Giorgio Caproni I GRANDI TEMI 1 I luoghi dell’anima La poesia di Caproni è strettamente legata ai e che hanno  luoghi in cui egli ha vissuto ispirato i suoi versi, come se il suo “canzoniere” fosse una sorta di opera autobiografico-diaristica. I luoghi – ha confidato in uno scritto del 1981 – «hanno lasciato orme nel mio carattere  e, qua e là, nei miei versi: e non davvero come elementi pittorici, ma anch’essi come  laterizi (o metafore) di quell’umana condizione che ho sempre cercato di esprimere». Essi  hanno plasmato il suo carattere e inciso sul suo modo di vedere e di rappresentare la realtà. I luoghi di una vita La prima raccolta, , è un libro di paesaggi. L’autore si pone come spettatore Come un’allegoria affascinato del mondo fisico, capace di percepirlo e di renderlo in termini molto concreti e sensoriali attraverso le sollecitazioni della vista, dell’udito, dell’olfatto. Un completo abbandono alla natura non è tuttavia possibile: la realtà appare infatti caduca, e i suoi singoli elementi si prestano ad assumere valori allegorici che denunciano la presenza di significati “altri”, nascosti sotto la superficie concretamente percepibile delle cose. L’importanza dei paesaggi Un rilievo centrale nella poesia di Caproni hanno anche le città. , innanzitutto, la  Livorno città dell’infanzia: il centro portuale toscano appartiene ai suoi ricordi più antichi, rievocati  nella mitica luce delle origini e degli affetti primigeni , come quelli delle idealizzate figure  dei genitori. Esemplari in questo senso sono i Versi livornesi , concepiti dopo la morte  della madre e pubblicati nel suo libro più noto, Il seme del piangere (1959). Troviamo poi , dove la famiglia si era trasferita nel 1922. Se Livorno è la simbolica  Genova città della madre, Genova rappresenta il luogo della formazione umana e culturale  dell’autore : «Genova sono io. Sono io che sono “fatto” di Genova». Il capoluogo  ligure segna anche l’inevitabile epilogo dell’infanzia: «Genova della Spezia. / Infanzia che  si screzia. / Genova di Livorno, / partenza senza ritorno » (Litania). La natura di questa città  è dunque bifronte, «come il Giano messo a guardia dei suoi giardini»: luogo della scoperta  di sé ma anche città-mondo che apre all’altro da sé. Livorno e Genova, città marinare, sono lo scenario prediletto per la rappresentazione  di un’umanità quotidiana, per un’ epica della gente comune che occupa gran parte della  poesia di Caproni e che si svolge all’insegna di una notevole precisione di dettaglio, non  rifuggendo dalla rappresentazione di oggetti concreti come tram, ascensori, funicolari. L’amore per le città di mare  >> pagina 923  Caproni approda infine a Roma, dove trascorrerà il resto della sua vita. La capitale subito lo  attira e lo abbaglia con le vestigia del glorioso passato, ma nella sua vastità egli, da giovane  provinciale, si aggira smarrito. Così, il poeta fugge idealmente da Roma per tornare  alle sue amate città: nelle Stanze della funicolare (1952) crea il mito di una Genova sognata,  che il confronto con Roma, città ormai quasi aborrita, arricchisce di nostalgici sensi  riposti, mentre nel Seme del piangere il ricordo della madre Annina, riemerso sfogliando  vecchie foto di famiglia, riporta in vita Livorno, restituita a un suo indelebile spazio ideale,  fatto più per i morti che per i vivi. La “fuga” dalla capitale 2 Le figure femminili Centrali nella poesia di Caproni sono le figure di alcune donne, che nei suoi versi diventano  veri e propri “personaggi”. Come Livorno è il primo luogo del poeta, quello della sua  infanzia, così la madre, Anna Picchi , è la prima figura della sua poesia. Nata nel 1894 e  impiegata sin da ragazza nel magazzino Cigni (una rinomata casa di moda livornese), è  una donna di grande vitalità: ama suonare la chitarra, frequentare i circoli cittadini e ballare.  Muore nel 1950 a Palermo, dove viene sepolta, nel cimitero di Sant’Orsola, presso il  fiume Oreto. Nei – una delle sezioni della raccolta – Anna (o Annina)  Versi livornesi Il seme del piangere viene ritratta come una creatura solare e piena di vita , capace di trasmettere la  propria gioia di vivere a quelli che le sono accanto. «Passava odorando di mare» ( Né ombra  né sospetto ), comunicando agli altri una spinta ad agire: «Che voglia di lavorare / nasceva  al suo ancheggiare!» ( Quando passava ). Ma anche su di lei si stende l’ ombra del  dolore (legata al vissuto degli anni di guerra) e della morte , generando un sapore dolce- amaro che scongiura la caduta in una celebrazione retorica. Nella lirica , per  Preghiera esempio, il poeta si rivolge alla propria anima, chiedendole di andare a Livorno, a cercare  la madre scomparsa: «Anima mia, leggera / va’ a Livorno, ti prego […] / perlustra e scruta,  e scrivi / se per caso Anna Picchi / è ancor viva tra i vivi». La trasfigurazione della madre Le due donne amate – , morta prematuramente, e , indicata nelle poesie anche  Olga Rosa con il nome di Rina – si sovrappongono inizialmente nell’immaginario di Caproni, per divergere  poi radicalmente, fino a incarnare i due poli opposti di un’antitesi . Il fantasma della fidanzata defunta lo perseguita a lungo. Nei ,  Sonetti dell’anniversario confluiti in Cronistoria (1943), è rievocato nel ricordo di una stagione sensuale  e illusoria , mentre nel poemetto Le biciclette, pubblicato dapprima nelle Stanze della  funicolare (1952) e poi nella raccolta complessiva Il passaggio d’Enea (1956), è velato  dal travestimento ariostesco di Alcina e diventa la perturbante icona delle sofferenze  del tempo di guerra. Il fantasma di Olga  >> pagina 924  Al contrario, , «dalle iridi grandi e azzurre e così delicatamente silenziose» (Alta Val  Rina Trebbia), incarna le gioie e le angustie dell’amore coniugale , sia in tempo di pace sia in  guerra, e viene spesso celebrata come il tenace cardine della vita che continua: «Se il mondo  prende colore / e vita, lo devo a te, amore» ( A Rina , II). Ancora, in un componimento  dell’ultima raccolta, Res amissa , così il poeta si rivolge alla moglie, giocando con i suoi due  nomi: «Ah rosa sempre in cima / ai miei pensieri… / Mia Rina…» ( Per l’onomastico di Rina,  battezzata Rosa ). La moglie Rina 3 Il viaggio come metafora In una lettera del 1960 Caproni esprime al poeta Carlo Betocchi il desiderio di «una fede  più solida, non poetica né intermittente». Sono i primi sintomi della crisi religiosa che si  sarebbe manifestata nel tema della discesa al Limbo e dell’incontro con i morti, affrontato  con lucido disincanto nei poemetti del Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee  (1965). Da questo punto in poi la poesia di Caproni si sviluppa sempre più nei termini di una  profonda meditazione morale e di una serrata riflessione esistenziale . La vita appare  al poeta come un viaggio , del quale è necessario individuare i punti di partenza e di arrivo,  o meglio il loro significato. L’immagine del viaggio è una metafora quasi ossessiva nella  produzione di Caproni, che si ritrova anche nei frequenti riferimenti a spazi tipicamente  connessi al viaggiare, come scompartimenti di treno, stazioni ferroviarie, bar , luoghi  di una socialità occasionale e precaria. La vita come cammino Ha spiegato il poeta: «Sono metafore, quelle ferroviarie, venutemi da sé. Forse il treno  (che non può fermarsi né deviare quando vuole, come l’automobile) potrebbe darci il senso  quasi dell’agostiniana predestinazione, in luogo del libero arbitrio». In altre parole, l’ immagine  del treno restituisce l’idea di un viaggio obbligato (“predestinato”, appunto, come  nella visione dell’esistenza umana nel pensiero di sant’Agostino), di cui l’essere umano  non è in grado di controllare l’itinerario o il percorso né di decidere le fermate. Ai mezzi di  trasporto di cui ci si può servire liberamente (come la bicicletta, pure presente in Caproni)  si contrappongono così quelli dal tragitto predeterminato (il treno, appunto, ma anche  la funicolare e l’ascensore). Un percorso obbligato  >> pagina 925  Già nelle (1952), del resto, era evidente il Stanze della funicolare valore allegorico del  viaggio sul piano esistenziale , come lo stesso Caproni avrà modo di spiegare anni dopo:  le Stanze della funicolare «sono un poco il simbolo, o l’allegoria, della vita umana, vista  come inarrestabile viaggio verso la morte. La funicolare del Righi, a Genova, esiste davvero.  Il suo primo percorso avviene al buio, in galleria: un buio e una galleria che potrebbero  essere interpretati come il ventre materno. Poi, la funicolare sbocca all’aperto (è la nascita),  e prosegue sino alla meta, tirata dal suo “cavo inflessibile” (il tempo, il destino), senza potersi  fermare. Ogni “stanza” è una stagione differente della nostra esistenza. E di stagione  in stagione, il passeggero (l’“utente”) cerca l’attimo bello (ogni stagione ha il suo) dove  potersi arrestare: dove poter chiedere un alt nel suo essere trascinato dal tempo (il cavo)  inarrestabile, fino all’ultima stazione, che nel poemetto è avvolta nella nebbia (mistero e  lenzuolo funebre insieme)». Il significato esistenziale del viaggio Lorenzo Delleani, , 1883. Torino, Galleria Civica di Arte Moderna e Contemporanea. Il molo (Il trenino)