SEZIONE D – OCCIDENTE E ORIENTE FRA CRISI E GLOBALIZZAZIONE

CAPITOLO 20 – IL NUOVO MONDO MULTIPOLARE

1. Nuovi equilibri mondiali

Unilateralismo e multipolarismo

L’equilibrio bipolare Usa-Urss, scaturito dalla Seconda guerra mondiale, lasciò il posto, tra gli anni Ottanta e Novanta, a una nuova fase, definita multipolare, cioè fondata sull’esistenza di più blocchi o gruppi di potenza e con diversi “centri di gravità”. Nonostante questo, in una prima fase gli Stati Uniti imposero la loro egemonia. Apparve però evidente che gli Usa non erano in grado di gestire da soli i molteplici fronti di conflitto, come la crisi in Somalia e il genocidio in Ruanda.

2. La polveriera del Medio Oriente

Dalla guerra del Kippur alla pace

Una delle aree maggiormente problematiche fu il Medio Oriente, dove continuò lo scontro tra israeliani da una parte e palestinesi e Stati arabi dall’altra. Dopo la guerra del Kippur (1973), vinta da Israele con l’aiuto degli Stati Uniti, per reazione, i Paesi arabi aumentarono il prezzo del petrolio ai sostenitori di Israele, scatenando la crisi economica in Occidente degli anni Settanta.

Dopo venticinque anni di conflitti, l’Egitto si rese disponibile a intavolare trattative diplomatiche con Israele attraverso la mediazione degli Usa. Con gli accordi di Camp David del 1978 il presidente egiziano al-Sadat e il premier israeliano Begin si accordarono sulla restituzione del Sinai all’Egitto, la fine delle ostilità e il riconoscimento di Israele. Al-Sadat pagò con la vita questo gesto di pace perché venne ucciso nel 1981 da terroristi islamici contrari alla riconciliazione con Israele.

L’Olp di Arafat

Sin dalla formazione dello Stato di Israele, nel 1948, migliaia di profughi palestinesi avevano abbandonato – o erano stati costretti a farlo – i territori divenuti israeliani, rifugiandosi e disperdendosi soprattutto in Siria, Giordania e Libano o nei popolosi insediamenti di Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Nel 1964 nacque l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), che nel 1969 passò sotto la direzione di Arafat e che faceva esplicito riferimento alla lotta armata e al terrorismo pur di far nascere lo Stato palestinese.

Il problema dei profughi

La crescita demografica dei palestinesi nei campi profughi e la mobilitazione di guerriglieri dalla Giordania (con le immediate ed efficaci reazioni israeliane) portò il re giordano Hussein I a espellere i palestinesi dalla sua terra. Nacque da questa vicenda il movimento terroristico Settembre nero, che alle Olimpiadi di Monaco nel 1972 uccise 11 atleti israeliani.

La guerra in Libano

Dopo la cacciata dalla Giordania, moltissimi profughi palestinesi si trasferirono in Libano, che venne invaso da Israele nel 1982, violando ogni regola internazionale, con lo scopo di mettere in sicurezza i confini a Nord. Durante l’occupazione israeliana del Libano meridionale avvennero le stragi dei due campi profughi di Sabra e Shatila, dove i fondamentalisti cristiani, con il benestare delle truppe israeliane, uccisero circa 3 mila persone.

La guerra terminò nel 1990, con il ritiro degli israeliani e l’intervento della Siria in Libano. Intanto si era costituito il movimento fondamentalista sciita Hezbollah, che agì contro Israele con attentati suicidi.

Dalla prima Intifada agli accordi di Oslo

L’insofferenza della popolazione palestinese verso l’occupazione militare israeliana provocò nel 1987 un’insurrezione chiamata intifada (“rivolta delle pietre”, perché i sassi erano usati come armi). Nel 1988 l’Olp fu accettata dalle Nazioni Unite come unica rappresentante del popolo palestinese. Ciò favorì i negoziati del 1993 tra Arafat e il premier laburista israeliano Yitzhak Rabin, che portarono agli accordi di Oslo: l’istituzione dell’Autorità nazionale palestinese e il reciproco riconoscimento con Israele. Il perfezionamento degli accordi fu ostacolato dagli estremisti di entrambe le parti e il 4 dicembre 1995 un ultranazionalista ebreo assassinò Rabin.

La seconda Intifada

L’assassinio di Rabin fece riesplodere le violenze. Scoppiò così la seconda intifada. Nel 2002, con l’intento di proteggere la popolazione ebraica, il governo israeliano decise la costruzione di un muro tra i territori palestinesi in Cisgiordania e Israele. La Striscia di Gaza venne invece isolata e circondata da un cordone di controllo, che costrinse gli abitanti a vivere in condizioni difficilissime.

3. Rivoluzioni e fondamentalismi nel mondo islamico

Il governo dello Scià e la rivoluzione khomeinista

Dal 1941 in Iran, nome assunto dall’antica Persia nel 1935, lo scià (imperatore) Mohammad Reza Pahlavi sostenne una politica di modernizzazione del Paese in senso filoccidentale, trovando l’opposizione del clero sciita, capitanato dall’▶ ayatollah Ruhollah Khomeini, che dal suo esilio a Parigi nel 1978 si mise alla guida della protesta. L’anno seguente lo scià fu costretto a lasciare il Paese e Khomeini proclamò la Repubblica islamica dell’Iran, instaurando un regime teocratico e imponendo un repentino processo di islamizzazione del Paese.

Il ruolo dell’Iran negli equilibri internazionali

La politica estera iraniana si manifestò in un’aperta opposizione agli Stati Uniti, simbolo di materialismo e imperialismo. Il clima degenerò nel 1979 con l’attacco all’ambasciata Usa a Teheran da parte di un gruppo islamico. Il Paese divenne un fattore di instabilità a livello internazionale poiché non rispondeva più alle logiche del bipolarismo e alimentava movimenti fondamentalisti e idee integraliste dell’islam.

La guerra Iran-Iraq

Il progetto iraniano di opporsi non solo ai Paesi occidentali, ma anche a quelli islamici a prevalenza sunnita (la maggioranza nel mondo arabo), fu ostacolato dall’Iraq di Saddam Hussein, che dal 1979 aveva instaurato una dittatura militare. Su posizioni laiche, nazionaliste e panarabe, Hussein lanciò nel 1980 un attacco armato all’Iran, sostenuto da Usa e Urss, interessati a rovesciare Khomeini e a mantenere sotto controllo un’area strategica. La guerra durò otto anni senza alcun vantaggio per l’una o l’altra parte.

La guerra del Golfo e il terrorismo internazionale

Una nuova aggressione venne rivolta nel 1990 da Saddam Hussein al Kuwait, piccolo Stato del Golfo persico ricchissimo di petrolio. Una coalizione di oltre 30 Paesi, con a capo gli Stati Uniti, costrinse l’Iraq alla ritirata nell’arco di un mese.

Questo insieme di fatti – l’avvento al potere di Khomeini in Iran, il conflitto arabo-israeliano e le altre guerre – diede nuovo vigore al fondamentalismo islamico, deciso a colpire l’Occidente estraneo alla fede coranica, e sfociò in terrorismo. Tra i molteplici gruppi radicali emerse al-Qaeda, guidata dal miliardario saudita Osama bin Laden.

L’Afghanistan talebano

Dopo la sconfitta dell’Unione Sovietica, la lotta tra varie fazioni ed etnie locali in Afghanistan si fece particolarmente intricata. Nel 1996 presero il potere i ▶ talebani, guidati dal mullah Omar, essi imposero al Paese una politica oscurantista e antioccidentale con una rigida applicazione delle regole coraniche. Furono vietati televisione, cinema e teatri e alle donne vennero proibiti gli studi e la possibilità di uscire di casa da sole.

4. La crescita delle potenze asiatiche

La Cina di Deng

Dopo la morte di Mao emerse in Cina la figura di Deng Xiaoping, che modificò l’indirizzo economico e puntò a modernizzare i settori industriale, agricolo, scientifico e militare. Si avviò un processo di apertura all’economia di mercato, anche attraverso la nascita di zone economiche speciali nelle quali commerciare liberamente. 

Anche grazie al basso costo della manodopera, ebbe grande slancio la produzione manifatturiera e il prodotto interno lordo iniziò a crescere al vertiginoso ritmo del 10% annuo. La struttura collettivistica voluta da Mao lasciò il posto e nuove forme industriali e agricole.

I cambiamenti sul piano economico non ebbero corrispettivi sul piano politico. Deng era, infatti, convinto della necessità di mantenere il comunismo e di non concedere spazi democratici alla società. Questo “socialismo di mercato” suscitò movimenti di protesta da parte di giovani e studenti e nel 1989, durante una manifestazione in piazza Tienanmen, Deng fece intervenire i carri armati provocando la morte di centinaia di persone.

Un altro fronte caldo è stato, e continua a essere, quello del Tibet, regione autonoma entro la struttura della Repubblica cinese, che reclama la sua indipendenza fin dal 1950, anno in cui fu invaso dall’esercito di Mao. Pechino ha sempre cercato di colpire l’identità culturale e religiosa tibetana per impedire ai monaci buddisti di influenzare la società cinese, visto anche il grande carisma del Dalai Lama, premio Nobel per la pace nel 1989.

Dal 2012 la Cina ha come leader Xi Jinping, che ha portato il Paese a diventare una superpotenza commerciale e l’unico vero concorrente della potenza industriale americana.

Il Giappone e le “tigri asiatiche”

Anche Paesi come il Giappone si sono resi protagonisti di significativi progressi in campo economico, grazie a un’economia fortemente tecnologizzata e a marchi come Sony, Panasonic, Nikon, Canon, Mitsubishi, Yamaha, Toshiba e Toyota. Le industrie giapponesi continuano a essere tra i maggiori produttori al mondo, soprattutto nel settore automobilistico, nonostante, a partire dagli anni Novanta, il Paese sia andato incontro alla stagnazione economica.

Una vicenda di crescita analoga è stata vissuta dalle cosiddette “tigri asiatiche” (Corea del Sud, Singapore, Hong Kong e Taiwan), le cui tecnologie informatiche e attività finanziarie continuano a influenzare il panorama mondiale.

L’India

Dopo l’omicidio di Indira Gandhi, avvenuto nel 1984, l’India fu governata dal figlio Rajiv Gandhi, che adottò una linea politica più liberale rispetto alla madre e aprì verso l’estero e i capitali stranieri. Il basso costo del lavoro e le dimensioni del mercato indiano (un miliardo di abitanti) portarono la produttività a livelli altissimi, soprattutto nel settore informatico. 

La persistenza di forti disuguaglianze sociali e le ostilità verso lo Stato di alcune comunità etniche crearono il clima che portò all’assassinio di Rajiv Gandhi nel 1991. Negli anni successivi anche in India ha preso piede il fondamentalismo islamico.

5. Le dittature in America Latina

Il “cortile di casa” degli Stati Uniti

L’America Latina era considerata il “cortile di casa” degli Stati Uniti, che favorirono l’insediamento di regimi autoritari e criminali al fine di impedire la diffusione di rivoluzioni socialiste e di tutelare gli interessi commerciali statunitensi. Con il sostegno della Cia (Central Intelligence Agency) nel corso degli anni Settanta dittature militari presero il potere in Bolivia, Argentina, Uruguay e Cile (aggiungendosi a quella già esistente in Brasile). Il tratto distintivo di questi regimi fu la lotta contro i gruppi o i partiti socialisti e contro i sindacati, allo scopo di favorire: 

  • le politiche di libero mercato; 
  • lo sfruttamento della manodopera; 
  • il profitto aggressivo delle multinazionali; 
  • gli interessi dei ceti possidenti locali.

Cile, Argentina, El Salvador e Guatemala

Gli ambienti conservatori locali, sostenuti dai servizi segreti degli Usa, crearono le condizioni per il colpo di Stato che l’11 settembre 1973 rovesciò Salvador Allende, presidente socialista del Cile, democraticamente eletto. L’esercito, guidato dal generale Augusto Pinochet, assaltò il palazzo presidenziale e impose una brutale dittatura che utilizzava la tortura e l’omicidio come armi di repressione del dissenso.

Nel 1976 un colpo di Stato avvenne anche in Argentina e portò al potere il generale Jorge Rafael Videla. Anche in questo caso, gli oppositori furono torturati, uccisi o fatti sparire: i cosiddetti desaparecidos.

Altri Paesi dell’America centrale vissero situazioni analoghe. A El Salvador e in Guatemala, per conto dei regimi militari al potere, agivano gli “squadroni della morte”, armati e finanziati dagli Usa contro i guerriglieri rivoluzionari.

Il ritorno alla democrazia e l’interventismo degli Usa

Negli anni Ottanta però nei Paesi latinoamericani ci fu un’inversione di tendenza. In Argentina la dittatura finì nel 1983 e Videla fu condannato all’ergastolo. Nel 1988, in seguito a libere elezioni, in Cile cadde la dittatura di Pinochet e, già dal 1985, anche Brasile, Bolivia e Uruguay erano tornati alla democrazia. Allentata la “paura del socialismo”, nel 1989 i marines americani sbarcarono a Panama per deporre il dittatore Manuel Noriega e controllare direttamente gli scambi commerciali dello strategico canale.

Continuò tuttavia a essere dura la politica statunitense verso Cuba e verso il Nicaragua, dove nel 1979 il Fronte sandinista aveva abbattuto la dittatura di Anastasio Somoza, instaurando un governo socialista.

Tra democrazia, populismo e corruzione

L’eredità delle dittature si fece sentire anche sul piano economico: con una crescita fuori controllo del debito pubblico (Brasile e Messico), con la bancarotta (Argentina) o con forme di populismo intriso di socialismo (Venezuela). 

Significativo è stato il cambiamento verificatosi in Brasile, dove Luiz Inácio Lula da Silva, candidato della sinistra, inaugurò nel 2002 un percorso di capitalismo sociale volto a riformare il Paese, favorire le fasce sociali più deboli e tutelare l’ambiente.

6. L’Africa tra il XX e il XXI secolo

Dopo la decolonizzazione: il Sudafrica

Anche dopo la decolonizzazione l’Africa continuò in molti modi a dipendere dalle potenze straniere, ma la fine del sistema bipolare provocò molti cambiamenti. 

Una soluzione democratica si realizzò nella Repubblica sudafricana, dove nel 1994, grazie all’azione di Nelson Mandela, si pose fine all’apartheid, un sistema politico basato sulla discriminazione razziale. Mandela fu eletto presidente e avviò un piano di riconciliazione nazionale.

Guerre civili: il caso somalo

Alcuni Paesi africani sono stati invece protagonisti di cruente guerre civili. In Somalia, dopo la caduta del dittatore Siad Barre, il Paese si trovò privo di istituzioni diventando un centro del traffico di armi, di droga, di esseri umani e di rifiuti tossici. Ciò favorì i movimenti fondamentalisti, il terrorismo islamista e le bande di pirati che attaccavano le navi mercantili sul Mar Rosso. Nel 2012 è nata la Repubblica federale di Somalia, ma una compiuta pacificazione è ancora lontana.

Il genocidio in Ruanda

Una delle pagine più drammatiche è stata scritta in Ruanda, Paese popolato da due grandi etnie: gli hutu (in maggioranza), dediti all’agricoltura, e i tutsi (in minoranza), dediti alla pastorizia. Dopo la fine della colonizzazione belga, nel 1962, il potere era in mano agli hutu, che avevano perseguitato i tutsi costringendone una parte a rifugiarsi in Uganda. La morte in un oscuro incidente aereo dei presidenti di Ruanda e Burundi, entrambi di etnia hutu, scatenò la guerra civile. Gli hutu assassinarono tra gli 800 mila e un milione di tutsi. La resistenza tutsi riuscì però a conquistare la capitale Kigali e mettere in fuga circa 2 milioni di hutu verso lo Zaire.

Le difficili condizioni di vita

Povertà, fame, siccità, carestie ed epidemie caratterizzano ancora oggi vaste aree del continente africano (proprio in Africa ha attecchito e si è espansa una delle più terribili malattie degli ultimi decenni, l’Aids). Problematico ed esplosivo si è rivelato anche il tema del controllo delle nascite, con l’effetto che le masse che si affollano nelle capitali e nelle grandi città trovano rifugio solo nelle baraccopoli. La crescita demografica della popolazione africana è, assieme al sottosviluppo, uno dei principali problemi da risolvere a livello mondiale. 

Un problema che coinvolge direttamente anche i Paesi ricchi del mondo, approdo di tante persone che partono dall’Africa per cercare una vita migliore.

ESERCIZI

1. Trova la parola.


• intifada • egemonia • talebano • teocrazia • fondamentalismo 


.......................................................... Posizione di maggiore potere.
.......................................................... Attuazione rigida e intransigente dei principi di una religione o di un’ideologia.
.......................................................... Rivolta palestinese combattuta con lancio di pietre.
.......................................................... Studente di teologia islamica che segue una visione integralista.
.......................................................... Sistema di governo che si fonda su principi religiosi.

2. Fai la scelta giusta.


a. Gli Accordi di Camp David hanno coinvolto:

  • Israele ed Egitto.
  • Israele e Olp.

b. Gli Accordi di Oslo hanno coinvolto: 

  • Israele ed Egitto.
  • Israele e Olp.

c. Nel 1979 si affermò un regime teocratico in Iran/Iraq.

d. In America Latina gli Stati Uniti hanno favorito/ostacolato la nascita di regimi militari, per difendere la democrazia/i loro interessi commerciali e politici.

e. L’invasione dell’Iran da parte dell’Iraq nel 1982 fu sostenuta/contrastata dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica.

f. In Cina l’apertura all’economia di mercato ha/non ha favorito un processo di democratizzazione del Paese.

g. L’espressione “tigri asiatiche” si riferisce ad alcuni Paesi asiatici in cui:  

  • si sono affermati regimi militari.
  • si è avuta una eccezionale crescita economica.

h. Dopo la decolonizzazione, in molti Paesi africani:  

  • si avviato un percorso di crescita economica.
  • si sono avute cruente guerre civili.

i. Crescita demografica e sottosviluppo sono i principali problemi in:  

  • Asia.
  • Africa.