APPROFONDIAMO IL RAZZISMO Il razzismo è una concezione fondata sull’erroneo presupposto che persone con tratti fisici o comportamentali tra loro molto diversi appartengano a razze umane diverse e che alcune razze siano superiori ad altre. Tale presupposto è erroneo in quanto non c’è alcun modo di distinguere o prevedere da un punto di vista genetico il colore della pelle o il comportamento delle persone, cosa che invece è possibile fare, per esempio, per le diverse razze di cani o gatti. Se il razzismo fa la sua comparsa nel 1800 come teoria, la tendenza a discriminare i “diversi” (nazioni, culture, classi sociali inferiori) è antichissima: i romani definivano “barbari” i popoli che non parlavano la loro lingua; per secoli gli ebrei vennero perseguitati dai cristiani perché accusati dell’uccisione di Cristo; i colonizzatori consideravano gli indios americani e gli africani esseri più vicini alle bestie che agli uomini. Il primo testo “scientifico” a proporre l’idea che l’umanità si dividesse in diverse razze fu il (1853-1855) di Joseph Arthur de Gobineau, un aristocratico francese che sosteneva la superiorità biologica e morale della “razza ariana”. All’incirca negli stessi anni, Spencer trasferiva a livello sociale il principio evoluzionista di Darwin, sostenendo che è la società stessa a selezionare gli individui “più adatti” (e quindi “migliori”). Sempre nella seconda metà dell’Ottocento, iniziarono a essere condotte misurazioni che avrebbero dovuto rivelare l’intelligenza e la moralità di diversi tipi di individui. Sulla scia di tali studi, Cesare Lombroso, medico e scienziato sociale italiano, sostenne che fosse possibile rintracciare nelle caratteristiche fisiche delle persone la loro predisposizione ai comportamenti devianti e che gli italiani meridionali fossero biologicamente più predisposti alla delinquenza dei settentrionali. L’espressione più tragica del razzismo si ebbe con la Germania nazista (1933-1945), quando Adolf Hitler cercò di realizzare la supremazia della razza ariana, sterminando nei campi di concentramento 6 milioni gli ebrei (considerati “subumani”). Le leggi razziali furono adottate anche dall’Italia fascista (1938), che contribuì alla deportazione nei campi di concentramento degli ebrei italiani. Nel dopoguerra, molti popoli si liberarono dal colonialismo, ma in Sudafrica la minoranza bianca instaurò il regime dell’apartheid, costringendo la maggioranza nera a vivere segregata in ghetti. Le battaglie del partito dell’African National Congress e del suo leader Nelson Mandela, assieme alla condanna dell’Onu e dell’opinione pubblica internazionale, portarono nel 1990 all’abolizione dell’apartheid, ma situazioni di discriminazione su base etnica continuano a verificarsi ancora oggi in diverse parti del mondo (per esempio, da parte del governo israeliano nei confronti del popolo palestinese). In particolare, forme di pulizia etnica continuano purtroppo a ripresentarsi in occasione di guerre e conflitti etnici, come, per esempio, quella che ha coinvolto serbi, croati e albanesi del Kosovo durante la guerra nella ex Jugoslavia. Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane Un cartello del periodo dell’apartheid che segnala l’uso esclusivo della spiaggia alle persone di pelle bianca; Sudafrica, 1974.