PERCORSI NEL 900 Letteratura e Grande guerra La guerra-tragedia La verità al posto della mistificazione La trasfigurazione letteraria della guerra cede a mano a mano il passo a un doloroso disincanto. Le motivazioni ideologiche dell interventismo non reggono alla prova dei fatti: l atroce esperienza della trincea spinge alcuni autori a raccontare la guerra per come è, rendendo impossibile ormai immaginarla, travestirla, enfatizzarla. Ora lo scenario di rovine cancella anche l afflato comunitario, la presenza della morte invade il paesaggio, la giovinezza pare ormai definitivamente alle spalle e il supremo sacrificio è l unica concreta verità, non più compensabile da alcun gesto eroico. Al mito, insomma, subentra la realtà, all illusione il trauma, all energia la stanchezza. Siamo dentro il resoconto della guerra come tragedia, contraltare della propaganda falsificante e della scrittura eufemistica e sciovinistica del conflitto. La denuncia della guerra trasformata in mito I più attenti tra i letterati profetizzano la futura mistificazione della tragedia e la sua trasformazione in monumento patriottico e in attrazione turistica. Nel 1921 Paolo Monelli (1891-1984), giornalista, reduce di Caporetto, descrive nel volume Le scarpe al sole il successo delle pratiche di celebrazione, orchestrate dalla retorica patriottarda: «Erigono pomposi monumenti funebri distruggendo i cimiteri rozzi ai piedi delle cime . Il piemontese Carlo Salsa (1893-1962), tenente di complemento in fanteria dalla prima linea del Carso, nell autobiografia Trincee (1924) prevede: «Qui ci verranno dopo la guerra a fare la / T7 / gita di ferragosto. [ ] Ci saranno i cartelli-reclame degli alberghi di lusso! Passeggiate di curiosità come ai musei di storia naturale; e raccatteranno le nostre ossa come portafortuna . Tanto più lodevole risulta quindi l impresa demistificante degli scrittori animati dal desiderio di verità, a cui spetta il merito storico e non solo artistico di aver sottratto l ecatombe della Grande guerra alla falsificazione retorica. Ricordiamo i resoconti ungarettiani affidati alla forza espressiva dei suoi brevi e scarni versi, ma anche poeti-soldati meno illustri descrivono la cruda essenzialità della morte, privata di ogni tentazione estetica. il caso, tra i tanti, del siciliano Vann Antò (pseudonimo di Giovanni Antonio Di Giacomo, 1891-1960), che pare prendere congedo dal compagno morto con la stessa mesta, disperata desolazione raccontataci proprio da Ungaretti in Veglia ( T3, p. 163). Il testo è tratto dalla raccolta Il fante alto da terra (1932). LA PAROLA SCIOVINISTICO/ L aggettivo deriva dal sostantivo sciovinismo, con il quale si intende un nazionalismo esaltato e spesso fanatico, che si risolve in un aprioristica negazione dei valori e dei diritti degli altri popoli e nazioni. Il termine, usato polemicamente dalla pubblicistica francese e poi entrato nel lessico di altre lingue, deriva dal nome del soldato Nicolas Chauvin, fanatico seguace di Napoleone. Sul Monte San Marco Vann Antò Quello ch ieri dormiva nella trincea presso a me, nello stesso cubicolo, fratellino di culla: 5 10 non risponde, ho chiamato! non risponde più; non gli giunge il grido del mio cuore O, tu compagno, mi cerchi mi preghi, anche tu, mi chiami , io non sento non rispondo più! 216 / DALLA PRIMA ALLA SECONDA GUERRA MONDIALE