Eugenio Montale LE OPERE A COLPO D’OCCHIO LA PRODUZIONE POETICA 1925 Ossi di seppia «male di vivere» e ricerca del significato dell’esistenza  T1-T9 1939 Le occasioni amaro pessimismo, ma figure femminili come «occasioni» di salvezza  T10-T13 1956 La bufera e altro scenari funebri: orrori della guerra e lutti personali  T14-T15 1971 Satura varietà di temi, abbassamento del tono, lessico spesso quotidiano  T16 1973 Diario del ’71 e del ’72 1977 Quaderno di quattro anni 1980 L’opera in versi Ossi di seppia La pubblicazione degli , nel 1925, avviene in un periodo di cambiamento, tanto  Ossi di seppia sul piano politico quanto su quello letterario. Mentre il fascismo, dopo il delitto Matteotti,  sta completando la svolta autoritaria che porterà il paese alla dittatura, in ambito poetico  i fermenti delle avanguardie convivono con le ipotesi di un “ritorno all’ordine”, cioè  ai caratteri e ai valori della grande tradizione classica italiana. Senza aderire ad alcuna corrente,  Montale riesce nell’impresa di ricavare il meglio dalle esperienze più significative del  suo tempo, costruendo un’opera che si pone al loro crocevia, in un difficile equilibrio tra  componenti eterogenee. Negli prende forma uno dei grandi “paesaggi dell’anima” della lirica  Ossi di seppia europea del XX secolo. Montale traspone nella – arida e insieme  natura mediterranea fascinosa – della natia Liguria il « » che gli impedisce di trovare la propria  male di vivere strada nel mondo. La sua risposta a una realtà percepita come falsa e assurda non consiste  nel pianto dei Crepuscolari, e nemmeno nell’abbandono alla natura: il panismo dannunziano  di rappresenta per lui una scorciatoia impraticabile. Ora si tratta di affrontare  Alcyone con stoica fermezza i tormenti che la vita infligge, riconoscendo di volta in volta  «ciò che non siamo, ciò che non vogliamo».  >> pagina 286  La genesi e la composizione Nell’ , pubblicata nel 1946, Montale ricordava di avere scritto da ragazzo  Intervista immaginaria «versi umoristici», qualche poesia «grottesco-crepuscolare» alla maniera di Aldo Palazzeschi,  e più tardi qualche «sonetto tra filosofico e parnassiano» (il Parnassianesimo fu  un movimento poetico francese del secondo Ottocento, che attribuiva particolare importanza  agli aspetti formali e stilistici della poesia). Tutti questi esperimenti giovanili rimangono inediti, a differenza del primo frammento  che il poeta ligure riconosce come veramente “suo”, ovvero Meriggiare pallido e assorto ,  a cui pone mano già nel 1916 e che viene inserito negli Ossi di seppia , al pari di vari testi  comparsi in rivista tra il 1922 e il 1924. Montale prima di Montale , raccolta d’esordio di Montale, è pubblicata nel giugno del 1925 presso le  Ossi di seppia edizioni dell’intellettuale antifascista torinese Piero Gobetti , il quale poco prima aveva accolto sul “Baretti”, rivista da lui diretta, un importante intervento teorico del poeta dal titolo  Stile e tradizione . La critica riserva agli Ossi un’ accoglienza nel complesso tiepida ; all’autore, che gli aveva manifestato la propria delusione, l’amico scrittore Sergio Solmi risponde:  «Il tuo è uno di quei libri che ad attendere hanno tutto da guadagnare». Le sue  parole risulteranno profetiche. Nel 1928 Montale fa stampare da un altro editore torinese, Ribet, un’edizione degli Ossi  di seppia con una prefazione firmata da Alfredo Gargiulo, critico allora molto influente. Una terza edizione compare a Lanciano, presso l’editore Carabba, nel 1931, e una quarta, l’ultima che rechi correzioni rilevanti, di nuovo a Torino, presso Einaudi, nel 1942.  Nel decennio precedente Montale era stato  (erroneamente) assimilato alla corrente dell’ Ermetismo , diventando al tempo stesso un punto di riferimento culturale  per un’intera generazione di intellettuali  antifascisti di vario orientamento.  Come scriverà Carlo Salinari, critico,  partigiano ed esponente del Partito comunista, «nella situazione storica del fascismo […] la disperazione di Montale ci appariva congeniale, senza mai presentarsi come una forma di evasione dalla realtà che ci circondava e dalle respon sabilità che essa ci imponeva. La sua poesia dava voce alla nostra profonda infelicità, ma ci ammoniva a guardarla in faccia con coraggio e a non sperare consolazioni». Le edizioni degli  Ossi di seppia Piero Gobetti (1901-1926), che pubblicò la prima edizione degli , nel 1925. Ossi di seppia  >> pagina 287  In origine Montale aveva pensato di intitolare il suo primo libro , dove il riferimento  Rottami a materiali deteriorati rimandava alla in cui egli si dibatteva, e insieme echeggiava altri titoli di autori liguri già noti, come (1918) di Giovanni Boine (1887-1917), e soprattutto (1920) dell’amico Camillo Sbarbaro (1888-1967). In seguito però la scelta cade su Ossi di seppia, che suggerisce fin da subito l’antitesi fra mare e terra che percorre l’intero libro. Gli “ ”, infatti, non sono altro che le conchiglie dorsali delle seppie, levigate dal mare, che le restituisce alle spiagge ridotte alla loro candida essenzialità. Essi perciò rappresentano un perfetto condizione di logorio esistenziale Frantumi Trucioli ossi correlativo oggettivo  , in cui il poeta sostituisce all’idea dannunziana di una panica fusione tra l’individuo e la natura un , solo a tratti lenito dall’azione benefica del mare Mediterraneo. dello stato d’animo dominante nella raccolta sentimento di aridità, disagio, solitudine Il titolo La struttura e i modelli L’intera raccolta insiste sulla medesima dinamica. Il poeta constata l’ impossibilità  , cioè di un consolante ed effimero entusiasmo per la vita: lo scacco esistenziale  dell’«incanto» non conosce alcuna possibilità di evasione dai meccanismi ripetitivi della vita quotidiana,  né nel tempo (tramite il ricordo) né nello spazio (tramite un’immersione nella natura).  Cadute le illusioni, subentra la coscienza di un «male di vivere» che non ha via d’uscita.  L’itinerario di formazione a cui l’opera tendeva resta così «strozzato», bloccato nei suoi  sviluppi: al poeta non resta che accettare «senza viltà» il destino amaro che la vita riserva.  Solo a tratti un «miracolo» riesce a interrompere il corso delle cose , restituendo senso  e armonia alla realtà. Non servono per questo una fede religiosa o sensibilità squisite: basta  lasciarsi sorprendere da improvvisi momenti di vitalità, da un bagliore, dal piacere inatteso  che può per esempio procurare l’odore dei limoni lungo la propria strada. Le situazioni descritte non si traducono quindi in una parabola narrativa lineare, che  consenta di leggere le singole liriche in successione, dall’inizio alla fine, come tappe di  un’evoluzione. Quest’ultima va riconosciuta piuttosto all’interno delle diverse sezioni in  cui il libro è suddiviso, che andranno dunque lette in parallelo e che propongono – ciascuna  secondo diverse modalità – la tra grazia e condanna, :  dialettica tra speranza e illusione una dialettica che puntualmente si risolve a favore dei secondi termini delle coppie. Un romanzo di formazione «strozzato» Nella loro edizione definitiva, gli consistono di distribuiti in Ossi di seppia 61 testi 4 sezioni  ( ), precedute da una poesia in corsivo che funge da premessa, In limine, e seguite da un testo, composto intorno al 1920, . La disposizione delle poesie non rispecchia l’ordine di composizione. Movimenti, Ossi di seppia, Mediterraneo, Meriggi e ombre Riviere • Prima sezione, : racchiude 13 testi giocati sull’ ,  Movimenti opposizione fra mare e terra , ; i primi tre termini, fra loro correlati, rappresentano il polo positivo, in cui si avverte la speranza di un possibile accordo, quasi in senso musicale, fra l’uomo e la natura, i secondi tre quello negativo. natura e città infanzia e maturità • Seconda sezione (che dà il titolo al volume), : comprende 22 testi comunemente Ossi di seppia definiti “ossi brevi”, per via delle dimensioni contenute (in media intorno ai 10- 15 versi ciascuno). Con un linguaggio asciutto e disadorno il poeta traspone il «male  densi di significato. di vivere» in una serie di oggetti e situazioni • Terza sezione, : è assimilabile a un poemetto; i 9 “movimenti” di cui si  Mediterraneo compone prevedono un unico interlocutore, il , rispetto al quale il poeta matura un . mare progressivo distacco • Quarta sezione, ( nella prima edizione del 1925): contiene  Meriggi e ombre Meriggi 15 testi, i più estesi e impegnativi della raccolta. Sono incentrati su un’ ipotesi di  , motivo che verrà poi ampiamente sviluppato nelle . salvezza legata a una figura femminile Occasioni Le quattro sezioni  >> pagina 288  Nella sua raccolta d’esordio Montale «attraversa» senza timori reverenziali l’ ingombrante  : fa cioè i conti con esso, superando però la solarità e il trionfalismo  modello dannunziano stilistico e ideologico di Alcyone. La metafora dell’attraversamento si può estendere  ad altri autori di riferimento che il poeta ligure ha ben presenti. Da , per esempio,  Leopardi egli riprende l’idea della poesia come strumento per indagare il senso della nostra presenza  nel mondo; da il tema del ritorno dei morti e la proiezione di significati profondi  Pascoli e “turbati” negli elementi naturali, ma anche il gusto per la precisione del lessico, applicato  alla flora, alla fauna, al mondo contadino. Un discorso a sé merita il legame con il , a cui  Dante “petroso” Montale guarda ogni qual volta abbia necessità di innalzare il tono  del discorso: da Dante vengono così riprese le sonorità aspre e  difficili, particolarmente adatte a veicolare la visione non pacificata  dell’esistenza propria di Montale. Ancora, assume un ruolo primario  il rapporto con i poeti vociani, di taglio espressionista come  , o inclini a un canto desolato e “in sordina” come  Clemente Rebora , al quale sono dedicate due liriche della sezione  Camillo Sbarbaro . Movimenti Fuori dall’ambito poetico va infine considerata la profonda  suggestione esercitata su di lui dall’inettitudine di Zeno Cosini,  il protagonista della di ,  Coscienza di Zeno Italo Svevo romanzo in cui Montale ritrova quell’insanabile frattura fra soggetto  e mondo già mostrata anche dal grande romanziere russo  Fëdor Dostoevskij. Modelli e fonti Georges de Feure, , inizio XIX secolo. Amsterdam, Rijksmuseum. Paesaggio alberato  >> pagina 289  I temi «La vita è questo scialo / di triti fatti, vano / più che crudele», scrive Montale in un “osso  breve” ( ). La ossessiona il poeta,  Flussi ricerca di un significato da attribuire all’esistenza teso a scongiurare l’identificazione del quotidiano con un avanzare alla cieca, che lentamente  conduce l’individuo verso la fine. Affonda qui le sue radici la crisi d’identità in cui precipita  l’io lirico, incapace di districarsi da una situazione che non offre possibilità di fuga o di guarigione.  Tale sofferenza però non sfocia nel lamento o nell’ironia: accende invece la volontà  , all’inganno del «mondo come  di resistere agli ingranaggi del meccanicismo universale rappresentazione», secondo la formula del filosofo Schopenhauer. L’opposizione semantica  che caratterizza la raccolta – – si declina in :  la necessità contro il miracolo immagini concrete il «varco» nel muro, l’«anello» della catena «che non tiene», la smagliatura nella rete. Nell’attesa sconsolata di un’improbabile fuga, per arginare il «male di vivere» riconoscibile  ovunque, il poeta prende in considerazione un ventaglio di rimedi, tra i quali spiccano  l’ignoranza, la rassegnazione e soprattutto la « » ( divina Indifferenza Spesso il male di vivere  ), ovvero la rinuncia alle emozioni. L’unico conforto proviene in effetti  ho incontrato dalla scelta stoica della “ ”: scartata l’ipotesi di un rifugio nelle braccia della natura,  ▶ atarassia il poeta si riconosce piuttosto negli «ossi di seppia» trasportati dalle onde e ributtati  sul bagnasciuga. Anche la regressione verso l’infanzia appare impossibile: a precludere la  via è l’azione inesorabile del tempo, che demolisce tutto, anche i ricordi. Il «male di vivere» LA PAROLA ATARASSIA Il termine greco è composto dall’alfa privativo e dal vocabolo (“turbamento”). Usato dal filosofo Democrito (IV secolo a.C.), e poi dalle la parola scuole epicuree, stoiche e scettiche, indica lo stato di indifferente serenità del saggio, che ha raggiunto il dominio delle proprie passioni ed è imperturbabile di fronte alle vicende del mondo. taraxis Se non dal passato o dal senso di armonia con la natura, una speranza di salvezza potrà  forse venire dai rapporti umani. Nella poesia inaugurale, , il poeta si rivolge a un  In limine “tu” femminile, esortandolo a fuggire, lei che forse può farlo, dalla comune prigione: «Cerca  una maglia rotta nella rete / che ci stringe, tu balza fuori, fuggi! / Va, per te l’ho pregato,  – ora la sete / mi sarà lieve, meno acre la ruggine…». Questo fantasma poi scompare,  riapparendo solo negli ultimi componimenti, dove il poeta ripropone il gesto d’offerta, deciso  a barattare la gioia di lei «con la mia condanna» e a dare la propria avara speranza «in  pegno al tuo fato, che ti scampi». Ma, allo stesso modo di altre fuggevoli speranze, anche  l’apparizione femminile è destinata a dissolversi come ombra o, al massimo, come ricordo  di effimeri momenti di quiete goduti e poi svaniti. Della «vita strozzata» non restano  alla fine che labili cenni: un gesto, una parola che in Arsenio sfiora il poeta, prima che il  vento la disperda «con la cenere degli astri» ( T9, p. 315). ▶ Il fantasma femminile «Sono un albero bruciato dallo scirocco anzi tempo»: così Montale si descrive in una lettera  a Svevo, scritta poco dopo l’uscita degli . Il paragone riprende una strategia  Ossi di seppia rappresentativa sistematicamente utilizzata nella raccolta, dove il poeta è solito  proiettare il proprio stato d’animo sul paesaggio della natia Liguria. Come Alcyone di d’Annunzio  è stato definito il diario di un’estate in Versilia, così potrebbero costituire  gli Ossi . Ma al panismo dannunziano Montale sostituisce  il diario di un’estate alle Cinque Terre un’ , del rifiuto, del “rottame”. estetica dello scarto , bruciati dal sole, immobili nel calore soffocante delle ore pomeridiane, non hanno nulla di idillico: piuttosto, di luminosa evidenza . E tuttavia i medesimi scenari possono in alcune occasioni assumere una valenza positiva. Da un lato, infatti, favoriscono la sospensione del tempo che consente il dominio sulle passioni, o prelude all’avvento dell’auspicato «miracolo»; dall’altro suggeriscono al poeta l’atteggiamento «scabro ed essenziale» adeguato a fronteggiare una realtà sconfortante. Gli scenari mediterranei consentono di tradurre in immagini  l’aridità che dissecca l’animo del poeta Il paesaggio ligure  >> pagina 290  L’idea di una comunione appagante con il paesaggio è veicolata in ( T2, p. 296)  Falsetto ▶  dal tuffo in mare di una giovane amica, che il poeta guarda con invidia e ironia, certo di  appartenere alla «razza / di chi rimane a terra». L’ipotesi di un abbandono fiducioso alla  natura si affaccia nei componimenti della serie Mediterraneo , in cui Montale si rivolge direttamente  al mare. Ma presto nel serrato monologo prende il sopravvento la coscienza  di un’unità impossibile : «Giunge a volte, repente [rapida, all’improvviso], / un’ora che il  tuo cuore disumano / ci spaura e dal nostro si divide». – di una vita libera dalle convenzioni e dalla  Il fascino dell’indistinto evocato dal mare schiavitù della ragione – attira irresistibilmente l’io lirico , sedotto dalle infinite modulazioni  pittoriche e musicali delle onde, ma da esse respinto come un «osso di seppia». Il distacco dal  mare – più volte chiamato «padre» – sta a indicare il superamento del modello dannunziano,  con la sua idea di fusione nella natura, e si traduce nell’approdo a un’identità definita di uomo  e di poeta. Resta comunque vivo il suo richiamo: è verso il mare in tempesta che si incammina  Arsenio ( ▶  T9, p. 315), prima di essere ripreso dall’alienante realtà di tutti i giorni, che lo  condanna a muoversi per le vie affollate da una «ghiacciata moltitudine di morti»: le rare apparizioni  della realtà urbana , negli Ossi di seppia , assumono quasi sempre tratti infernali . Il mare Le forme Montale è un vigile osservatore della rivoluzione metrica che nel primo Novecento impone  sulla scena il verso libero. Rispetto a esperienze di rottura come quelle dei Futuristi e dei vociani,  il suo lavoro rivela tuttavia un marcato riavvicinamento alla tradizione : più sul versante  delle misure che non su quello degli schemi strofici. Fatto salvo un modulo elementare  come la quartina, il poeta infatti trascura (o in rari casi maschera) i classici moduli della  lirica, come la canzone e la ballata; significativamente, al sonetto italiano preferisce quel lo inglese, detto “elisabettiano” e composto di tre quartine e un distico finale, a cui ricorre  più volte. Il discorso si incanala in , con una propensione per i gruppi di forme libere endecasillabi  e , che ricordano alla lontana i precedenti leopardiani, e per le sequenze  settenari polimetriche, che trovano un riferimento importante nella “strofa lunga” dannunziana. La predilezione per ritmi riconoscibili, ma non scontati, si accompagna a una struttura  e a un e di parole sdrucciole alla  sintattica complessa uso massiccio dell’ enjambement fine del verso, così da generare la cosiddetta (per esempio   rima ipermetra amico : canicola in , T3, p. 299). Quanto alle misure, l’endecasillabo resta al  Non chiederci la parola ▶ centro degli schemi metrici di Montale, dove hanno un ruolo di primo piano anche i versi  lunghi, che riecheggiano ora la metrica barbara di Carducci (il quale aveva cercato di riprodurre  nel sistema accentuativo italiano i ritmi quantitativi della poesia classica, greca e  latina), ora gli alessandrini francesi. Rilevante è anche la presenza diffusa del novenario,  valorizzato da Pascoli tra Ottocento e Novecento. degli , il che distingue Montale da molti  Circa la metà dei versi Ossi di seppia è rimata importanti poeti della sua generazione, come Ungaretti, più freddi verso questa tecnica  poetica di lunga tradizione. Tuttavia agli schemi come rime baciate, alternate, incrociate  ecc., anch’essi presenti, Montale preferisce disposizioni libere e originali; sono comunque  fitte, tra un verso e l’altro, le riprese foniche, che costituiscono uno degli elementi più riconoscibili  della sua maniera poetica. La metrica  >> pagina 291  L’attenzione ossessiva alla musicalità del verso spiega l’ abbondante presenza delle figure  di suono , come allitterazioni, paronomasie, onomatopee: per fare un esempio, gli «scricchi  / di cicale dai calvi picchi» di ( T4, p. 303). Per quanto riguarda  Meriggiare pallido e assorto ▶ le figure di significato, nei numerosi ossimori si rispecchia la contraddizione  esistenziale che tormenta il poeta , il suo «immoto andare», come egli stesso scrive,  lungo una strada senza meta. L’estraneità alla “poesia pura” derivata dal Simbolismo francese  comporta un uso misurato e sobrio di metafore e apposizioni analogiche. La tecnica  del , fondata  correlativo oggettivo sul riconoscimento delle connessioni  tra l’interiorità del poeta e il mondo  circostante, implica invece la frequenza  nei versi di figure e oggetti  dotati di una solida concretezza,  come il «rivo strozzato», la «foglia  riarsa», e il «cavallo stramazzato» a  terra che si incontrano in Spesso il  ( T5, p. 306). male di vivere ▶  Strategie retoriche Giuseppe Casciaro, (particolare), 1908. Piacenza, Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi. I Faraglioni di Capri  >> pagina 292  All’unità di tono, alto e impostato, che contraddistingue la raccolta corrisponde infine un’estrema varietà lessicale. Il vocabolario degli Ossi di seppia è ampio e sorprendente: Montale adopera un , in cui abbondano gli , lessico ricco e assai poco ripetitivo hapax ovvero i termini usati una sola volta, spesso coniati dall’autore («infoltarsi», «dispiumare », «lameggiare»). È vero che nei ( T1, p. 293) egli tiene a distinguersi dai «poeti Limoni ▶ laureati», che «si muovono soltanto fra le piante / dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti» (il riferimento polemico al sublime dannunziano è scoperto e, al tempo stesso, inevitabile). Tuttavia altrove è facile imbattersi in : aggettivi termini preziosi e ricercati come «adusto», «falotico», «ignito», raffinati termini della pratica musicale, o anche vocaboli del gergo marinaresco ligure, tutti scelti non per gratuito esibizionismo, ma in virtù dell’ che accomuna Montale a Pascoli. Come si ricorderà, attitudine alla precisione quest’ultimo nutriva gravi riserve sulla predilezione dei poeti italiani per il «vago», che aveva consentito a Leopardi di cantare una «donzelletta» che «reca in mano un mazzolin di rose e viole», sebbene queste fioriscano in stagioni diverse: ebbene, proprio allo stesso modo dell’autore di , Montale predilige il termine esatto e concreto, meglio Myricae se fonicamente espressivo, provvisto di un’asprezza in grado di correlarsi al tema dell’aridità interiore che viene trasposta nel paesaggio. Sul piano sintattico, mentre nei componimenti meno estesi prevale il gusto per il (che fa di tanti “ossi brevi” dei piccoli meccanismi perfetti), i testi più lunghi parallelismo – come o – si distendono in e ricchi di subordinate, Falsetto Arsenio periodi ampi tra le quali prevalgono le ipotetiche, adatte a esprimere i dubbi che attanagliano il poeta.  La principale giunge spesso alla fine del periodo, a chiudere un ragionamento che conosce molteplici articolazioni, complicate dalla frequenza degli incisi. Lessico e sintassi   Testi plus –    Avrei voluto sentirmi scabro ed essenziale   Analisi del testo interattiva –   Casa sul mare  Vincent van Gogh, , 1889. Washington, National Gallery of Art. Natura morta di arance e limoni con guanti blu