magico può essere compreso solo in relazione all angoscia umana della perdita della presenza. La presenza a cui si riferisce De Martino è un concetto complesso in cui confluiscono le riflessioni di importanti filosofi del Novecento come Karl Jaspers (1883-1969) e Martin Heidegger (1889-1976) | APPROFONDIAMO|. Gli esseri umani sentono costantemente il bisogno di affermare la loro presenza, il loro esserci, per esempio di fronte al dolore di un lutto: la morte è il fenomeno che più di tutti genera un angoscioso senso di impotenza e di annientamento. Per De Martino il pensiero magico è il primo tentativo degli esseri umani di stabilire concretamente una loro forma di presenza nel mondo, perché la credenza nella magia dà il senso di poter agire direttamente sugli eventi, specie quelli dolorosi e ineluttabili. APPROFONDIAMO ERNESTO DE MARTINO E IL CONCETTO DI PRESENZA Uno dei principali obiettivi di Ernesto De Martino fu quello di riformare l etnologia ponendo al centro dell indagine storico-antropologica gli istituti culturali delle masse popolari. Questo intento cominciò a prendere forma con la pubblicazione del Mondo magico (1948), in cui l autore si dedicò alla ricostruzione della struttura del magismo come momento di sviluppo della storia dello spirito. La magia viene qui intesa come una forma di controllo culturale della natura, un insieme di tecniche volte a proteggere l uomo dal permanente rischio di perdere la propria presenza nel mondo. Il concetto di presenza , centrale in tutta la produzione demartiniana del secondo dopoguerra, trae spunto da una nozione del filosofo contemporaneo tedesco Martin Heidegger: l esserci (Dasein), con cui l autore designava la condizione umana, caratterizzata dall essere-nel-mondo . Per De Martino, essere-nel-mondo significa essere consapevolmente presenti nella storia partecipando al progetto di vita insieme che fonda la società. La presenza costituisce la base dell azione umana poiché coincide con la capacità di scegliere in modo culturalmente coerente, secondo valori condivisi. La perdita della presenza, al contrario, indica l incapacità di reagire al mondo e oltrepassare una data situazione critica, vinti dalla minaccia di non poter più esistere in alcun mondo possibile. La crisi della presenza può essere scatenata da diversi tipi di cause, vissute sia a livello individuale, come un lutto o un ruolo sociale opprimente, sia a livello collettivo, come l incertezza del raccolto nel mondo contadino. In Morte e pianto rituale (1958), per esempio, De Martino affronta il tema della morte presso i contadini lucani, individuando nel lamento funebre l istituto culturale che permette di trascendere l evento luttuoso nei valori condivisi dalla comunità. Nel saggio La terra del rimorso (1961), invece, l etnologo interpreta il tarantismo pugliese (sindrome isterica attribuita popolarmente al morso della taranta, un tipo di ragno) come un esorcismo coreutico-musicale, cioè un rituale codificato fatto di danza e musica, in grado di offrire a traumi personali e conflitti irrisolti un orizzonte formale di deflusso. Nel pensiero dell autore, la cultura risulta essere la soluzione più efficace di fronte alla minaccia dell isolamento esistenziale a cui la crisi della presenza conduce. Il legame sociale, che si esprime e si rafforza nei riti collettivi, viene quindi concepito come la forma suprema di cura e l unica garanzia di sanità. | L esperienza del credere | 59
APPROFONDIAMO – Ernesto De Martino e il concetto di “presenza”