SEZIONE D – LA COSTRUZIONE DEGLI STATI EUROPEI
CAPITOLO 20 – Vecchi e nuovi protagonisti nello scacchiere europeo del Seicento
UN QUADRO GENERALE PROBLEMATICO E COMPOSITO
Nel corso del Cinquecento in Europa erano avvenuti mutamenti economici, sociali e demografici di rilievo: dall’aumento della popolazione allo sviluppo delle città, dagli investimenti nel mondo agricolo alla “rivoluzione dei prezzi”* (⇒ C18.4).
Nel corso del Seicento alcuni di questi processi ebbero delle trasformazioni che talvolta portarono a esiti negativi, segnati da difficoltà via via più gravi; in altre situazioni invece innescarono svolte che diedero invece impulsi positivi.
Queste furono le dinamiche politiche ed economiche in Europa a partire dalla metà del Cinquecento:
- la Spagna proseguì nel suo tentativo egemonico, alimentando guerre e conflitti che ebbero pesanti effetti interni sul piano economico, creando tensioni sfociate in rivolte sociali e politiche fino al fallimento delle sue ambizioni;
- la Francia, investita da una tragica sequenza di guerre di religione, riuscì a raggiungere un assetto politico più stabile e la monarchia fu capace poi di dare un forte slancio economico al paese;
- i Paesi Bassi erano trainati da uno straordinario dinamismo sociale e si impegnarono in una lotta contro la dominazione spagnola che portò all’indipendenza delle province del Nord;
- l’Inghilterra, uscita da drammatici intrighi di tipo dinastico, iniziò un periodo di sviluppo e crescita commerciale sotto il regno di Elisabetta I Tudor;
- nei domini italiani di Spagna si verificarono rivolte, segno di una complessiva insofferenza della popolazione di fronte a un chiaro peggioramento della condizione economica;
- la parte orientale d’Europa (Polonia, Russia, Prussia) vide i sovrani confrontarsi con le potenti assemblee dei nobili, da cui l’aristocrazia uscì rafforzata, controllando la proprietà terriera e assoggettando i contadini a condizioni servili;
- l’area del Mediterraneo divenne sempre più marginale di fronte all’emergere delle attività intorno al Mar Baltico e ancor più sull’Atlantico.
GUERRE, ARMI E carestie
Tra i fattori che più incisero nel complessivo panorama del Seicento ci furono le guerre, che si fecero più frequenti e soprattutto più distruttive a causa dell’uso delle armi da fuoco, sia leggere (moschetto) sia pesanti (cannoni).
Queste continue guerre provocarono gravi contraccolpi sulla società e sulle popolazioni. Soprattutto nella prima metà del secolo, interi eserciti si spostarono continuamente per l’Europa, devastando i terreni coltivati e saccheggiando città e campagne.
Il Cinquecento aveva visto una significativa crescita demografica, ma nelle tecniche agricole non c’erano stati miglioramenti tali da poter sostenere a lungo questo aumento. Inoltre si verificò un peggioramento del clima con un abbassamento delle temperature che compromisero i raccolti. Tornarono quindi le grandi carestie, che colpirono più duramente i paesi del Sud Europa.
LE NUoVE ARMI CAMBIANO – IL MODO DI FARE LA GUERRA
Durante il Seicento vi fu una vera e propria “rivoluzione militare” che vide protagoniste le armi da fuoco.
I vecchi archibugi richiedevano molto tempo per la ricarica, mentre il “nuovo” moschetto, era molto più leggero, veloce da ricaricare e relativamente preciso. Importanti miglioramenti riguardarono anche l’artiglieria pesante (cannoni), che garantirono una maggiore frequenza di fuoco, una buona precisione di tiro e soprattutto una grande mobilità, permettendo di spostare rapidamente i cannoni dove più serviva.
Oltre alle tecniche cambiarono anche le guerre, che divennero più frequenti e lunghe e quindi maggiormente letali oltre che più costose. Questo costrinse gli Stati ad alimentare gli eserciti con l’arruolamento di un numero sempre maggiore di soldati, anche ricorrendo all’arruolamento obbligatorio. Nacque così l’esercito permanente, dipendente direttamente dal sovrano.
EPIDEMIE E PESTILENZE
La peste non era mai scomparsa del tutto, ma nel Seicento si ripresentò con conseguenze devastanti. Alla diffusione del contagio contribuirono i conflitti militari, poiché gli eserciti, con i loro spostamenti, aiutavano la diffusione del morbo.
In Italia particolarmente colpite furono Venezia e Firenze che persero un quarto degli abitanti, e Milano e Napoli che ne persero oltre la metà.
Per fronteggiare questa calamità negli Stati italiani si diffusero i lazzaretti, luoghi dove isolare i malati in modo da circoscrivere per quanto possibile il contagio. Fu un primo passo verso la ricerca di soluzioni più razionali rispetto a quando si considerava il morbo frutto dell’ira divina e si temevano gli ▶ untori.
CRISI DEMOGRAFICA E RISTAGNO ECONOMICO
Guerre, carestie ed epidemie innescarono un calo demografico che però non si manifestò in modo omogeneo. Infatti nel Centro-Nord Europa la popolazione non subì sostanziali cali e anzi in alcuni casi (come l’Inghilterra) si accrebbe; mentre nel Sud Europa il calo fu considerevole. La crisi demografica ebbe ovviamente conseguenze sul piano economico portando al calo dei consumi e della produzione.
Gli storici sono concordi nel considerare la prima metà del Seicento una fase di ▶ stagnazione economica a livello europeo, in particolare nel settore tessile.
PROSPETTIVE DI CAMBIAMENTO
Calamità e stagnazione economica evidenziarono contrasti e differenze sociali e politiche. Un contrasto che attraversò l’intera Europa, con esiti differenti, fu quello tra i tradizionali ceti nobiliari, che vivevano di rendite e privilegi, e i ceti che gestivano le attività economiche (imprenditori, mercanti, artigiani), che stavano tentando ora di ottenere un ruolo politico adeguato alla loro importanza.
Sul piano economico, mentre gli Stati divoravano enormi risorse per sostenere le spese militari e per mantenere l’amministrazione statale, nel privato si ebbero spinte verso l’accumulazione di capitali, all’origine delle prime forme di capitalismo.
Infine, dal punto di vista culturale, alle forme oppressive messe in atto da alcune istituzioni religiose si rispose con nuove elaborazioni artistiche, filosofiche e soprattutto scientifiche che alimentarono la libertà di pensiero.
2. L’EUROPA MEDITERRANEA: SPAGNA E ITALIA
LA SPAGNA VERSO IL DECLINO
Dopo la morte di Filippo II, nel 1598, era salito al trono di Spagna il figlio, Filippo III che, per sanare la pesante situazione debitoria del regno, adottò una politica meno bellicosa. Con la pace concordata con l’Inghilterra (1604) e la tregua stabilita con le Province Unite (1609) Filippo rinunciò ad ampliare i domini spagnoli.
L’economia spagnola si trovò comunque in difficoltà sempre più gravi, dovute:
- alla pressione fiscale eccessiva;
- alla crescente concorrenza marittima e commerciale inglese e olandese;
- alla sensibile diminuzione dell’afflusso di argento dalle colonie americane;
- al calo della produzione agricola che causò la crescita dei prezzi degli alimenti;
- alla mentalità della nobiltà che rimane fortemente ostile al lavoro.
LA VIVACITÀ DELLA CULTURA NELLA SPAGNA DEL SIGLO DE ORO
Negli stessi anni in cui affrontava le difficoltà economiche e militari, la Spagna visse durante tutto il Seicento un’epoca culturale di grande splendore, che ha fatto parlare di siglo de oro, “secolo d’oro”, per la creatività, lo stile e la raffinatezza raggiunti. Esemplari le opere di pittori come Diego Velázquez e Bartolomé Murillo, o quelle di letterati come Calderón de la Barca e di Miguel De Cervantes autore del primo romanzo moderno, il Don Chisciotte della Mancia (1605).
I “favoriti” del re
In questi periodo cominciarono ad affermarsi, e non solo in Spagna, i cosiddetti favoriti del re, uomini di origini nobiliari o alti prelati in grado di indirizzare il sovrano, o più spesso di prendere decisioni al suo posto. Dal 1598 al 1618, Filippo III ebbe al suo fianco il duca di Lerma, che guidò di fatto la politica del regno senza però riuscire a rilanciare l’economia spagnola.
Le riforme del conte-duca di Olivares
Alla caduta del duca di Lerma seguì, pochi anni dopo, la morte di Filippo III (1621). Sul trono salì il figlio Filippo IV che, ancora sedicenne, lasciò il potere in mano al conte-duca di Olivares. Egli tentò una serie di riforme per ripianare i debiti dello Stato e ridare slancio alla politica spagnola, senza però ottenere grandi risultati. La sua riforma fiscale infatti non riuscì a ridimensionare la politica di benefici, sussidi e rendite. Neppure la riforma dell’esercito ottenne gli esiti sperati.
GLI STATI ITALIANI NEL PASSAGGIO DAL CINQUECENTO AL SEICENTO
All’inizio del Seicento gli Stati italiani mantenevano una certa vivacità economica e sociale e il quadro politico era tenuto insieme dal primato spagnolo sulla penisola che assicurava la stabilità delle relazioni interne. Anche la comune adesione allo spirito della Controriforma era un fattore di unione sul piano politico e sociale. Ma lo straordinario sviluppo dei commerci olandesi e inglesi colpì duramente le città della penisola, costrette a ridimensionare le loro attività commerciali.
Il Ducato di Savoia
Lo Stato sabaudo si era rafforzato per opera del duca Emanuele Filiberto (1528-80), che aveva riottenuto i territori posti tra la Savoia e il Piemonte. Il duca spostò la capitale a Torino, dando un preciso indirizzo italiano ai suoi interessi politici. Il figlio Carlo Emanuele I (1562-1630) continuò la politica paterna con la conquista nel 1588 del Marchesato di Saluzzo.
Il Granducato di Toscana
Nel 1530 il Ducato di Toscana era stato riaffidato ai Medici, tornati a Firenze con l’appoggio di Carlo V. Sotto la guida di Cosimo I (che ottenne dal papa il titolo di granduca) lo Stato si era consolidato e ingrandito, con l’acquisizione della Repubblica di Siena nel 1555. Sul piano economico, la prima metà del Seicento vide l’indebolimento del sistema manifatturiero toscano.
La Repubblica di Genova
La Repubblica di Genova era lo Stato maggiormente legato alla Spagna, essendo i banchieri genovesi tra i primi finanziatori della corona iberica. La condizione di Stato “satellite” rispetto alla politica spagnola consentì a Genova di cogliere diverse opportunità ma significò anche il rischio di subirne i contraccolpi politici ed economici, come accadde con le dichiarazioni di bancarotta dei sovrani spagnoli che mandarono in dissesto le banche cittadine.
Lo Stato della Chiesa
Con l’attuazione della Controriforma la figura del pontefice e lo stesso Stato pontificio avevano trovato una rinnovata centralità nelle lotte politiche e religiose d’Europa. Decisivo in proposito era stato il contributo dei gesuiti che avevano svolto una meticolosa azione educativa e instaurato relazioni con i ceti dirigenti locali.
Le interferenze da parte della Chiesa nelle vicende dei paesi europei ebbero però esiti diversi: in Italia e Spagna fu più facile imporre la politica controriformistica, molto meno in Francia, Inghilterra e nell’Impero germanico, per la presenza delle Chiese protestanti.
Dopo la metà del Seicento però lo Stato della Chiesa si trovò sempre più emarginato sul panorama internazionale, così come successe al resto dell’Italia. La perdita di influenza su scala continentale portò lo Stato pontificio a concentrarsi più sull’Italia, ampliando i suoi domini fino alla Romagna, acquisendo Ferrara e il Ducato di Urbino.
Sul piano interno, mentre continuava la pratica del nepotismo, l’assenza di un ceto imprenditoriale impoverì lo Stato pontificio.
La Repubblica di Venezia
La Repubblica di Venezia era lo Stato italiano più autonomo e con più peso politico a livello internazionale, nonostante la presenza ottomana e spagnola ne avessero indebolito l’antico predominio marittimo. Per restare competitiva, Venezia si impegnò in altri settori rispetto a quello commerciale, come la produzione della lana e della seta; mantenne però sempre a ottimi livelli l’industria di armi, quella tipografica, e la tradizionale cantieristica navale. Un altro importante settore di investimento fu l’agricoltura, in cui l’aristocrazia veneziana investì per compensare le diminuite attività commerciali sui mari. Infine la libertà culturale che si respirava a Venezia non concedeva molti spazi al disciplinamento religioso che la Chiesa imponeva altrove, non a caso i rapporti con il papato erano tesi.
L’Italia spagnola: Milano e Napoli
La gestione dei domini spagnoli in Italia era affidata dal re ad alcuni organismi, il più importante dei quali era il Supremo Consiglio d’Italia, con sede a Madrid. Il Consiglio aveva compiti giudiziari, amministrativi e funzioni di controllo sulle istituzioni e sul personale. Il potere effettivo era gestito da tre viceré a Napoli, in Sicilia e in Sardegna, e da un governatore a Milano. Regolarmente la corona inviava ispezioni per controllare il buon funzionamento dell’amministrazione.
Il Ducato di Milano – che collegava i due rami dei domini asburgici, spagnolo e germanico – era considerato punto cruciale nella strategia spagnola, soprattutto per il passaggio delle truppe verso il Centro Europa. Era inoltre una delle aree più ricche d’Europa, con un vivace ceto commerciale, attivo nei settori tessile, delle armi e in quello agricolo.
Nel Mezzogiorno, invece, con il procedere della crisi finanziaria la Spagna fece richieste fiscali sempre più gravose. Quindi le deboli strutture produttive e sociali del Vicereame di Napoli furono ulteriormente schiacciate, aggravando le misere condizioni di vita di gran parte della popolazione. E questa situazione portò spesso a forme di brigantaggio e proteste sociali.
3. L’EUROPA ORIENTALE: POLONIA E RUSSIA
LA POLONIA DEI NOBILI
La Polonia era uno dei più potenti regni dell’Est, con i suoi 8 milioni di abitanti. La fama di baluardo della cristianità ne aveva rafforzato l’identità cattolica, ma allo stesso tempo l’accoglienza e la tolleranza avevano fatto della terra polacca il rifugio di tanti eretici perseguitati nel resto d’Europa.
Nel 1572, con la morte del re Sigismondo II (1520-72), si era estinta la dinastia degli Jagellone. Da allora la monarchia passò dall’essere ereditaria a essere elettiva e da quel momento la sua forza andò sempre più riducendosi a beneficio del potere del ceto aristocratico. Il sovrano non poteva dichiarare guerra o imporre tasse senza il consenso dei nobili, che occupavano tutte le più alte cariche pubbliche e religiose.
LA RUSSIA DEGLI ZAR
Il Regno di Russia era un territorio di enormi dimensioni, alquanto arretrato dal punto di vista sociale e politico e in cui l’aristocrazia era padrona della situazione, godendo di piena sovranità nei suoi possedimenti. Nel 1547, giunse al potere Ivan IV che assunse, per la prima volta nella storia russa, il titolo di ▶ zar. Con lui ebbe inizio un processo politico che aveva il preciso intento di contenere il potere nobiliare. Ivan stabilì la divisione del regno in due parti: i territori intorno a Mosca furono posti sotto il controllo diretto dello zar e dei suoi funzionari; tutti gli altri furono lasciati alle dipendenze della duma, il consiglio dei nobili.
In questo modo lo zar riuscì a indebolire la grande aristocrazia relegandola nelle campagne.
Peraltro, Ivan IV agì con spietatezza verso la nobiltà, facendone giustiziare per tradimento migliaia di esponenti. Per questo venne soprannominato “il Terribile”.
Dopo Ivan IV il potere finì nelle mani di un suo parente, Boris Godunov, un aristocratico che approfittò della sua posizione per ridare forza ai nobili. Dopo la sua morte, nel 1605, la Russia fu sconvolta per anni da lotte per la conquista del potere, che solo nel 1613 trovarono soluzione con l’ascesa al trono di Michele I Romanov, primo esponente di una dinastia destinata a regnare sulla Russia fino al 1917.
4. L’EUROPA CONTINENTALE: PROVINCE UNITE, FRANCIA E IMPERO GERMANICO
LA STRAORDINARIA AFFERMAZIONE DELLE PROVINCE UNITE
Dichiarata l’indipendenza nel 1581, nel 1609 le Province Unite erano riuscite a strappare a Filippo III una tregua di dodici anni (⇒ C19.5). La nascita del nuovo Stato aveva suscitato notevoli entusiasmi anche per la novità istituzionale che rappresentava: una repubblica, in un panorama europeo di monarchie, e nello stesso tempo una federazione di piccoli Stati. Ogni Stato provinciale inviava un rappresentante all’Aja, sede degli Stati generali, organo con funzioni di politica estera ed economica. Al vertice di ogni provincia c’era un governatore per gli affari civili e uno con funzioni di comando militare, lo stathouder, tradizionalmente appannaggio della famiglia Orange-Nassau. Quando gli Orange tentarono di trasformare la repubblica in una monarchia, la solida borghesia olandese seppe frenare queste aspirazioni.
Il dinamismo dei ceti mercantili cittadini e la ricchezza derivata dai traffici e dalle colonie fecero della Repubblica delle Province Unite una protagonista della storia europea e internazionale del Seicento. Amsterdam, la capitale olandese, divenne uno dei centri più floridi d’Europa, dove transitavano prodotti provenienti e diretti in ogni luogo del pianeta. Nel porto facevano rotta le moderne navi da carico, la più potente flotta mercantile del mondo.
Le Compagnie delle Indie olandesi
Le Province Unite dunque acquisirono una supremazia commerciale e marittima che ebbe la sua massima espressione nella creazione della Compagnia delle Indie orientali olandesi, nata nel 1602 per gestire i commerci con i centri dell’Oceano Indiano fino all’Estremo Oriente. La Compagnia era una struttura commerciale internazionale autorizzata a stabilire accordi diplomatici con gli Stati con cui intendeva fare affari. Il monopolio ottenuto dalla Compagnia sulle spezie, decretò il declino del Portogallo, che fino ad allora lo aveva detenuto in queste aree.
Una sorte simile toccò alla Spagna, sul versante atlantico, con la nascita nel 1621 (allo scadere della tregua dei dodici anni) della Compagnia delle Indie occidentali. Gli attacchi della flotta olandese alle navi spagnole che trasportavano l’argento americano rappresentarono la ripresa del conflitto contro la potenza iberica.
Le Province Unite trovarono il modo di affermarsi anche nelle Americhe, sia assicurandosi il predominio sui traffici, sia creando proprie colonie, come la città di Nuova Amsterdam (1625), sull’isola di Manhattan, diventata poi New York.
Gli inglesi furono gli unici veri concorrenti della potenza olandese, che fu costretta ad affrontarli, anche militarmente, nella seconda metà del Seicento.
La fioritura culturale
Il grande sviluppo delle Province Unite fu possibile anche grazie all’alto livello di istruzione della popolazione e allo sviluppo culturale che caratterizzò questo paese tra la metà del Cinquecento e la metà del Seicento, periodo definito dagli storici il “secolo d’oro” delle Province Unite. La popolazione voleva informarsi ed essere aggiornata sulle notizie, in particolare quelle riguardanti i commerci, i prezzi delle merci, le condizioni del mare e delle imbarcazioni: nacquero e si diffusero così le gazzette (giornali) e si aprirono molte librerie.
La libertà di pensiero e di coscienza assieme alla tolleranza verso ogni tipo di fede furono un ulteriore elemento di diversità rispetto a un’Europa percorsa da conflitti religiosi, roghi di libri e censure, espulsioni di minoranze, torture di dissidenti ed eretici. Tutti – ugonotti, puritani, ebrei – poterono trovare rifugio dalle persecuzioni che avvenivano negli altri Stati, con un enorme guadagno per la stessa società olandese.
LA PITTURA
La pittura che si sviluppò nelle Province Unite fra il Cinquecento e il Seicento rende l’idea della rivoluzione mentale che avvenne in quel periodo. Non più rappresentazioni delle grandi famiglie nobiliari, ma piccoli interni borghesi; non più, o almeno non solo, episodi e soggetti sacri, ma, come nei quadri di Jan Vermeer, scene di vita quotidiana borghese: una lattaia, un astronomo nel suo studio... O ancora, come nei dipinti di Rembrandt, la rappresentazione di una lezione di anatomia con attenti osservatori protesi verso l’apprendimento, segno di una rinnovata cultura scientifica.
LA REGGENZA IN FRANCIA
L’assassinio di Enrico IV nel 1610 aveva portato sul trono un re di soli nove anni, Luigi XIII, e la reggenza venne perciò assunta dalla madre, Maria de’ Medici. Essendo cattolica, Maria ebbe contro un ampio schieramento di ugonotti e anche di aristocratici, intenzionati a riprendersi quegli spazi che il precedente re gli aveva sottratto. Maria si circondò di una cerchia di sua fiducia e fece ricorso a un favorito, Concino Concini che sosteneva una politica di riavvicinamento tra le monarchie francese e spagnola. Quando Luigi XIII arrivò alla maggiore età, cercò di assumere il controllo: fece prima uccidere Concini (1617), quindi allontanò dalla corte la madre. Luigi rimase saldo al potere anche perché nel frattempo Armand-Jean du Plessis de Richelieu, divenuto nel 1622 cardinale, ottenne la piena fiducia del sovrano e ne divenne primo ministro. Fu lui il grande tessitore della politica francese e uno dei personaggi più influenti d’Europa fino al 1642.
La politica interna di Richelieu
Per dare stabilità al regno Richelieu intervenne sul problema che agitava maggiormente la Francia: lo scontro tra cattolici e ugonotti. Ritenne che non si dovessero più concedere ai protestanti quegli spazi politici e militari riconosciuti come garanzia con l’editto di Nantes. Lasciò dunque in vigore le libertà religiose stabilite dall’editto, ma non consentì agli ugonotti di possedere eserciti e piazzeforti, di cui volle riprendere il controllo impedendo ogni tentativo di ricostituzione di centri militari ugonotti. Richelieu usò la stessa durezza verso la nobiltà di origine feudale, insofferente del potere che il sovrano stava acquisendo nelle proprie mani.
La politica economica ed estera
In economia Richelieu sostenne la manifattura e l’agricoltura. Nello stesso tempo dedicò una particolare attenzione ai commerci sull’Atlantico. In questa prospettiva acquisì territori in Africa e in Canada.
Inoltre Richelieu non trascurò gli aspetti culturali, facendosi mecenate di artisti e letterati. Risale al 1635 la nascita, per suo volere, dell’Accademia di Francia, un istituto cui delegò il compito di stabilire una lingua unitaria allo scopo di cementare l’identità dei francesi e mostrare anche su quel piano la forza del potere centrale.
Il disegno politico di Richelieu si rifletté anche in politica estera. La Francia voleva imporsi come maggiore potenza continentale e per questo dichiarò guerra alla Spagna nel 1635. La guerra richiese molte risorse anche sul piano finanziario, obbligando all’imposizione di nuove tasse che provocarono moti di rivolta sia nelle campagne sia nelle città: tutte domate con energia dal cardinale. Tuttavia né Richelieu, che morì nel 1642, né Luigi XIII, venuto meno l’anno dopo, poterono assistere alla vittoriosa conclusione della guerra contro la Spagna.
LA GEOGRAFIA RELIGIOSA E POLITICA DELL’IMPERO GERMANICO
Il principio riconosciuto ad Augusta nel 1555 del cuius regio eius religio (⇒ C16.5), che legava i sudditi alla fede del loro principe, aveva rappresentato un sostanziale riconoscimento per i protestanti. Ma questa soluzione aveva lasciato focolai di contrasto nei tanti piccoli domini tedeschi per il fatto che, con il mutare dei regnanti, doveva mutare anche l’adesione dei sudditi alla confessione religiosa e ciò provocava diverse instabilità.
La politica di Rodolfo II in Germania
Con l’ascesa al trono imperiale nel 1576 di Rodolfo II d’Asburgo, educato dai gesuiti, le forze del cattolicesimo ripresero vigore e fecero approvare leggi in linea con le idee della controriforma. Questo riaccese l’antagonismo con i protestanti. L’imperatore dovette però confrontarsi con le richieste della dieta, il parlamento che riuniva in tre camere gli ordini (alta nobiltà, media nobiltà e terzo stato) e aveva funzione legislativa. La prima camera era formata dall’alta nobiltà, cioè i sette grandi elettori laici ed ecclesiastici; la seconda rappresentava la media nobiltà, costituita da circa 150 famiglie e da molti cavalieri; l’ultima camera era costituita dal terzo stato, rappresentativo di 66 città libere. Ognuno di questi ordini reclamava la propria autonomia non solo politica ma anche religiosa. Rodolfo, che voleva ripristinare il cattolicesimo all’interno dell’Impero, fu intransigente nel contrastare il protestantesimo e per questo il clima rimase molto teso e la dieta non riuscì a operare scelte condivise. A quel punto alcuni principati tedeschi protestanti si organizzarono nell’Unione evangelica (1608), appoggiati dai paesi protestanti d’Europa. L’anno successivo, in contrapposizione, fu creata la Lega cattolica sotto la guida del duca di Baviera, sostenuta dal papa e dalla Spagna. L’occasione per lo scontro venne dalla Boemia.
5. LA GUERRA DEI TRENT’ANNI (1618-48)
L’inizio della guerra
Nel Regno di Boemia si era allargata la presenza di calvinisti e luterani, e la diffusione della nuova fede aveva portato i sudditi boemi a chiedere e ottenere dallo stesso imperatore Rodolfo un documento che garantiva loro la libertà di scelta religiosa. Morto Rodolfo (1612), il futuro imperatore Ferdinando II assunse la corona di Boemia: impose la censura sui libri non graditi ai cattolici, negò la libertà di culto ed escluse i protestanti dall’accesso alle cariche pubbliche. Di fronte a tutto ciò i protestanti, guidati dai nobili, si ribellarono. Il 23 maggio 1618 una folla in tumulto invase il castello reale a Praga e gettò da una finestra i rappresentanti cattolici dell’imperatore: fu la cosiddetta defenestrazione di Praga, che segnò l’avvio della Guerra dei Trent’anni. Quando nel 1619 Ferdinando II assunse la corona imperiale la maggioranza boema decise di non riconoscerlo come imperatore, preferendogli il capo dell’Unione evangelica, l’elettore palatino Federico V, che venne nominato re di Boemia.
LE VITTORIE CATTOLICHE
Il ramo asburgico spagnolo intervenne in aiuto degli Asburgo d’Austria e della Lega cattolica, ottenendo una prima vittoria contro la coalizione protestante (Province Unite, Venezia, Inghilterra, Danimarca) nei pressi di Praga (1620).
Federico fuggì in Olanda mentre il duca di Baviera, Massimiliano I assunse la carica di grande elettore. La Boemia venne sottoposta alla devastazione delle truppe cattoliche e alla conversione forzata. Nel frattempo la Spagna ottenne il controllo della Valtellina, una valle alpina molto ambita dagli Asburgo perché il suo controllo consentiva il collegamento fra Milano e l’Austria aprendo un comodo passaggio alle truppe iberiche verso il Centro Europa.
L’EDITTO DI RESTITUZIONE
Forte dei successi conseguiti, Ferdinando II emanò nel 1629 l’Editto di restituzione, che metteva fuori legge il calvinismo come dottrina eretica e imponeva la restituzione dei beni espropriati alla Chiesa cattolica. L’editto quindi non minacciava solo le libertà religiose ma anche le proprietà requisite alla Chiesa e finite nelle mani della nobiltà.
LE VITTORIE PROTESTANTI E LA RICERCA DELLA PACE
All’inizio degli anni Trenta, di fronte ai successi militari e politici dell’Impero, il re protestante di Svezia Gustavo II, preoccupato dell’espansione degli asburgici nella zona del Baltico, tentò di opporsi all’affermazione imperiale.
Dopo aver ottenuto l’appoggio della Francia, attaccò le truppe imperiali sconfiggendole in due grandi battaglie. Solo nel 1634, a Nördlingen, le armate imperiali ebbero la meglio sugli svedesi.
Le troppe violenze però stavano stancando tutti gli attori della contesa e li spinsero a trovare una soluzione al conflitto. Nel 1635 l’imperatore e i principi protestanti sottoscrissero una pace a Praga per cercare un compromesso. Ferdinando II sospese l’editto di restituzione, ristabilendo una forma di tregua religiosa grazie all’accoglimento di tutti i culti e ottenne in cambio il riconoscimento dell’egemonia asburgica.
LA STRATEGIA FRANCESE
L’esito degli accordi di Praga definiva un sostanziale primato degli Asburgo di Spagna e d’Austria. Tutto ciò non era gradito alla Francia, che decise di intervenire direttamente. L’entrata in guerra fu preceduta da una fitta serie di alleanze e accordi intessuti da Richelieu: con la Svezia, che voleva affermarsi stabilmente nel Mar Baltico, con le Province Unite e con i principati tedeschi protestanti.
Nella decisiva battaglia di Rocroi (maggio 1643) i francesi sconfissero gli spagnoli ma, come si è detto, né Richelieu né Luigi XIII avevano potuto assaporare la vittoria.
LA PACE DI VESTFALIA
Il nuovo imperatore Ferdinando III (1608-57) decise di aprire le trattative di pace per chiudere la lunga stagione di conflitti. I negoziati, avviati nel 1644, si svolsero in Vestfalia e si prolungarono per circa quattro anni. La firma dei trattati infatti avvenne nel 1648. Con la pace di Vestfalia:
- la Germania, che aveva subito le più rilevanti conseguenze dei trent’anni di guerra, si trovò divisa in 300 Stati, che misero fine al sogno di una Germania unita;
- agli Asburgo restarono solo i possedimenti austriaci, per cui il titolo imperiale perse notevolmente peso;
- la Svezia, la Danimarca e i principati protestanti ottennero guadagni territoriali;
- la Francia ottenne gli importanti avamposti di Metz, Toul e Verdun, in Lorena;
- sul piano religioso, in generale, si ebbe una maggiore tolleranza con la concessione ai sudditi di poter professare una fede diversa da quella del proprio governante, sia pure in privato.
un bilancio
I trattati dunque ponevano fine non solo al progetto di supremazia degli Asburgo ma anche all’idea di un’egemonia cattolica in Europa.
La Spagna dovette riconoscere l’indipendenza delle Province Unite, segno definitivo del suo declino, mentre la Francia stabiliva le basi della sua futura potenza nel continente. La guerra fra i due paesi continuò fino alla successiva pace dei Pirenei (1659), conclusa con gravi perdite per la Spagna. Intanto nuovi Stati come l’Inghilterra e le Province Unite, interessati solo marginalmente dal conflitto, si erano affermati in campo politico ed economico. Dal punto di vista religioso, si affermò il principio della pluralità di fedi, a patto che politica e religione fossero separate.
6. LE RIVOLTE: CATALOGNA, PORTOGALLO, NAPOLI
UN CLIMA DI RIVOLTA
L’impegno militare della Spagna e delle altre potenze nella Guerra dei Trent’anni fece inevitabilmente crescere il prelievo fiscale sui territori. Per questo scoppiarono numerose rivolte, non solo nei domini spagnoli, ma anche in altri regni europei. Tutte le rivolte erano animate dalla volontà di opporsi al continuo aumento della tassazione. Queste ribellioni spesso avvennero su incitamento dei nobili interessati a colpire il potere centrale dei sovrani.
La Catalogna
Le più significative rivolte si ebbero in Catalogna, nel 1640, dove tutta la popolazione, dai contadini agli aristocratici, chiedeva autonomia e indipendenza dal governo di Madrid. E, nel 1641, il re dovette concedere alla Catalogna le autonomie richieste.
Il Portogallo
Una diversa impostazione ebbe la ribellione del Portogallo che, annesso alla Spagna dal 1580, voleva riottenere l’indipendenza. A capo del movimento di indipendenza si pose, nel 1640, il duca di Braganza con il sostegno della Francia, interessata ad aprire un altro fronte per indebolire la Spagna. Il duca divenne re con il nome di Giovanni IV e si impegnò a recuperare l’impero coloniale portoghese. Nel 1668, dopo vari scontri e sconfitte, la Spagna dovette riconoscere l’autonomia dello Stato portoghese.
La “rivoluzione” napoletana
Nel territorio del Mezzogiorno la prima rivolta, presto repressa, si ebbe a Palermo nella primavera del 1647 a causa della pressione fiscale divenuta insostenibile.
Diversa fu la rivolta di Napoli che cominciò il 7 luglio 1647. Anche qui la pressione fiscale spagnola aveva raggiunto limiti insopportabili e in questo contesto scoppiò una ribellione che coinvolse non solo il popolo ma anche componenti del ceto civile, composto da avvocati, professionisti delle magistrature e dell’amministrazione pubblica, letterati, mercanti. Anche i contadini si mobilitarono, desiderose di liberarsi dall’oppressione dei baroni.
A capo della rabbia popolare fu il pescivendolo Masaniello, che dopo appena 10 giorni fu ucciso e le redini del movimento furono prese da un artigiano, Gennaro Annese. Mentre il viceré attendeva rinforzi da Madrid fu proclamata la “Real repubblica” napoletana (ottobre 1647) e venne richiesta la protezione della Francia: a rispondere all’appello fu il duca di Guisa Enrico II, intenzionato a crearsi un dominio personale nel Sud Italia. Ma le truppe spagnole ripresero il controllo di Napoli e i baroni ristabilirono l’ordine nelle campagne, grazie alle loro bande di armati.
A differenza delle altre rivolte, quella napoletana non si basò solo sul malcontento dovuto alla pressione fiscale, ma assunse una valenza politica e istituzionale. Le rivendicazioni infatti riguardarono una differente distribuzione del potere politico fra i ceti, con particolare riguardo alla volontà del ceto civile. Non a caso fu presa come nuovo modello politico di riferimento la Repubblica delle Province Unite.
7. LA CULTURA DEL SEICENTO
VERSO UNA CULTURA DELLA MODERNITÀ
Sul piano culturale il Seicento fu un secolo di innovative elaborazioni scientifiche e filosofiche, di teorie politiche e creazioni artistiche che costituirono un decisivo passaggio per innovare la mentalità dell’epoca. Sulla scia delle conquiste del pensiero umanistico e rinascimentale, tanti intellettuali e studiosi cercarono nuove strade e nuovi metodi e strumenti che mettessero in discussione e superassero la tradizione ancora medievale che subordinava ogni conoscenza alla teologia, alla filosofia e all’autorità delle Sacre Scritture.
LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA
Punto di svolta fu la cosiddetta “rivoluzione scientifica”, che solitamente si fa iniziare con le teorie astronomiche dello scienziato Niccolò Copernico del 1543. Da quel momento le convinzioni aristoteliche sull’immobilità della Terra “fissa” al centro dell’“universo” cominciarono ed essere messe in discussione da queste nuove teorie, che ebbero definitiva conferma nelle sperimentazioni dell’astronomo e fisico italiano Galileo Galilei.
IL METODO SCIENTIFICO DI GALILEI
Galilei può essere definito il padre della scienza moderna in quanto introdusse nel sapere scientifico un rigoroso metodo sperimentale che doveva seguire un preciso processo:
- l’analisi dei fenomeni naturali attraverso l’osservazione diretta;
- la formulazione di un’ipotesi interpretativa;
- la verifica dell’ipotesi attraverso la sperimentazione, tale da poter essere ripetuta e verificata in qualunque momento.
Solo dopo questi passaggi lo scienziato avrebbe potuto comunicare il risultato delle sue ricerche, enunciando una legge generale.
LA CONDANNA DELLA CHIESA E L’ABIURA
Le tesi scientifiche e le scoperte di Galileo vennero ritenute in contrasto con le Sacre Scritture. La Chiesa gli impose di non insegnare più la teoria copernicana (condannata nel 1616), che egli andava divulgando nei propri scritti. Galileo fu accusato di eresia, e nel 1632 fu processato dal tribunale dell’Inquisizione. Per salvarsi dal rogo fu costretto a una pubblica abiura, rinnegando le tesi copernicane.
NUOVI STRUMENTI DI CONOSCENZA
Gli scienziati avevano identificato nell’uso della razionalità scientifica lo strumento per un’autentica comprensione della realtà naturale. Allo stesso tempo anche la filosofia dell’epoca si orientava a diventare una teoria della conoscenza. Il francese Cartesio (1596-1650) si pose il problema di trovare un fondamento razionale alla scienza e al pensiero. Attraverso l’uso del dubbio come strumento per mettere in crisi le false certezze, il suo metodo puntava all’individuazione di idee “chiare e distinte”, perfettamente evidenti, da cui procedere per derivarne, attraverso un rigoroso metodo deduttivo, tutte le conseguenze logicamente connesse.
ESERCIZI
1. Completa il testo.
La Spagna prosegue nel suo tentativo egemonico, alimentando guerre che hanno pesanti effetti sul piano ..............................................., creando tensioni sfociate in ............................................... sociali e politiche, anche nei suoi domini ................................................ A segnare il suo declino sono le sconfitte e la perdita di una parte dei ..............................................., che vanno a formare la Repubblica delle Sette Province Unite, che si afferma come una delle massima potenza commerciale. La Francia, dopo la tragica sequenza di guerre di ..............................................., riesce a dare un assetto politico più stabile alla ..............................................., capace poi di dare un forte slancio ............................................... e si afferma come una delle maggiori potenze europee.
L’Inghilterra, sotto il regno di ..............................................., vive un periodo di sviluppo e crescita commerciale, favorita anche dal fatto che è solo marginalmente coinvolta nelle ................................................
La parte orientale d’Europa (...............................................) vede i sovrani confrontarsi con le potenti ..............................................., che dallo scontro escono ..............................................., controllando la proprietà terriera e assoggettando i contadini a condizioni ................................................
L’area del ............................................... diventa sempre più marginale di fronte all’emergere delle attività intorno al Mar ............................................... e ancor più sull’................................................
2. Completa lo schema indicando le principali cause del calo demografico.
3. Fai la scelta giusta.
a. I principi tedeschi protestanti si uniscono nella Lega Evangelica/Lega Santa.
b. L’Editto di restituzione dell’imperatore concede/nega libertà di culto ai calvinisti e ordina la restituzione dei beni confiscati alla Chiesa/ai protestanti.
c. La Guerra dei Trent’anni si conclude con la Pace di Vestfalia/Pace dei Pirenei.
d. La Guerra dei Trent’anni vede sostanzialmente la sconfitta della Francia/degli Asburgo.
e. Nella Guerra dei Trent’anni la Francia si schiera con gli Asburgo cattolici/i principi protestanti.
4. Linea del tempo.
a. Inizio della Guerra dei Trent’anni
b. Pace di Vestfalia
c. Editto di restituzione
d. Il tribunale dell’Inquisizione condanna Galileo
e. Scoppiano le rivolte anti-spagnole nel Mezzogiorno d’Italia
f. Viene dichiarata l’indipendenza della Repubblica delle Sette Province Unite
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