Rispetto, invece, alla , secondo una ricerca Eurostat del 2019, a livello europeo il medio, ovvero il , arriva quasi al 40% (in Italia è il 43%). Ciò significa che, mediamente, lo stesso lavoro viene pagato quasi la metà se a svolgerlo è una donna invece che un uomo. Inoltre, la presenza delle donne in posizioni lavorative apicali e di prestigio (manager, organi decisionali, medici primari, docenti universitari e via dicendo) è ancora piuttosto ridotta se confrontata con il numero degli uomini. Per esempio, in ben quattordici paesi dell’Unione Europea (tra i quali Germania, Danimarca, Svezia e Regno Unito) nessuna delle grandi imprese ha una presidente donna. Nell’ambito universitario, nonostante le donne che portano a termine un dottorato di ricerca (il più alto titolo di studio nel sistema universitario) siano spesso più degli uomini, quelle che riescono a raggiungere il ruolo di professore ordinario (il ruolo più alto nella carriera accademica) sono molto poche: in Italia, nel 2017, 12.890 professori ordinari erano uomini e solo 2.970 erano donne. Peraltro, come mostra il grafico, se sino al dottorato e agli assegni di ricerca la quantità di uomini e donne sostanzialmente si equivale, è proprio a partire dalle posizioni lavorative più strutturate di ricercatore a tempo determinato (RUTD) e di professore associato (PA) che viene a crearsi la forbice che porta a una netta disparità tra il numero di ordinari (PO) uomini e donne. segregazione verticale gender pay gap divario salariale tra uomini e donne a parità di ruolo e di mansione lavorativa Percentuale di uomini e donne, divisi per ruolo, presenti nell’università italiana (dati Miur).