Beppe Fenoglio I GRANDI TEMI 1 Una Resistenza antiretorica La Resistenza è uno dei temi principali (forse in assoluto quello più importante) della produzione letteraria di Beppe Fenoglio. Molto diverso è però l’approccio a tale tematica rispetto a quello della maggior parte degli scrittori di quegli anni, in particolare quelli della corrente neorealista. Il racconto della Resistenza nelle opere di Fenoglio è caratterizzato innanzitutto da un’ansia di verità antiretorica, una sostanziale demitizzazione , lontana dall’enfasi che finiva con il falsare quella fase storica a cui, pure, lo scrittore ha preso parte con convinzione. Egli non intende dissacrare i valori e l’eroismo che molti partigiani hanno espresso, bensì ripercorrere quei fatti con realismo, coerenza e intransigenza morale, a costo di apparire impietoso. Vale, a titolo di esempio, il celebre incipit del racconto I ventitre giorni della città di Alba , testo che dà il titolo alla prima raccolta di racconti, edita nel 1952: «Alba la presero in duemila il 10 ottobre e la persero in duecento il 2 novembre dell’anno 1944». Qui Fenoglio non intende sminuire la portata di un’azione collettiva che mirava a liberare la città dall’occupazione nazifascista, quanto a demistificare - appunto - la retorica che attorno a quei fatti si era sviluppata. Dalla celebrazione alla demistificazione All’epoca della pubblicazione un simile approccio ai temi della Resistenza non era gradito agli intellettuali di impostazione comunista che dettavano la linea della casa editrice Einaudi. Sia Italo Calvino sia Elio Vittorini consigliarono per esempio modifiche sostanziali a un testo come La paga del sabato , il cui protagonista è un ex partigiano che fatica a reinserirsi nella società del dopoguerra, diventando un piccolo malfattore di paese. Evidentemente non piaceva un ritratto così poco agiografico di un personaggio legato alla stagione resistenziale, tanto che il romanzo, nonostante i cambiamenti apportati dall’autore, verrà pubblicato solo postumo, nel 1969. Oltre l’agiografia Il fatto è che Fenoglio della Resistenza mette in evidenza – nelle opere citate, ma anche nel romanzo breve Una questione privata e nel romanzo incompiuto Il partigiano Johnny – sia gli aspetti drammatici sia quelli più banali e talvolta anche comici, attinenti alla vita quotidiana e ai tipi umani che vi compaiono. Al tempo stesso affiorano anche i lati contraddittori (come i sentimenti non sempre ben definiti sul piano morale di alcuni partigiani) e quelli av venturosi, utili ai fini di una narrazione che nei suoi sviluppi più legati alle vicende belliche e alle azioni militari assume toni epici. Egli racconta le vicende mostrando luci e ombre, spesso anche mettendo sé stesso sulla scena, persino con una certa ironia o con toni grotteschi . Ciò non gli impedisce di percepire la dimensione tragica degli eventi, anzi la spregiudicatezza del suo sguardo la pone in risalto con una maggiore forza di verità. Semplicemente, egli non accetta di dipingere la Resistenza in termini stereotipati o edificanti , come una gloriosa guerra di popolo, raffigurandola piuttosto «come avventura ribelle di uomini che eventi e accadimenti avevano trasferito imprevedibilmente dall’osteria e dal cinema del paese sulle colline. Nessuno scrittore aveva fornito della Resistenza dati e connotati così impietosi e crudi, né mai l’aveva configurata nella sua più dura realtà umana e storica, interpretandola come rivolta di pochi destinata al disadattamento civile nella stagione successiva» (Mauro). Per questo un racconto come I ventitre giorni della città di Alba verrà considerato «ignobile» dai critici comunisti. Luci e ombre >> pagina 568 Un altro aspetto importante da sottolineare è il fatto che nella narrativa di Fenoglio – come ha scritto il critico Geno Pampaloni – «la guerra, la lotta per la sopravvivenza e la dignità e infine la morte si elevano a paradigma non soltanto della storia di una generazione, ma di un modo altamente drammatico di intendere la vita e la fatalità delle sue scelte». In altri termini, la Resistenza è il contesto storico-politico in cui lo scrittore colloca le vicende dei suoi libri, che però puntano a parlare, prima ancora che della contingenza di una particolare situazione collettiva, delle grandi questioni dell’esistenza dei singoli: la vita, la morte, il caso, il destino, l’amore, la violenza degli uomini e il loro gusto per l’avventura. La portata esistenziale 2 La vita contadina Accanto alla Resistenza, l’altro tema fondamentale nelle opere di Fenoglio è quello legato alla descrizione del , e – in particolare – delle mondo rurale dure condizioni di vita di chi lo abita. Ciò accade già in molti racconti dei , in Ventitre giorni della città di Alba cui si trovano ampi squarci di rappresentazione della vita agricola, ben nota a Fenoglio. L’autore narra delle , il territorio collinoso del Piemonte meridionale che si Langhe estende fra i fiumi Bormida e Tanaro, una zona rurale in cui ancora nell’immediato dopoguerra le condizioni di vita erano così dure da poter essere accostate a quelle della campagna siciliana descritte da Verga, a causa della scarsa produttività e dell’eccessiva parcellizzazione dei fondi: chi possedeva terreni riusciva a stento a soddisfare le proprie esigenze materiali, e chi non ne possedeva doveva necessariamente andare a lavorare sotto padrone. Le condizioni geostoriche >> pagina 569 È ciò che accade appunto ad Agostino, il protagonista del romanzo breve (1954): La malora viene preso a contratto, per servire alla cascina del Pavaglione. Il padrone è un uomo della Bassa Langa che al mercato di Alba, prima di sceglierlo, gli «ha tastato le braccia e misurato a spanne la schiena» come se fosse una bestia da soma. Nell’opera una scena in particolare mostra la miseria dei personaggi, quella del pranzo e della cena costituiti sempre dalla solita polenta , come racconta Fenoglio, «da insaporire a turno contro una acciuga che pendeva per un filo dalla travata», e che veniva ancora strofinata per diversi giorni anche dopo che «l’acciuga non aveva più nessuna forma di acciuga», mentre il capofamiglia si sporgeva sulla tavola per picchiare «chi strofinava più dell’onesto». L’abbrutimento della povertà L’altra faccia della povertà – per come è rappresentata nella , ma anche in alcuni racconti Malora dei Ventitre giorni della città di Alba e di Un giorno di fuoco – è costituita dalla , violenza che spesso diventa, paradossalmente, una , l’unica possibile in modalità comunicativa questo mondo di uomini duri come la terra che abitano e soprattutto di poche parole: in una condizione di vita ridotta all’essenziale, anche le parole possono sembrare un lusso, così che le reazioni sono per lo più soltanto fisiche. D’altra parte la violenza è una risposta istintiva all’ di cui sono vittime queste alienazione persone, sfruttate per il lavoro come se fossero macchine: specialmente le donne, che però non si ribellano con i gesti eclatanti degli uomini, subendo invece la propria sorte senza lamentarsi, sino a quando si fermano logore e sfinite. Violenza e alienazione Le che Fenoglio descrive sono quelle da lui in parte condizioni materiali ed esistenziali sperimentate prima e dopo la guerra partigiana. Pur migliorata rispetto a quella degli anni attorno al 1920 (nei quali è ambientata La malora ), la situazione nell’Alta Langa era ancora lontana dal poter essere considerata accettabile. Ed è forse proprio per la sua conoscenza diretta che Fenoglio riesce a offrire una rappresentazione credibile di quel mondo, che egli guarda dall’interno e in modo oggettivo, senza filtrarlo cioè attraverso suggestioni mitiche, simboliche o memoriali come accadeva invece al conterraneo Pavese. È questo un dato che venne colto – ma come aspetto negativo – già da Vittorini, il quale accompagnò il libro con un polemico risvolto di copertina, che metteva in guardia «questi giovani scrittori dal piglio moderno e dalla lingua facile» da una narrazione costruita per «spaccati» e «fette» di vita, «senza saper farne il simbolo di storia universale». Fenoglio ne fu contrariato e, sebbene l’amicizia con Calvino (testimoniata anche da un significativo carteggio) restasse solida, da quel momento i rapporti con la casa editrice Einaudi si fecero più difficili. Un racconto dall’interno >> pagina 570 3 La ricerca linguistica Una dimensione fondamentale del lavoro letterario di Fenoglio è l’ , assidua ricerca stilistica che si esprime, sin dalle prime prove narrative, in una tensione verso un’essenzialità e, al tempo stesso, una carica espressiva in grado di riflettere la violenza degli ambienti rappresentati. In alcuni testi in particolare, specialmente nel Partigiano Johnny , questo intenso lavoro sullo stile si estrinseca in uno sperimentalismo linguistico estremamente accentuato, tanto che un autorevole studioso come Gian Luigi Beccaria ha parlato, a proposito di quest’opera, di «una prosa […] frutto di volontà e non di dono: possesso, ricerca, conquista, come dopo un tenace corpo a corpo contro e con la lingua; testimonianza di un dominio cercato e conquistato». La tendenza alla sperimentazione Lo sperimentalismo dell’autore si manifesta, nel , soprattutto in una prosa Partigiano Johnny che tende ad accogliere vocaboli e modi di esprimersi della lingua inglese . L’interesse per la cultura e la letteratura inglesi risale agli anni della scuola, quando il giovane Fenoglio trova nella tradizione anglosassone un modello etico-politico da opporre a quelli proposti dal fascismo . In seguito sarà traduttore di autori come John Donne, Gerard Manley Hopkins, Thomas Stearns Eliot, fino a pubblicare nel 1955 (sulla rivista “Itinerari”) una versione della Ballata del vecchio marinaio del poeta romantico Samuel Taylor Coleridge, mentre altre sue traduzioni usciranno postume. Il rapporto di Fenoglio con la lingua inglese tuttavia va ben oltre l’attività di traduttore: l’inglese infatti non solo costituisce per lui, lungo l’intero arco della sua produzione, una verifica permanente dell’efficacia e dell’asciuttezza della propria prosa , ma in molti casi diventa la prima lingua della scrittura , nel senso che Fenoglio scrive le prime stesure, totalmente o solo in parte, in inglese e poi, in un secondo tempo, traduce in italiano. Ma che tipo di lingua inglese è quella utilizzata da Fenoglio? I critici che si sono occupati di questo aspetto ne hanno messo in evidenza «il forte tasso di arbitrarietà o inventività » (Isella), che lo rende una sorta di privato ▶ idioletto . Anche l’andamento di certe frasi, modellate sull’inglese, è altrettanto inventivo e personale. In altre parole, per Fenoglio la lingua inglese è insieme un modello e uno stimolo per sviluppare le potenzialità dell’italiano in direzioni diverse da quelle consuete. L’interesse per il mondo anglosassone La parola IDIOLETTO Il termine indica la lingua individuale, cioè la particolare varietà d’uso del sistema linguistico di una comunità che è propria del singolo parlante.