3. Oralità e scrittura 3.1 CULTURE A ORALITÀ PRIMARIA, DIFFUSA E RISTRETTA La prima forma di scrittura si sviluppò fra i Sumeri della Mesopotamia intorno al 3500 a.C. Si utilizzava un piccolo strumento ad asta con cui incidere su tavolette d’argilla dei segni a forma piramidale e appuntita che potrebbero ricordare dei chiodini o dei cunei, da cui il nome di scrittura cuneiforme. Molti altri sistemi di scrittura sono nati successivamente e in modo indipendente l’uno dall’altro: per esempio i geroglifici egiziani nel 3000 a.C. o la scrittura cinese del 1500 a.C. Gli studiosi ipotizzano che ogni sistema di scrittura, in particolare quello cuneiforme, possa essere derivato da un qualche tipo di pittografia. I Sumeri, per esempio, registravano le operazioni economiche raffigurando sull’argilla simboli di oggetti. Oggi la scrittura è presente in pressoché tutte le società e influenza profondamente i modi in cui pensiamo e ci esprimiamo. Le culture in cui la scrittura è ormai sono dette a . ampiamente diffusa e radicata oralità ristretta Al contrario, si dicono a quelle culture, quasi tutte scomparse, che, a prescindere dalla loro complessità politica, economica e amministrativa, : ne sono esempi l’impero precolombiano degli Inca in Sudamerica o il regno del Dahomey nell’Africa occidentale precoloniale. In tali società talvolta venivano utilizzati sistemi molto diversi dalla scrittura per codificare alcune informazioni; strumento basilare per la contabilità nell’impero Inca delle Ande peruviane erano per esempio le cordicelle , un insieme di piccole corde annodate di diversi colori. I nodi trasmettevano informazioni importanti ma solo a chi li sapeva interpretare. oralità primaria non conoscono alcuna forma di scrittura quipu Nel mondo contemporaneo vi sono anche culture che, pur avendo una forma di scrittura forte per leggi, regolamenti, calcoli e così via, non hanno ancora un alfabeto scritto e per comunicare prediligono la forma orale: si tratta delle culture a . È bene precisare, però, che gli individui che vivono in tali comunità, in cui la scrittura è penetrata solo parzialmente, non possono essere definiti “analfabeti” nel senso corrente del termine. L’analfabetismo, nelle culture a oralità ristretta, è un importante fattore di e per gruppi e fasce sociali che, per molteplici ragioni, non sono in grado di messe a disposizione dal sistema scolare. Quando una persona cresciuta in una cultura a oralità diffusa entra nel contesto di una cultura a oralità ristretta – come per esempio molti migranti italiani all’estero nella prima metà del Novecento – si trova spesso a occupare una posizione socialmente svantaggiata rispetto a chi è in grado di accedere, grazie all’alfabetizzazione, a informazioni e risorse. Problemi analoghi si presentano oggi nel contesto dei grandi flussi migratori dal Sud del mondo. oralità diffusa emarginazione povertà accedere alle risorse Le cordicelle , usate nell’impero Inca nelle Ande peruviane per registrare calcoli e informazioni, come metodo alternativo alla scrittura. quipu  >> pagina 235  3.2 LE TEORIE LOCALI DELLA PAROLA Bronisław Malinowski, durante la sua ricerca sul campo fra gli isolani delle Trobriand nel Pacifico occidentale, si accorse di un fenomeno molto importante dal punto di vista antropologico: in quella società a oralità primaria le parole pronunciate in particolari circostanze, come formule magiche, racconti, miti, discorsi morali, si caricavano di un potere causativo diretto: come se . Malinowski sostenne che quel tipo di linguaggio si avvicinava più alla sfera dell’azione che non a quella del pensiero. il “dire” fosse quasi un “fare” Molti studiosi dimostrarono successivamente che nelle culture orali, in assenza di scrittura, , nel senso che “accadono” in un tempo preciso, cioè nel momento in cui vengono pronunciate, per poi svanire. le parole sono degli eventi gli agricoltori baruya della Nuova Guinea attribuiscono un potere straordinario all’utilizzo dei nomi; per contrastare la presenza di parassiti tra le piante dei loro orti, essi attuano una sorta di “rituale magico” in cui la pronuncia dei nomi segreti delle specie servirebbe a scacciarle. Ritengono infatti che i nomi propri, i nomi di oggetti o di divinità abbiano un potere di controllo effettivo sulle cose e sulle persone. Esempio: Le credenze e le azioni rituali che in una cultura definiscono le potenzialità delle parole vengono chiamate dagli antropologi . teorie locali della parola molto significativo il caso della popolazione dogon del Mali (Africa occidentale) studiata dall’antropologo francese (1898-1956) fra gli anni Trenta e Quaranta del Novecento e successivamente da sua figlia (1924-2013), anche lei antropologa. Per i Dogon la parola è costituita da quattro elementi: Esempio: Marcel Griaule Genéviève Calame-Griaule l’acqua che la “inumidisce”; l’aria che la rende vibrazione sonora; la terra che le conferisce peso; il fuoco che le dà calore come riflesso delle emozioni di chi parla. La concezione dogon della parola è molto complessa: il tono con cui essa si manifesta è detto e rappresenta il della parola stessa, il nesso diretto con la struttura psichica di ogni individuo. Il non esiste di per sé, si manifesta solo attraverso il , la voce, con cui si lega in un gran numero di combinazioni; da questo ne derivano: la voce pesante, quella “grossa”, la voce irritata, alta, debole e così via. kikinu soffio kikinu mì In molte culture a oralità diffusa l’intera cosmologia nativa si può esprimere attraverso una teoria locale della parola, in cui la parola ha un potere creativo e fecondante. ⇒ |  T3 p. 252 La teoria della parola dogon Un mercato dogon nel Mali, in Africa occidentale. Il popolo dogon divenne noto nella letteratura etnografica grazie ai lavori di M. Griaule e di sua figlia Genéviève, i quali si soffermarono sulla particolare concezione della parola dei Dogon.  >> pagina 236  3.3 ORALITÀ, MEMORIA E SCRITTURA Nelle culture a oralità diffusa vi è un . Le ricerche dello psicologo russo Lev Vygotskij (1896-1934), negli anni Trenta del secolo scorso, hanno mostrato che i processi psichici non dipendono solo dall’attività mentale del soggetto e non possono essere separati dal contesto della sua vita reale. Lo sviluppo del pensiero umano non è qualcosa di puramente naturale, è invece il . nesso immediato fra parola ed esperienza prodotto dell’interazione fra processi psichici e processi socioculturali Nello stesso periodo, seguendo l’impostazione di Vygotskij, un altro importante psicologo russo, Aleksandr Lurija (1902-1977), condusse delle ricerche in Uzbekistan per indagare in una cultura a oralità diffusa la relazione fra l’attività cognitiva dei soggetti e il loro contesto concreto d’esperienza. Lurija chiese a diversi gruppi di individui di osservare alcuni oggetti di uso quotidiano: un’ascia, un martello, una sega e un ceppo, chiedendo loro di separare gli oggetti che potevano essere qualificati con lo stesso termine, per esempio “strumento”. Essi dichiararono che i quattro oggetti appartenevano a un unico ambito pratico indivisibile, in quanto erano molto simili tra loro: la sega serviva per tagliare il ceppo e l’ascia per farlo a pezzi. Alla richiesta di quale oggetto poteva essere escluso, sceglievano l’ascia perché meno utile della sega. E quando Lurija fece notare che il ceppo non era classificabile come “strumento” precisarono: «Sì, ma anche se abbiamo gli strumenti, il legno ci vuole, perché senza legno non si costruisce nulla». Questo dimostra come la comunicazione e la trasmissione delle conoscenze hanno per queste popolazioni un piuttosto che astratto. carattere concreto Sulla base di questi importanti contributi della psicologia cognitiva, l’antropologo britannico , svolgendo numerose ricerche etnografiche in Africa, in Ghana e in Costa d’Avorio, fra le popolazioni Lodagaa, Lowiilii e Gonja, dimostrò che gli esseri umani possiedono tutti le , ma, in un contesto culturale a oralità primaria, gli individui non pensano in termini di figure geometriche, categorie o definizioni astratte, afferrabili come tali solo da un pensiero che è stato influenzato dalla scrittura. Goody sostiene che la scrittura, laddove si è diffusa, ha agito come una specie di « »: essa consente di riflettere in modo sistematico su parole e frasi fissate in un testo scritto, e ciò paradossalmente comporta l’ a quanto viene affermato nel testo stesso. La possibilità di rileggere più volte un testo scritto sviluppa infatti la capacità di immaginare altri modi e parole per dire la stessa cosa o per dire cose completamente differenti. Questa flessibilità si riduce molto se la scrittura è considerata : in questo caso il . Jack Goody |  ▶  L’AUTORE | stesse potenzialità intellettive domesticamento del pensiero aumento della possibilità di immaginare delle alternative sacra testo diventa indiscutibile il Corano, il libro dell’Islam , p. 373 , è considerato “parola di Dio”, non un testo semplicemente “ispirato” da Dio. Il Corano deriva da una riforma del califfo Othman alla metà del VII secolo, quando un gruppo di eruditi e uomini di religione stabilì quali parti del testo si sarebbero dovute considerare autentiche: ciononostante il Corano resta parola di Dio, interpretabile, ma non discutibile. Esempio: sacro |  ▶  unità 9 |   Jack Goody l’autore Jack Goody (1919-2015) è stato uno degli antropologi sociali più importanti e poliedrici del XX secolo. Nasce a Londra e si forma in letteratura inglese al St. John College di Cambridge, dove interrompe gli studi nel 1940 per combattere in Nordafrica durante la Seconda guerra mondiale. Durante la guerra, nel 1942, viene catturato dai tedeschi e trascorre due anni e mezzo di prigionia tra Libia, Italia e Germania. La lettura del di Frazer e dei lavori dell’archeologo Gordon Childe (1892-1957) lo portano a interessarsi all’antropologia. Dopo la sua liberazione nel 1946, inizia gli studi a Oxford dove viene influenzato dalla scuola funzionalista di Evans-Pritchard e Meyer Fortes (1906-1983). Nel decennio successivo, compie varie ricerche di campo in Ghana e pubblica molti articoli e libri che spaziano da parentela e matrimonio a oralità, scrittura e rappresentazione; a tecnologia e cultura materiale. Nel 1954 completa il dottorato a Oxford e diventa assistente di Fortes a Cambridge per poi succedergli nel 1973, ottenendo la cattedra di antropologia sociale. Si ritira nel 1984 e muore a Cambridge nel 2015. Tra le pubblicazioni più importanti ricordiamo: (1977); (1997); (2004). Ramo d’oro L’addomesticamento del pensiero selvaggio Oltre i muri. La mia prigionia in Italia Capitalismo e modernità. Il grande dibattito Nasce a Londra 1919 Viene fatto prigioniero dalle truppe tedesche in Libia 1942 Completa il dottorato a Oxford e diventa assistente di M. Fortes a Cambridge 1954 Pubblica 1977 L’addomesticamento del pensiero selvaggio Pubblica 1997 Oltre i muri. La mia prigionia in Italia Pubblica 2004 Capitalismo e modernità. Il grande dibattito Muore a Cambridge 2015  >> pagina 238  Conservare e tramandare un patrimonio di conoscenze Le culture a oralità primaria e diffusa presentano dunque tecniche altamente elaborate di e di . Come ha evidenziato lo studioso statunitense (1912-2003), nel celebre volume (1982), queste tecniche consentono di pensare per che assicurano un rapido recupero orale, come proverbi e ripetizioni. conservazione della memoria trasmissione del sapere Walter J. Ong Oralità e scrittura moduli mnemonici l’ , scritta in cuneiforme fra il 2600 e il 2500 a.C. è una splendida narrazione poetica delle gesta eroiche di Gilgameš, re sumerico di Uruk, in Mesopotamia, composta da forme tipiche della poesia orale, come la ripetizione, parola per parola, di passi lunghi, descrittivi o di dialogo, intese a facilitare la recitazione. Non sappiamo per quanto tempo il poema sia stato recitato, ma il fatto che quei passi si siano conservati, secondo Ong, fa pensare che per un certo periodo la tradizione orale si sia mantenuta parallela a quella scritta. Esempio: epopea di Gilgameš Studiando il rapporto fra oralità e scrittura, il linguista statunitense Milman Parry (1902-1935) rivoluzionò negli anni Venti del Novecento gli studi su . Secondo Parry, l’ e l’ nacquero in una cultura orale, in una società che non conosceva ancora la scrittura. Egli analizzò le cosiddette “formule” dei poemi omerici: gruppi di due o più parole, come la formula “nome più epiteto” (“Il pelide Achille”), che si ripetono immutati o con minime variazioni per adeguarsi al racconto o alla metrica, riferiti a temi ricorrenti come l’eroe, la battaglia o lo scudo dell’eroe. Queste formule consentivano ai rapsodi, i cantori professionisti dell’antica Grecia, di imparare più facilmente i versi a memoria. Legando insieme le varie formule, erano in grado di recitare l’intero poema ogni volta con pochissime variazioni. Gli studi di Parry misero fortemente in dubbio l’esistenza stessa di Omero, in quanto questo sistema non poteva essere il risultato della composizione da parte di un singolo autore, ma era venuto formandosi col passare dei secoli e con il contributo di un numero indefinito di anonimi recitatori. Omero Iliade Odissea Gli studiosi hanno mostrato che anche nei testi biblici si può notare la presenza di elementi formulaici di tipo orale; la loro conservazione dimostra che la , pur essendo formata da libri differenti per origine, composizione, lingua e datazione, deriva da una lunga tradizione orale. Bibbia Se la scrittura amplia moltissimo la capacità di conservare una massa enorme di ricordi anche inutili, nelle culture orali ciò che viene ricordato, una leggenda, un mito, un racconto, ha sempre un’utilità in riferimento all’oggi, . un significato e un nesso diretto nel presente le tradizionali nel mondo contadino, ovvero le sere invernali trascorse dalla famiglia intorno al focolare, sino a non molto tempo fa, trasmettevano di generazione in generazione gesti e parole essenziali per la vita quotidiana. Esempio: veglie ⇒ |  T4 hasidim p. 254 Una storia  ⇒ |  T5 p. 256 Gilgameš piange per la morte dell’amico Enkidu  >> pagina 239    Laura Faranda, , Jaca Book, 1992 INVITO ALLA LETTURA   Le lacrime degli eroi. Pianto e identità nella Grecia antica Laura Faranda, esperta di antropologia del mondo classico, in questo libro esplora in modo avvincente l’influenza che ha esercitato la logica della scrittura sulle modalità di espressione delle emozioni più profonde legate al dolore e al pianto, in particolare nella Grecia antica. L’autrice indaga le rappresentazioni scritte del piangere, nella costruzione culturale della sfera emotiva maschile e femminile, dall’epica di Omero alla produzione tragica di Eschilo. La scrittura nella costruzione di un’identità culturale L’introduzione della scrittura nelle culture a oralità primaria non ha comportato soltanto una ristrutturazione del pensiero e del ricordo, ma è stata spesso determinante anche nei processi di , p. 155 . costruzione dell’identità etnica |  ▶  unità 4 | uno degli esempi più interessanti è il movimento studiato da . Questo movimento si è sviluppato in Mali (Africa occidentale) e si è diffuso tra le popolazioni mandingo islamizzate nella seconda metà del Novecento, all’interno del contesto storico-politico dei movimenti post-coloniali volti a “restituire l’Africa agli africani”. L’intento di N’Ko era quello di rivendicare una propria identità storica e culturale in contrapposizione alle identità europea e araba. Molti africani, infatti, anche se musulmani, rifiutavano categoricamente l’identificazione dell’islam con il mondo arabo e per prenderne le distanze in modo netto, Suleiman Kanté, guida del movimento, iniziò a utilizzare la , inventando un per gli aderenti al movimento N’Ko. Questo alfabeto era simile a quello latino, con lettere sempre uguali (la loro grafia non cambia a seconda che si trovino all’inizio, nel mezzo o alla fine della parola, come avviene invece nella scrittura araba) e con vocali scritte, che invece mancano nell’alfabeto arabo. L’unica somiglianza con l’alfabeto arabo stava nella necessità di leggere da destra verso sinistra. Esempio: N’Ko Jean-Loup Amselle scrittura in senso politico nuovo alfabeto È molto significativo in questo caso notare come, attraverso la scrittura, memoria e identità oscillino sempre in un alternarsi di vicinanza e di distanza fra l’identità culturale ereditata dal colonialismo europeo e quella derivante dalla precedente islamizzazione da parte degli arabi. L’alfabeto N’Ko.  >> pagina 240  3.4 LA MORTE DI UNA LINGUA L’estinzione linguistica non è un fenomeno nuovo, pensiamo per esempio alla diffusione del latino che, secondo alcuni studiosi, provocò la scomparsa di forse cinquanta o sessanta lingue locali parlate nell’area mediterranea prima del 100 a.C. Oggi molti antropologi fanno parte di progetti volti a quelle lingue che corrono il rischio di estinguersi perché parlate da un numero sempre più esiguo di persone. Per un antropologo, infatti, la sparizione di una lingua coincide con un inevitabile impoverimento culturale. conservare e rivitalizzare Il processo di estinzione di una lingua avviene gradualmente in quattro fasi, in cui la lingua: subisce un , che si può notare dal fatto che i parlanti dispongono di un vocabolario sempre più limitato e ricorrono sempre più spesso all’uso di un’altra lingua che conoscono perfettamente o molto bene; progressivo declino viene definita , quando è parlata da meno di diecimila persone; attualmente molte comunità si trovano in questa situazione e sono coinvolte in programmi di rivitalizzazione linguistica: per esempio i parlanti kiowa nell’Oklahoma (Stati Uniti) o coloro che utilizzano i linguaggi indigeni dei segni in Australia, ma anche i parlanti irlandesi nel Regno Unito; a rischio diviene , quando soltanto pochi anziani la parlano; prossima all’estinzione si considera , quando nessuno riesce più a parlarla correttamente. estinta L’antropologo australiano (n. 1949) ha analizzato la complessità della situazione in cui si trovano oggi molte lingue indigene parlate in comunità che hanno subito devastanti processi di colonizzazione. Michael Walsh È possibile affrontare in modo unitario il problema della rivitalizzazione di una lingua solo se tutte le comunità si trovano entro i confini dello stesso Stato nazionale, come per esempio accade in Guatemala. In questo caso la maggioranza delle popolazioni parla le lingue maya, strettamente imparentate fra loro, e nelle scuole sono già attive alcune iniziative per ottenere il riconoscimento ufficiale delle loro lingue native. Se invece i confini coloniali separano i membri di una comunità linguistica, spesso accade che da una parte del confine la rivitalizzazione della lingua indigena trovi miglior sostegno rispetto all’altra parte: per esempio i parlanti della lingua ojibwa ricevono un sostegno maggiore in Canada che negli Stati Uniti, o i parlanti quechua hanno differenti forme di sostegno in Ecuador, Bolivia e Perù. Ma la rivitalizzazione delle lingue indigene incontra spesso difficoltà legate anche a : alcuni governi si oppongono alla conservazione e alla rivitalizzazione delle lingue native per timore che ciò possa favorire lo sviluppo di movimenti identitari locali, e molti altri sono poco disponibili a impiegare risorse finanziarie per il sostegno di programmi linguistici a favore delle comunità indigene. fattori politici Spesso la violenza dei processi di colonizzazione è causa diretta dell’estinzione di una lingua, come è accaduto fra i Sámi della Lapponia. La poetessa russa contemporanea (1934-1990) ha scritto poesie molto intense su questo tema , p. 244 . Oktjabrina Voronova |  ▶  APPROFONDIAMO | I sistemi di rivitalizzazione linguistica si avvalgono dell’ , oppure dell’apprendimento basato sulla relazione fra maestro e apprendista (in cui un anziano insegna la propria lingua a un solo studente alla volta), e anche di servizi di supporto all’insegnamento linguistico in rete. Ma tutti questi sistemi richiedono molta cautela, perché per esempio i metodi efficaci per i gruppi alfabetizzati, come i francofoni del Québec, possono risultare del tutto inappropriati per coloro che parlano lingue prive di una lunga tradizione di alfabetizzazione, come nel caso delle lingue indigene delle Americhe o dell’Australia. istituzione scolastica La rivitalizzazione linguistica è spesso ostacolata anche nel contesto nativo locale perché molti genitori anziché tentare di mantenere viva la loro lingua morente scelgono di assicurare ai figli l’alfabetizzazione in una lingua che offra loro la possibilità di affermazione economica e mobilità sociale. In altre culture la lingua tradizionale è utilizzata oggi soltanto in contesti rituali per rivolgersi alle autorità religiose locali, anche se alcuni gruppi indigeni non concordano con la riduzione a un uso solo cerimoniale di quella che un tempo era una modalità comunicativa pienamente funzionale. Va ricordato infine che, accanto al pericoloso fenomeno di morte linguistica, continuano a nascere nuove lingue derivanti dai processi di pidginizzazione e creolizzazione di cui abbiamo già parlato. Oggi, la sempre maggiore applicazione delle tecnologie digitali per la comunicazione rischia di incrementare una sorta di nuovo per fasce d’età, dato che molti anziani fanno fatica a imparare l’uso di Internet. Allo stesso tempo, secondo alcuni antropologi e sociologi, la diffusione del computer e l’uso sempre più frequente dei social media stanno provocando il ritorno nella civiltà contemporanea a forme di . analfabetismo “informatico” ▶  oralità secondaria : detta anche “oralità di ritorno”, descrive la situazione in cui la maggior parte dei messaggi è affidata all’uso dei   radiotelevisivi e di Internet, per cui la forma di comunicazione prevalente torna a essere legata all’oralità, ma con una voce “mediata” dai mezzi tecnologici. oralità secondaria media Nel tentativo di rivitalizzazione di una lingua che rischia di estinguersi sono fondamentali il ruolo della scuola o gli insegnamenti degli anziani, anche se non sempre risultano efficaci.   Lingue in via di estinzione o già estinte in Europa approfondiamo A rischio In pericolo di estinzione In grave pericolo di estinzione Estinta Albania Arumeno Giudesmo Lingua romanì Lingua torlak Algeria Giudesmo Lingua sendi Lingua chenoua Lingua tamazight Tayurayt Austria Alemanno Bavarese Croato del Burgenland Lingua romanì Yddish Bielorussia Bielorussoo Polesiana Yddish Belgio Champenois Fiammingo occidentale Limburgish Lingua lorena Mosellano Lingua piccarda Lingua vallone Yddish Bosnia ed Erzegovina Giudesmo Lingua romanì Bulgaria Arumeno Lingua gagausa Giudesmo Lingua romanì Lingua tatara di Crimea Lingua torlak Croazia Albanese di Arbanasi Dalmata Giudesmo Istriota Istro-rumeno Lingua romanì Lingua rusyn pannonica Veneto Danimarca Olandese basso sassone Lingua jutlandica meridionale Scanica Yddish Estonia Lingua romanì Lingue voro e seto Yddish Finlandia Lingua careliana Oloneziano Lingua romanì Yddish Francia Alemanno Alvernese Basco Borgognone Bretone Champenois Lingua corsa Dialetto guascone Fiammingo occidentale Francoconteese Francoprovenzale Francone del Reno Gallo Ligure Limosino Occitano Lorenese Mosellano Normanno Lingua piccarda Provenzale alpino Provenzale Lingua romanì Lingua vallone Yddish Georgia Urum Germania Alemanno Bavarese Lingua francone Francone del Reno Lingua frisone settentrionale Limburgish Mosellano Olandese basso sassone Lingua romanì Frisone orientale Lingua soraba Lingua jutlandica del Sud Yddish Grecia Arumeno Lingua arvanitica Greco cappadociano Giudeo-corfiota Lingua gagausa Giudesmo Lingua meglenorumena Lingua romanì Dialetto zaconico Irlanda Irlandese Isole Faroe Lingua faroese Italia Alemanno Arbëreschë Bavarese Sardo campidanese Cimbra Lingua corsa Catalano algherese Croata molisana Emiliano Romagnolo Faetanoo Francoprovenzale Friulano Gallurese Grico Dialetti italiani meridionali Ladino Ligure Lingua mochena Lombardo Occitano Piemontese Dialetto resiano Lingua romanì Dialetti galloitalici di Sicilia Sardo logudorese Sassarese Siciliano Lingua Töitschu Veneto Yddish Lettonia Bielorusso Lingua letgalla (dialetto lingua lettone) Livone Lingua romanì Yddish Liechtenstein Alemanno Lituania Bielorusso Lingua Karaim (dialetto di Crimea) Yddish Lussemburgo Mosellano Lingua vallone Yddish Macedonia del Nord Arumeno Lingua gagausa Giudesmo Lingua maglenorumena Lingua romanì Lingua torlak Marocco Lingua Gohomana Giudesmo Senhaja di Srairo Moldavia Lingua gagausa Yddish Montenegro Lingua romanì Norvegia Sami meridionale Yddish Paesi Bassi Fiammingo occidentale Frisone occidentale Limburghese Basso sassone olandese Lingua Romanì Yddish Polonia Bielorusso Lingua casciuba Olandese basso sassone Polesiano Lingua romanì Lingua rutena Slovinzo Lingua vilamoviana Yddish Portogallo Asturiano-leonese Principato di Monaco Ligure Regno Unito Lingua cornica Jèrriais Auregnais Gaelico Gallese Guernesiais (francese normanno di Guernsey) Irlandese Lingua mannese Lingua romanì Scozzese Yddish Repubblica Ceca Bavarese Lingua francone Lingua romanì Yddish Romania Bulgaro del Banato Ungherese ciango Lingua gagausa Giudesmo Lingua romanì Lingua rutena Lingua tartara di Crimea Lingua torlak Sannone di Transilvania Yddish Russia Bielorusso Ciuvascio Lingua careliana Lingua erza Sirieno Lingua ingrica Lingue voro e seto Lingua tataro delle Yurte Lingua karagas (uralico) Lingua letgalla (dialetto lingua lettone) Lingua moksa Lingua nogai Lingua olonetsian Vepsa Votico Mari occidentale Mari orientale Olandese basso sassone Ludo Urum Lingua romanì Yddish San Marino Emiliano Romagnolo Serbia Arumeno Bulgaro Banat Giudesmo Lingua romanì Lingua rutena di Voivodina Lingua torlak Slovacchia Croato del Burgenland Lingua romanì Lingua rutena Yddish Slovenia Tedesco di Gottschee Lingua romanì Veneto Spagna Aragonese Basco Dialetto guascone Leonese asturiano Svezia Gutnico Scania Sami del Sud Yddish Svizzera Alemanno Bavarese Francoconteese Francoprovenzale Lombarda Lingua romanì Lingua romancia Yddish Tunisia Sendi Berbero Turchia Armeno occidentale Lingua gagausa Giudesmo Lingua ubykh Lingua romanì Ucraina Bielorusso Lingua tartara di Crimea Lingua turca di Crimea Slovacco orientale Lingua gagausa Lingua Karaim (dialetto di Crimea) Greco di Mariupol Lingua nogai Lingua Plautdietsch Polesiana Lingua romanì Lingua rutena Urum Yddish Ungheria Bavarese Croato del Burgenland Lingua romanì Lingua rutena Yddish  >> pagina 243    Sofia Jannok, (“Dalle braci”),  2009 INVITO ALL’ASCOLTO   Áššogáttis I canti tradizionali dei pastori sámi della Lapponia, chiamati , si basano su una melodia “centrica” chiamata . Il centro tonale può essere la nota FA, su cui ricorrono in modo oscillante dei suoni superiori, il SOL bemolle, e inferiori, il MI oppure il DO, con numerose possibilità di variazione. Si utilizzano in tante occasioni per esprimere socialmente emozioni di allegria, di dolore o di lutto. Possono essere senza parole e hanno una fortissima carica espressiva. Questi canti conservano anche oggi un alto valore di bene culturale. Sofia Jannok, giovane cantautrice sámi svedese compone in forma pop reinventando in modo creativo la tradizione musicale del suo popolo. joike vuolle joike per lo studio Che differenza c’è fra una cultura a oralità primaria e una a oralità diffusa? 1. Che cos’è una “teoria locale della parola”? 2. Quali sono le fasi in cui si manifesta la scomparsa di una lingua? 3.     Per discutere INSIEME Pensa alla lingua o alle lingue, anche dialetti, che parlano i tuoi nonni e i tuoi genitori e rifletti sulla lingua/lingue che utilizzi per comunicare con loro. Quali differenze noti? Qual è la lingua/dialetto dominante e che impatto ha sulla tua “identità”? Discuti di queste differenze in classe con i tuoi compagni.