Torquato Tasso LA VITA La giovinezza e Il periodo ferrarese «Son nato nel regno di Napoli, città famosa d’Italia, e di madre napolitana, ma traggo l’origine paterna da Bergamo, città di Lombardia; il nome e il cognome mio vi taccio, ch’è sì oscuro che, perch’io pur il vi dicessi, né più né meno sapreste delle mie condizioni». Torquato Tasso nasce a nel e in realtà il suo cognome non è affatto sconosciuto: il , di nobile famiglia bergamasca, è uomo di raffinata cultura, al servizio di vari principi italiani in qualità di e militare. Alla nascita del figlio, Bernardo è presso il principe di Salerno, Ferrante Sanseverino; successivamente, per ragioni politiche è costretto a trasferirsi a Napoli, poi a Roma, Bergamo, Urbino e Venezia. Torquato, che , lo segue nei suoi spostamenti e tenta di emularne l’attività letteraria. Sorrento 1544 padre Bernardo cortigiano perde la madre nel 1556 Sulla scia del padre, che sta componendo un poema cavalleresco destinato ad avere un grande successo ( ), inizia la composizione del , presto interrotto per dedicarsi alla stesura del , che pubblica a diciotto anni nel 1562. In questo periodo il giovane letterato studia legge a e intensifica, dopo i primi esordi risalenti al soggiorno a , la propria produzione lirica. Le sue muse ispiratrici si chiamano , damigella della principessa Eleonora d’Este, e , cantante e arpista mantovana che ha stuoli di ammiratori nelle corti di tutta Italia. Nel 1562 frequenta l’università di , ma viene accusato di essere l’autore di una satira contro studenti e professori ed è costretto a fuggire dalla città. Amadigi Gierusalemme Rinaldo Padova Urbino Lucrezia Bendidio Laura Peperara Bologna Dopo un nuovo breve soggiorno a Padova, nel 1565 Tasso si stabilisce a al seguito del ed entra subito nelle grazie dei principi, soprattutto di Eleonora e Lucrezia, sorelle del , il quale non nasconde l’apprezzamento per il cortigiano, al punto di ammetterlo nel 1572 tra i propri stipendiati. Le condizioni di servizio di Tasso sono riservate solo ai più fortunati: non è soggetto ad alcun obbligo (un privilegio che non aveva ottenuto nemmeno Ariosto), tranne quello di comporre poesie in onore di casa d’Este; in cambio, oltre a una lauta retribuzione, riceve il titolo di gentiluomo ed è ammesso alla tavola ducale. Ferrara cardinale Lui d’Este duca Alfonso II Sono : appare a Torquato la realizzazione di ciò che aveva sognato durante la giovinezza: «Mi parve che tutta la città fosse una meravigliosa e non più veduta scena dipinta e luminosa, e piena di mille forme di varie apparenze; e le azioni di quel tempo simili a quelle che sono rappresentate ne’ teatri». Le aspirazioni coltivate fin dall’adolescenza paiono concretizzarsi: «Io sono capital nemico della fatica e del disprezzo […]. Questo segno [scopo] mi sono proposto: piacere e onore». Per il resto della sua esistenza il poeta inseguirà l’ideale di una vita senza obblighi di sorta, tutta spesa negli studi che gli avrebbero procurato la gloria. Questo sogno è però destinato a spegnersi presto: cominciano infatti a trapelare da parte della cerchia di Alfonso, che secondo Tasso non tollerano il suo successo via via crescente, soprattutto dopo la composizione della favola pastorale (1573). anni sereni e pieni di gratificazioni ▶ la corte estense invidie e sospetti dei poeti e cortigiani Aminta All’inizio del 1575 il poeta conclude un progetto a lungo meditato: un sulla prima , che al momento ha il titolo provvisorio di . , che Tasso vuole fedele ai canoni religiosi vigenti, ne , gradualmente, l’ . Preso da una smania improvvisa e da una (la sua ipersensibilità lo porta a vedere nemici ovunque), il poeta medita di abbandonare la corte estense e avvia trattative per entrare in quella dei Medici, sebbene Alfonso in un bando del 1573 abbia vietato ai suoi cortigiani di passare ad altro servizio senza la sua licenza. poema eroico ▶ crociata , la futura Gerusalemme liberata Goffredo Il lavoro mina equilibrio psichico sindrome vittimistica Video – La vita di Torquato Tasso TASSO ED ELEONORA D’ESTE Tasso accerchiato dai cortigiani ferraresi, Tasso imprigionato, Tasso che cerca l’ispirazione volgendo gli occhi al cielo: nessun poeta italiano può annoverare tanti ritratti. Un vero ciclo iconografico delle diverse fasi della sua vita movimentata, che affianca e incoraggia la costruzione di un mito che ha affascinato artisti e intellettuali di tutta Europa. In questo dipinto il pittore napoletano Domenico Morelli (1826-1901) immortala il poeta mentre legge il suo capolavoro a Eleonora d’Este. Domenico Morelli, , 1865. Roma, Galleria Nazionale d’Arte moderna. Tasso legge il suo poema a Eleonora d’Este LE CROCIATE Il soggetto della Gerusalemme liberata non ha mai perso d’interesse, anzi. La Guerra Santa ispira reinterpretazioni fantasiose, in diversi linguaggi artistici. Tra queste non mancano le riletture cinematografiche, come nel caso del colossal Le Crociate di Ridley Scott: il film, che racconta le vicende del maniscalco francese Baliano (interpretato da Orlando Bloom), partito insieme ai cavalieri crociati alla volta di Gerusalemme, ha incassato a livello mondiale oltre 128 milioni di dollari. Un fotogramma dal film (2005), diretto da Ridley Scott. Le Crociate : ▶ 1559-1560 Gierusalemme : ▶ 1562 Rinaldo : (prima raccolta) ▶ 1567 Rime : ▶ 1567-1570 Discorsi dell’arte poetica : ▶ 1573 Aminta Teodoro Duclère, , 1850 ca. Sorrento, Museo Correale di Terranova. La casa di Tasso a Sorrento >> pagina 497 Il tormento della psiche e la detenzione Nel novembre del 1575, Tasso intraprende un viaggio a Roma. È ormai ostaggio di scrupoli, inquietudini e paure d’ogni genere, timoroso che qualche aspetto dell’opera (l’amore, i troppi incantesimi, una non troppo rigorosa ortodossia cattolica) possa offendere la religione e che il libro sia messo all’Indice. Qui egli intende raccogliere pareri sul suo poema, che sottopone al giudizio e alla correzione di molti, amici e meno amici, non accettandone però i commenti, o perché troppo severi o perché troppo indulgenti. Nemmeno l’ ferrarese acquieta i suoi timori di essere incorso in eresia, quindi comincia a farneticare di e di e a scorgere dappertutto insidie e tradimenti a suo danno. assoluzione dell’inquisitore folletti maghi In un’occasione, nel 1577, mentre conversa con Lucrezia, credendosi spiato, . Alfonso lo fa rinchiudere in un monastero ferrarese, da cui Tasso fugge per iniziare un lungo, febbrile pellegrinaggio attraverso la penisola. Alla fine del 1577 si presenta , : travestito da pastore, le annuncia la propria morte per sondarne la reazione e sincerarsi del suo dolore. Cornelia sviene e il poeta, rassicurato, le si palesa. accoltella un servo a Sorrento dalla sorella Cornelia Tasso riprende poi i suoi viaggi inquieti, tra Mantova, Padova, Venezia, Urbino (dove compone i celebri versi della ), Torino, fino a tornare a Ferrara, nel febbraio del . Qui si aspetta di essere accolto trionfalmente, ma le circostanze non assecondano le sue attese: la corte è impegnata infatti nei grandi preparativi per le nozze del duca Alfonso con Margherita Gonzaga e nessuno si preoccupa di accoglierlo degnamente. Nel castello non c’è posto per lui, che viene quindi ospitato nelle stanze del palazzo del cardinale Luigi d’Este: il poeta lo considera un affronto e , che lo fa rinchiudere nell’ e mettere alla catena, alla stregua di un pazzo. Canzone al Metauro 1579 dà in escandescenze contro il duca Ospedale di Sant’Anna Tasso trascorre , tra periodi di lucidità, durante i quali si dedica alla composizione delle e dei , e cicliche , popolate da diavoli, fantasmi e folletti. In tre diverse lettere del 1585 il poeta descrive le sue visioni: «Il diavolo, co ’l quale io dormiva e passeggiava, non avendo potuto aver quella pace ch’ei voleva meco, è divenuto manifesto ladro de’ miei denari, e me li toglie da dosso quand’io dormo, ed apre le casse, ch’io non me ne posso guardare»; «in questa camera c’è un folletto c’apre le casse e toglie i danari, benché non in grande quantità, ma non così piccola, che non possa scomodare un povero come son io»; «Del folletto voglio scrivere alcuna cosa ancora. Il ladroncello m’ha robati molti scudi di moneta: né so quanti siano, perché non ne tengo il conto come gli avari; ma forse arrivano a venti: mi mette tutti i libri sottosopra: apre le casse: ruba le chiavi, ch’io non me ne posso guardare». recluso sette anni Rime Dialoghi allucinazioni Torquato scrive però anche epistole di tenore diverso, tragiche e accorate, spedite soprattutto ad amici e a potenti signori che in passato lo avevano ospitato e stimato e ai quali chiede di intercedere per la sua libertà presso il duca Alfonso. Finalmente, nel , il principe di Mantova, Vincenzo Gonzaga, ottiene da Alfonso la custodia del poeta, che dopo la lunga reclusione è accolto alla sua corte con festeggiamenti e tributi. Tasso sembra riacquistare l’equilibrio e la serenità, ma è soltanto un miglioramento passeggero. 1586 : ▶ 1575 Goffredo : (composti fino al 1595) ▶ 1579 Dialoghi : ▶ 1581 Gerusalemme liberata : ▶ 1587 Re Torrismondo >> pagina 498 Gli ultimi anni: alla ricerca di una serenità impossibile L’inquietudine riassale presto il poeta, costringendolo a compiere un nuovo ciclo di viaggi senza una meta precisa, sempre alla vana ricerca della tranquillità. Negli anni dal 1587 al 1591, Tasso trascorre brevi periodi a Bologna, Roma, Napoli (dove è ospitato presso il monastero di Monte Oliveto, a cui dedica l’omonimo poemetto penitenziale), Firenze, prima di tornare – questa volta definitivamente – a Roma. Qui, sotto la protezione di , il poeta lavora al rifacimento della , che prende il titolo di (1593). papa Clemente VIII Liberata Gerusalemme conquistata Il papa concede a Tasso una pensione annua e gli promette l’incoronazione poetica in Campidoglio, com’era avvenuto per Petrarca. Ma tale impegno non può realizzarsi: il poeta, già debole e malato da diverso tempo, sente che la sua fine è vicina e si fa condurre nel , dove il 25 aprile . convento di Sant’Onofrio sul ▶ Gianicolo muore 1595 Nei secoli successivi la sua tomba, collocata nella chiesa del convento, sarà meta dei commossi pellegrinaggi dei letterati di tutta Europa, da Chateaubriand a Goethe a Leopardi. L’ALBERO SUL GIANICOLO Dell’albero che diede quiete agli anni malinconici della vecchiaia del poeta, e che divenne meta di pellegrinaggi durante il Romanticismo, oggi non rimane che un ceppo rinsecchito. Già nel 1973 così scriveva Achille Campanile, in un testo umoristico: «Quell’antico tronco d’albero che si vede ancor oggi sul Gianicolo a Roma, secco, morto, corroso e ormai quasi informe, tenuto su da un muricciolo dentro il quale è stato murato acciocché non cada o non possa farsene legna da ardere, si chiama la quercia del Tasso perché, avverte una lapide, Torquato Tasso andava a sedervisi sotto, quand’essa era frondosa». Per ricordarne la suggestione, non resta che affidarsi alla memoria dei dipinti. Maxim Nikiforovich Vorobiev, , 1848. San Pietroburgo, Museo di Stato Russo. La quercia di Tasso : ▶ 1588 Monte Oliveto : (seconda raccolta) ▶ 1591 Rime : ▶ 1592-1594 Le sette giornate del mondo creato : ; (terza e ultima raccolta); ; ▶ 1593 Gerusalemme conquistata Rime Le lagrime di Maria Vergine Le lagrime di Gesù Cristo : ▶ 1594 Discorsi del poema eroico >> pagina 499 IL CARATTERE UN POETA TRA ALLUCINAZIONE E REALTÀ Non è sempre facile distinguere il romanzesco dal reale nella selva di aneddoti fiorita intorno alla vita di Torquato Tasso: nessun letterato italiano ha alimentato quanto lui una così variegata ridda di storie e curiosità nel tentativo di illuminare le bizzarrie, le oscurità e le inquietudini di una personalità tanto complessa. Malinconico e nevrotico Il primo biografo di Tasso è stato il poeta stesso, con il suo epistolario. Le lettere ci mostrano da un lato l’incostanza dei suoi stati d’animo, la sua egocentrica esigenza di essere al centro delle attenzioni, riverito e omaggiato, e allo stesso tempo il suo bisogno di sicurezze e di affetti sinceri in un mondo dominato dall’ipocrisia e dalla simulazione. È Torquato stesso a definirsi «melanconico», ipocondriaco, affetto da una nevrosi che si manifesta a intermittenza, con allucinazioni e crisi epilettiche. Un’insanabile inquietudine Per noi lettori di oggi è impossibile stabilire se la forma di grave depressione da cui era affetto il poeta fosse, per così dire, la conseguenza di un’indole ipersensibile e di una predisposizione patologica o se siano state le circostanze esterne, gli obblighi morali, i compromessi istituzionali e i vincoli religiosi del suo tempo a destabilizzarne la psiche. Forse sono vere entrambe le ipotesi: Tasso cullava il desiderio di recuperare l’armonia di un’età dell’oro nella quale rivivere il sogno umanistico di una libertà senza confini; al tempo stesso, percepiva in sé e negli altri il peccato, il male, l’eresia: da qui il disprezzo per il prossimo e l’esigenza di punire sé stesso. Il suo istinto finiva per confliggere con la sua ragione, il desiderio d’amore con il senso del dovere, la tentazione di ribellarsi con l’obbligo di obbedire e conformarsi alle norme: a questo conflitto il poeta non ha saputo trovare altra soluzione che una fuga continua, un errare senza sosta che è la più autentica metafora della sua esistenza e del suo carattere. Giuseppe de Fabris, (particolare). Roma, Chiesa di Sant’Onofrio al Gianicolo. Monumento funebre di Torquato Tasso