I generi 332 UNIT 5 La narrativa sociale Tra dialetto e italiano La necessità di restituire in modo fedele i meccanismi spietati che schiacciano Malpelo si traduce nel ricorso a uno stile che riecheggia la parlata popolare dei minatori, i quali non conoscevano altra lingua al di fuori del siciliano. Una riproduzione integrale del dialetto, nomi a parte (zio Mommu, mastro Misciu), avrebbe tuttavia reso il racconto incomprensibile al di fuori dell isola. Verga sceglie perciò di impastarlo in una base italiana, in modo da farne sentire il sapore, forte ma non respingente: a ciò si deve la presenza di termini, locuzioni e proverbi locali, a volte sottolineati dal corsivo (malpelo, r. 7; sciara, r. 176). Di impronta dialettale è anche la sintassi, dove abbondano i costrutti impropri e i pro nomi pleonastici (a mio padre gli dicevano Bestia, r. 64). Ma il modulo stilistico più evidente, quello che meglio permette di comprendere i codici culturali in uso nel mondo rappresentato, è il discorso indiretto libero, che dà forza e immediatezza al racconto sin dall attacco, quan do la madre sostiene che siccome era malpelo c era anche a temere che ne sottraesse un paio, di quei soldi (rr. 78). Un ragazzo malizioso e cattivo La madre, al pari della sorella, riserva a Malpelo soltanto indifferenza e disprezzo. Gli stessi sentimenti li nutrono i compagni al cantiere, che schivavano come un can rognoso (rr. 1213) il suo brutto ceffo, torvo, ringhioso, e selvatico (r. 14). La caratterizzazione del protagonista non trascura né l aspetto fisico né l aspetto psicologico, né l aspetto sociale, in sistendo sulla sua condizione di emarginato. Il narratore paragona più volte Rosso Malpelo a un animale: sia questo una bestia da soma (r. 20), un bufalo feroce (r. 53) o un cane, rognoso (r. 13) o malato (r. 129). La legge della cava Malpelo, vittima della feroce logica che regge il mondo della cava, dove trionfano la forza, la crudeltà, l interesse e la scaltrezza, non si ribella ma sopporta ogni violenza fisica e psico logica con orgoglio, accettando qualunque colpa su di sé: Sapendo che era malpelo, ei si acconciava ad esserlo il peggio che fosse possibile, e se accadeva una disgrazia, o che un operaio smarriva i ferri, o che un asino si rompeva una gamba, o che crollava un tratto di galleria, si sapeva sempre che era stato lui (rr. 5457). Egli consapevolmente assume su di sé la funzione di capro espiatorio perché è convinto che sia impossibile modificare la propria condizione di vita, e trasformarsi in contadino o manovale, come pure vorrebbe. Una violenza pedagogica Tuttavia Malpelo da vittima sembra trasformarsi in oppressore, quando picchia senza mise ricordia l asino e lo storpio Ranocchio. Cresciuto in un universo dove domina la violenza, solo attraverso la violenza è in grado di esprimere i propri sentimenti e spiegare a chi è inesperto come funziona il mondo: Se non ti senti l animo di difenderti da me che non ti voglio male, vuol dire che ti lascerai pestare il viso da questo e da quello! (rr. 7880), dice a Ranocchio, che pure gli è amico. Non lo picchia per un raffinamento di malignità (r. 69), come sostiene il narratore, ma perché crede di agire a fin di bene. Il suo ruolo pedagogico trova conferma nella scena in cui trascina l amico a osservare la carogna dell asino, morto di stenti e gettato in un burrone, dove i cani randagi lo spolpano: gli spiega che a questo mondo bisogna avvezzarsi a vedere in faccia ogni cosa (rr. 157158), compresa la morte, che ai suoi occhi non è che una liberazione dalla sofferenza, mentre Ranocchio crede al paradiso, del quale gli ha parlato la madre. Con la morte dell amico, che segue quella del padre e dell asino, l educazione di Rosso si compie: è ormai pronto per andare incontro al destino con fiera consapevolezza. Il fantasma di Malpelo Solo al mondo, Malpelo accetta di esplorare un passaggio pericoloso nella cava, nonostante il pericolo di smarrirsi e di non tornare mai più (r. 293). Le leggende che un tempo lo facevano trasalire, evocando minatori entrati giovani nella grotta e usciti da vecchi, o persi in chissà quale anfratto, non gli fanno più né caldo né freddo. Non ha nulla da perdere, se non un presente di fatiche insopportabili e un fardello di ricordi dolorosi, concretizzati negli arnesi del padre, che prende con sé prima di avviarsi. Anche lui è destinato a scomparire nella cava, dove nessuno saprà più trovarlo. Il suo corpo si è dissolto, ma il fantasma abita i discorsi dei ragazzi condannati al suo stesso lavoro, che abbassano la voce quando parlano di lui nel sotterraneo (rr. 303304).
T2 GIOVANNI VERGA, Rosso Malpelo (da Vita dei campi)