporta alcune delle sue esperienze neurologiche con i propri pazienti, riflettendo sul rapporto fra malattia, memoria, corpo ed emozioni. Prova a leggere qualche episodio del libro: che cosa ti colpisce di più? E che cosa significa per te che il corpo si fa specchio sia dei modelli culturali appresi, sia delle condizioni sociali e politiche in cui si vive? Discutine in classe con i tuoi compagni. L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello