T3 James Clyde Mitchell La danza kalela In questo saggio del 1956, l’antropologo Clyde Mitchell parte dalla danza popolare per costruire un’analisi della struttura sociale urbana della Copperbelt, una regione in rapida trasformazione dell’Africa centrale (allora protettorato britannico). La danza, con le sue peculiari caratteristiche, rivela che le affiliazioni tribali non sono l’unico sistema di valore a influenzare le relazioni sociali tra gli abitanti di queste città. kalela , Rhodes-Livingstone Institute, Manchester University Press, 1956; traduzione italiana nostra, pp. 1-2, 5, 9 The Kalela Dance. Aspects of Social Relationships among Urban Africans in Northern Rhodesia è il nome di una popolare danza “tribale” della Copperbelt della Rhodesia Settentrionale. Alcune caratteristiche sorprendenti di questa danza hanno attirato la mia attenzione mentre stavo conducendo ricerca sul campo, ed ho deciso di utilizzarla come mezzo per un’indagine più ampia sul tribalismo e su altre caratte-ristiche delle relazioni sociali tra gli Africani delle città della Rhodesia Settentrionale. […] Inizierò fornendo una descrizione della danza , per poi collegare le sue caratteristiche principali al sistema di relazioni degli Africani della Copperbelt. A tal fine, prenderò in esame, almeno in parte, il sistema generale delle relazioni tra Bianchi e Neri nella Rhodesia Settentrionale. […] Nella Copperbelt […] la danza “tribale” è un tratto saliente della vita africana. […] Ogni distretto […], località od area ha un suo campo dove gruppi di danzatori di diverse tribù si esibiscono ogni domenica pomeriggio durante le festività pubbliche […]. La danza più popolare di tutte è la , che viene eseguita dovunque nella Copperbelt da persone provenienti dalla Provincia Nord della Rhodesia Settentrionale. Nel 1951 ho potuto assistere a diverse danze eseguite da un gruppo Bisa. […] Il gruppo si componeva di diciannove giovani. Il costume dei ballerini ordinari consisteva di pantaloni ben stirati, canottiere linde, e scarpe tirate a lucido. Alcuni tenevano dei fazzoletti bianchi nella mano destra. I capelli erano pettinati con cura con una riga in parte ben definita. In sostanza, si trattava di giovani uomini vestiti elegantemente in stile europeo. Il gruppo danzava con l’accompagnamento di tre grandi tamburi, costruiti utilizzando barili da quarantaquattro galloni ricoperti di pelle di vacchetta. Due percussionisti suonavano i tamburi con bastoni a forma di banana lunghi circa due piedi. Il suono dei tamburi poteva essere udito a miglia di distanza – all’interno del campo dove si svolgeva la danza [il rumore] era assordante. […] La danza si componeva di piccoli passi strascicati accompagnati da una lieve oscillazione del corpo verso l’interno. Ad intervalli regolari, il leader della band interrompeva il suono dei tamburi soffiando forte in un fischietto da calcio, al che i ballerini si voltavano all’unisono verso i tamburi. Per una parte della danza i tamburi tacevano mentre i danzatori cantavano una canzone. […] Una delle ragioni della popolarità delle canzoni è il loro contenuto. I versi sono arguti ed attuali. […] Ci sono quindi alcune caratteristiche ben definite delle canzoni dei danzatori . […] I danzatori sono tutti giovani uomini single molto attenti al loro aspetto. Le loro canzoni sono dirette in particolare alle donne e i ballerini non si trattengono dal richiamare l’attenzione delle donne verso la propria desiderabilità. Una seconda caratteristica delle canzoni è il chiaro riconoscimento della diversità etnica tra le popolazioni urbane. Ciò avviene in due forme. La prima è che i danzatori enfatizzano la bellezza della loro terra d’origine e celebrano le proprie virtù. La seconda forma è l’inverso di ciò, ovvero vengono sottolineate e messe in ridicolo le peculiarità di altre lingue e di altri costumi. Kalela kalela Kalela kalela kalela