Le parole possono ferire: l’importanza del contesto
→ La poesia comico-realistica, p. 22
→ La poesia comico-realistica, p. 22
C’è un settore della lingua molto ricco e interessante da studiare che è quello delle parole che feriscono. […]
Quelle più semplici […] sono quelle esplicitamente offensive: insulti, epiteti, termini volgari, bestemmie.
Sono così evidenti che possono essere facilmente “flaggate” in rete da filtri che ne impediranno la pubblicazione, ma anche in questo caso apparentemente lampante possono succedere incidenti: potrebbe capitare che un omosessuale che usa scherzosamente il termine “frocio” per autodefinirsi venga bloccato da Facebook per “hate speech”, perché il sistema, o chi controlla, non è in grado di comprendere l’uso ironico del termine. Insomma, dobbiamo considerare anche il settore delle parole che sarebbero offensive, ma che se usate in un certo modo possono anche non esserlo: nigger […] se impiegato da una persona di colore, ad esempio un rapper, diventa invece una rivendicazione di orgoglio razziale. Insomma, non conta solo il contesto, ma anche l’atteggiamento.
Non si possono avere certezze che una parola apparentemente offensiva sia usata per offendere, ma nemmeno che una parola non offensiva non venga usata per offendere. Questo è in parte il limite del cosiddetto “politicamente corretto”: […] non è che un razzista diventi meno razzista se usa “afroamericano” invece di “negro”, anche se è vero che l’uso delle parole più corrette può contribuire a modificare, seppur lentamente, l’opinione pubblica.
Molto più infide sono le parole che possono diventare offensive a seconda del contesto o, soprattutto, dell’intenzione comunicativa […]: i nomi di ortaggi o animali (finocchio, rapa, bietolone, cagna, caimano, maiale), i nomi geografici (levantino, cinese, mongolo), le malattie (matta, deficiente, storpio). […]