La lingua LA CODIFICAZIONE DEL VOLGARE Tra norma e trasgressione Come abbiamo visto, il successo delle Prose della volgar lingua conferì a Pietro Bembo il ruolo di grande regolarizzatore della lingua letteraria italiana. La sua tesi arcaizzante, fondata sul modello di Petrarca e Boccaccio, prevalse su tutte le altre, anche se non mancarono in tutto il corso del Cinquecento letterati che si mostrarono con le loro opere estranei o ostili al suo classicismo restrittivo. La sperimentazione e il plurilinguismo affiorano nella mescolanza del latino e del volgare tipica del linguaggio maccheronico e in molte commedie che danno voce a intellettuale & società personaggi e ambienti sociali e culturali diversi, senza trascurare sorprendenti incursioni nel dialetto (così avviene, per esempio, nelle opere teatrali di Pietro Aretino, di Giordano Bruno o di autori minori come il napoletano Giambattista Della Porta). Un regolismo dilagante Tuttavia il carattere normativo della cultura controriformistica accentua ulteriormente il desiderio di uniformare caratteri e stili dell espressione letteraria. Si parla, a questo proposito, di un vero e proprio regolismo : ogni aspetto della lingua doveva essere soggetto a una codificazione precisa e priva di eccezioni. Significativo, per esempio, è il dibattito sorto sull uso dell articolo: davanti a consonante era opportuno usare la forma il o quel- IL DIFFICILE MESTIERE DELL ARTISTA Un impiegato senza prestigio Nella corte, sempre più ridotta a centro privato di fastose cerimonie e a luogo di potere gestito da un apparato burocratico, l intellettuale non svolge più alcuna funzione attiva: relegato a un ruolo del tutto marginale, non può che adattarsi a esercitare mansioni disimpegnate, finalizzate all intrattenimento o all educazione, prestando attenzione a non contravvenire alle rigide norme dell etichetta. Il processo di subordinazione al potere politico era già iniziato in epoca umanistico-rinascimentale. Ma ora, venuto meno il legame privilegiato con il signore-mecenate, l artista è uno stipendiato come gli altri, una ruota qualsiasi dell ingranaggio amministrativo, quasi un impiegato specializzato che può rivestire i panni del segretario, dello storico o del poeta, all interno di una gerarchia che lo confina in una posizione anonima e priva di prestigio. Le alternative a tale condizione scarseggiano: il restringimento delle opportunità professionali (solo per fare un esempio, le cattedre universitarie di latino e greco, moltiplicatesi tra la fine del Quattrocento e l inizio del Cinquecento, si riducono sensibilmente) obbliga l intellettuale ad accettare le mansioni propostegli, tanto più che solo all interno della corte egli può trovare un pubblico capace di apprezzare, almeno in teoria, la sua attività. ovvio che una tale condizione provochi in lui frustrazione: già in Ariosto il rapporto con la corte appare compromesso dalle incombenze a cui il letterato è costretto a sottostare. Alla fine del secolo, questo stato d animo si fa più diffuso e profondo, come dimostrano i frequenti attestati di disprezzo, spesso appena coperti da una voluta ambiguità, contro l ipocrisia del mondo cortigiano e la difficoltà di conservare ancora un margine di indipendenza rispetto al potere (impossibile non pensare, ancora una volta, all esperienza di Tasso). Le alternative alla corte: la Chiesa e l accademia Se la condizione di letterato laico è poco remunerativa, quella dell artista che sceglie la carriera ecclesiastica non è migliore. Fino al Rinascimento, questa aveva rappresentato una valida scorciatoia per molti artisti, che potevano sopravvivere grazie ai benefici che essa garantiva, ed erano perciò certi di poter continuare con tranquillità la propria attività letteraria. Ora però la Chiesa chiede all intellettuale di impegnarsi nella propaganda o nell apparato della curia pontificia, limitando enormemente la sua libertà e autonomia. 966 / L ET DELLA CONTRORIFORMA E DEL MANIERISMO