SEZIONE A – L’ESORDIO DEL NOVECENTO: GUERRE E RIVOLUZIONI
CAPITOLO 6 – IL DOPOGUERRA IN ITALIA E L’AVVENTO DEL FASCISMO
L’insuccesso di Versailles: la “vittoria mutilata”
La conferenza di pace di Versailles non riconobbe all’Italia le espansioni territoriali stabilite dal patto di Londra del 1915. Alcuni territori erano stati già acquisiti nel corso della guerra (Trentino, Alto Adige, Venezia Giulia, Trieste e Istria), altri però restarono fuori dai nuovi confini italiani, anche perché a Est era nato un nuovo Stato, la Iugoslavia.
Con il sostegno di un’opinione pubblica interna, incitata dai movimenti nazionalisti, il governo italiano si irrigidì nelle sue richieste. Inoltre, pretendeva anche la città di Fiume (non compresa nel patto di Londra) la cui popolazione era in maggioranza di nazionalità italiana, dimenticandosi però che molti territori acquisiti o richiesti avevano popolazioni a maggioranza slava (come l’Istria e la Dalmazia) o tedesca (come l’Alto Adige), e perciò, in base allo stesso principio dell’autodeterminazione dei popoli, non sarebbero dovuti spettare all’Italia.
Non vedendo accolte le proprie pretese, il governo italiano in segno di protesta abbandonò la conferenza, per poi farvi ritorno poco dopo in una posizione decisamente indebolita.
In seguito a questo insuccesso, nel paese si diffuse la convinzione che l’Italia fosse stata trattata ingiustamente dalle altre potenze vincitrici, una convinzione efficacemente sintetizzata nell’espressione “vittoria mutilata”, coniata dal poeta Gabriele D’Annunzio.
L’impresa di Fiume
Nel settembre del 1919 lo stesso D’Annunzio si fece promotore della cosiddetta “impresa di Fiume”, una spedizione militare (composta da reduci e volontari), con cui occupò la città, rivendicandone l’annessione all’Italia. Il governo italiano non intervenne; D’Annunzio si autoproclamò “reggente provvisorio” di Fiume. La visione antidemocratica, la forma di governo e la retorica di riti e slogan di questa esperienza saranno poi riprese dal fascismo, che vedrà nell’impresa di Fiume un modello.
La legalità venne ripristinata solo con il ritorno al governo di Giolitti, che inviò l’esercito a sgomberare la città dai “legionari” dannunziani, dopo aver firmato il trattato di Rapallo (novembre 1920) con cui l’Istria e la città di Zara vennero assegnate all’Italia, mentre Fiume fu riconosciuta “città libera” e affidata al controllo della Società delle Nazioni.
2. I PROBLEMI SOCIALI DELL’ITALIA
Le gravi difficoltà del dopoguerra
Come negli altri paesi europei, in Italia i problemi del dopoguerra furono l’indebitamento pubblico, una forte inflazione e la disoccupazione. Rispetto ad altri paesi (come la Francia e la Gran Bretagna), però, in Italia il sistema politico era più fragile anche perché la classe politica della vecchia tradizione liberale aveva difficoltà a dialogare con i nuovi soggetti sociali emergenti (ceti medi, giovani, operai), che soffrivano la crisi e cercavano rappresentanza.
Reduci e ceto medio danno forza ai movimenti nazionalisti
Un caso particolarmente evidente del diffuso disagio del dopoguerra era rappresentato dai reduci, che ebbero difficoltà a reinserirsi nella vita civile, e la cui insoddisfazione si unì alle proteste dei movimenti nazionalisti che contestavano la “vittoria mutilata”.
Consenso a questi movimenti venne anche da gran parte del ▶ ceto medio formato da piccoli commercianti, impiegati e professionisti, che, soprattutto a causa dell’inflazione, si erano impoveriti e temevano di perdere quel ruolo sociale, che volevano orgogliosamente distinto da quello del proletariato.
Crebbero quindi nella società il risentimento e il disprezzo nei confronti della classe politica liberale, giudicata corrotta e responsabile dello stato delle cose, e più in generale nei confronti dell’intero sistema parlamentare democratico.
3. IL BIENNIO ROSSO
Il mondo rurale
Negli anni del dopoguerra, anche nelle campagne si acuirono i conflitti sociali. Infatti:
- non era stata fatta alcuna riforma agraria, che avrebbe dovuto distribuire le terre incolte ai contadini;
- non erano state mantenute le promesse fatte dai comandi militari di assegnare terre ai soldati alla fine del conflitto;
- subì una contrazione la “valvola di sfogo” dell’emigrazione perché proprio in questi anni gli Stati Uniti (destinatari del maggior flusso migratorio) posero rigidi limiti all’accoglienza dei migranti.
Le occupazioni di terre e di fabbriche
Con l’aggravarsi della crisi economica, sia nelle campagne che nelle fabbriche, tra il 1919 e il 1920, si scatenarono aspre lotte sociali, che fecero meritare a questi due anni il titolo di “biennio rosso”.
Le proteste nelle campagne portarono, al Nord, al riconoscimento dell’▶ imponibile di manodopera, mentre al Sud si espressero con l’occupazione delle terre dei latifondisti.
Allo stesso tempo gli operai delle fabbriche avviarono proteste per ottenere la riduzione dell’orario di lavoro a 8 ore giornaliere e aumenti salariali per contrastare il costo della vita. Dopo aver ottenuto la riduzione dell’orario di lavoro, però, le lotte operaie presero una piega più radicale e gli operai cominciarono a rivendicare un ruolo nella gestione delle fabbriche.
Quando nel 1920 a Torino gli industriali attuarono la serrata, cioè la chiusura degli stabilimenti industriali, gli operai decisero di occupare le fabbriche. Nel giro di pochi giorni l’occupazione si estese a molte altre aree industriali e nacquero i consigli di fabbrica, organismi rappresentativi degli operai sul modello dei soviet.
Le indecisioni della sinistra
Il sindacato più importante (la Cgdl – Confederazione generale del lavoro) e una consistente parte del Partito socialista erano però orientati su posizioni più moderate.
La situazione si risolse, infine, con la mediazione del capo del governo Giolitti, che convinse sindacati e industriali a sottoscrivere un accordo che concedeva aumenti di salario e prometteva una futura partecipazione operaia al controllo della produzione, che non venne mai attuata.
La paura del comunismo
Il compromesso favorito da Giolitti non venne apprezzato né dagli industriali né dai proprietari terrieri. Questi videro nella linea seguita dal governo un segno della debolezza dello Stato di fronte a eventi che potevano condurre alla rivoluzione e al comunismo, come era avvenuto in Russia. Si orientarono così verso il sostegno al nascente movimento fascista, una forza fortemente antisocialista.
4. I PARTITI DI MASSA: SOCIALISTI, COMUNISTI, POPOLARI
Il Partito socialista e la nascita del Partito comunista
Nato nel 1892, il Partito socialista era ben radicato nelle città e nelle fabbriche, riuscendo anche a rappresentare le esigenze del mondo contadino. Tuttavia, nel dopoguerra la sua azione fu paralizzata dalle divisioni interne tra riformisti, che pensavano di agire all’interno del sistema democratico per ottenere le riforme utili a un’evoluzione in senso socialista della società, e massimalisti, in questi anni maggioritari, che si opponevano a ogni forma di collaborazione con le forze “borghesi” e il cui obiettivo era la rivoluzione socialista.
Al congresso di Livorno del 1921, una parte del Partito, con a capo Antonio Gramsci, Palmiro Togliatti e Amedeo Bordiga, provocò una scissione, facendo nascere il Partito comunista d’Italia, vicino all’Unione sovietica e aderente alla Terza Internazionale. Un anno più tardi, il Partito socialista subì la scissione dell’ala più moderata che andò a fondare il Partito socialista unitario, guidato da Giacomo Matteotti.
Tutte queste divisioni indebolirono il movimento socialista, e favorirono l’affermazione delle ▶ forze eversive che di lì a poco avrebbero preso il potere.
Il Partito popolare
Dopo l’esperienza del Patto Gentiloni alle elezioni del 1913, il mondo cattolico ritenne fosse arrivato il momento di far nascere una forza politica autonoma che lo rappresentasse.
Nel 1919 nacque, su iniziativa del sacerdote Luigi Sturzo, il Partito popolare italiano. Venne definitivamente superato il Non expedit, cioè la formula con cui la Chiesa vietava ai cattolici di partecipare alla vita politica del Regno d’Italia. Il Partito popolare si rifaceva alla dottrina sociale della Chiesa che prevedeva un’attenzione per i più deboli, ma in netto contrasto con le idee socialiste; ai conflitti di classe infatti opponeva la solidarietà tra le classi sociali. Questo si traduceva nell’appoggio alla riforma agraria, che avrebbe difeso la piccola proprietà contadina, e alla riforma tributaria, che avrebbe dovuto ridistribuire la ricchezza.
Con questo programma il Partito popolare riuscì a contendere al Partito socialista la guida dei ceti più deboli, raccogliendo consensi soprattutto nelle campagne.
patto gentiloni
Accordo politico informale tra Giolitti, esponente dei liberali, e Gentiloni, esponente dei cattolici. Secondo questo accordo, i cattolici avrebbero appoggiato nelle elezioni del 1913 gli esponenti liberali per impedire l’elezione di membri del Partito socialista italiano.
5. IL FASCISMO DELLE ORIGINI
I Fasci di combattimento: opportunismo e violenza
Nel clima arroventato del dopoguerra, facendosi portavoce del disagio soprattutto dei ceti medi, si affacciò sulla scena politica Benito Mussolini, che, nel 1919, diede vita ai Fasci di combattimento. Era questo un movimento assai composito che comprendeva sindacalisti rivoluzionari, reduci, nazionalisti, che contestava la “vittoria mutilata” e inneggiava al mito della nazione forte, e che, con molto ▶ opportunismo, mescolava le idee più diverse, mettendo insieme nel suo programma nazionalismo, istanze repubblicane e antimonarchiche, richieste progressiste ispirate al socialismo e appoggio alle classi conservatrici e imprenditoriali. Un movimento politico senza una precisa identità, ma che mostrò il suo vero volto nello scontro con il movimento operaio e contadino durante il biennio rosso e che fece della violenza una forma di lotta politica.
Le elezioni politiche del 1919
Nel 1919 le prime elezioni politiche con il sistema proporzionale videro una forte avanzata del Partito socialista e del Partito popolare. Ci furono ancora due governi a guida liberale, quello di Nitti e quello di Giolitti. Giolitti, come abbiamo visto, riuscì a placare la spinta rivoluzionaria del movimento operaio accogliendone alcune richieste e introdusse la tassazione dei titoli azionari e un’imposta straordinaria sui profitti di guerra al fine di ridistribuire il reddito.
La svolta conservatrice di Mussolini e lo squadrismo fascista
Alle elezioni del 1919 i Fasci di combattimento ottennero pochi voti e nessun seggio in Parlamento. A quel punto, sfruttando le paure suscitate dagli eventi del biennio rosso e la sfiducia nei confronti della classe politica liberale, Mussolini impresse al movimento una svolta in senso conservatore, proponendosi come restauratore dell’ordine.
Nel 1920 i fascisti si diedero una struttura paramilitare, costituendo delle squadre armate (le cosiddette camicie nere) per colpire il movimento socialista e cattolico. Nelle campagne, con il sostegno anche finanziario degli ▶ agrari, le squadre fasciste agirono contro ▶ braccianti e ▶ mezzadri con pestaggi, devastazioni e omicidi. Allo stesso modo agirono nelle aree urbane aggredendo le sedi, i militanti e i dirigenti socialisti.
Connivenza tra fascisti e autorità
Questa esplosione di violenza fascista poté contare sulla tolleranza, e in molti casi sulla complicità, delle autorità, forze dell’ordine, magistratura, ma anche dei governi liberali, che pensarono di potersi servire del fascismo per reprimere i conflitti sociali, illudendosi di poterlo in seguito controllare e normalizzare.
6. LA SCALATA AL POTERE DEL FASCISMO
Le elezioni del 1921
Sempre con l’illusione di utilizzare il movimento fascista per poi neutralizzarlo, nel 1921 i liberali di Giolitti fecero un’alleanza elettorale con nazionalisti e fascisti, il cosiddetto “blocco nazionale”. Le elezioni si svolsero in un clima da guerra civile e le squadre fasciste compirono oltre 100 omicidi. L’alleanza non consentì ai liberali di avere una maggioranza stabile, ma ebbe l’effetto di legittimare i fascisti, che portarono in Parlamento 35 deputati.
Il Partito nazionale fascista (PNF) e la ricerca di appoggi politici
Dopo le elezioni, per accreditarsi come affidabile baluardo contro i disordini sociali, Mussolini decise di trasformare i Fasci di combattimento in partito, il Partito nazionale fascista (Pnf), che, sotto la guida di un unico capo, si dava una struttura in grado di organizzare i militanti e i capi squadristi.
Mussolini con il Pnf cercò di darsi un profilo più istituzionale con l’obiettivo di tranquillizzare le classi dirigenti del paese. Per evitare l’ostilità della monarchia abbandonò le originarie posizioni repubblicane; per evitare di avere contro la Chiesa rinunciò ai toni anticlericali delle origini e infine elaborò una proposta di politica economica liberista, gradita ai grandi industriali.
La marcia su Roma e la presa del potere
Nonostante il tentativo di accreditarsi come interlocutore affidabile, Mussolini mantenne attivi gli squadristi, usando la loro violenza come strumento di ricatto. Giunse così alla decisione di prendere il potere con la forza. Tra il 27 e il 28 ottobre 1922 le “camicie nere” marciarono su Roma. Il capo del governo Facta chiese al re Vittorio Emanuele III di firmare lo stato d’assedio per far intervenire l’esercito, ma il re si rifiutò, Facta si dimise e il 29 ottobre il re convocò Mussolini per affidargli l’incarico di formare un nuovo governo.
Mussolini, che aveva atteso l’evolvere degli eventi a Milano, il 30 ottobre giunse a Roma e quella sera stessa presentò la lista dei ministri. Nell’apparente rispetto delle formalità si compiva così il colpo di Stato che avrebbe posto fine al sistema liberale in Italia.
7. VERSO LA DITTATURA FASCISTA
Il governo di coalizione e i primi provvedimenti
Mussolini era consapevole di dover legittimare il suo ruolo agli occhi delle forze che lo sostenevano (monarchia, esercito, finanza). Il governo a cui diede vita fu quindi un governo di coalizione in cui figuravano ministri anche esponenti dei liberali e del Partito popolare.
I primi provvedimenti di politica economica furono orientati a un forte liberismo e graditi alle classi borghesi e ai gruppi industriali:
- vennero cancellate le sovraimposte sui profitti di guerra;
- furono ridotte le imposte sul reddito;
- furono abolite le norme a tutela dei lavoratori e sciolte le organizzazioni operaie.
Gran Consiglio del Fascismo e milizia volontaria
Allo stesso tempo nel dicembre del 1922 Mussolini istituì il Gran Consiglio del fascismo, un organismo che avrebbe dettato la linea politica facendo da raccordo tra Partito fascista e governo. Inquadrò inoltre le squadre fasciste nella Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, un corpo armato del Partito, direttamente ai suoi ordini, che si affiancava all’esercito e alla polizia nei compiti di pubblica sicurezza. Naturalmente continuarono le intimidazioni e le violenze nei confronti degli oppositori e in particolare contro socialisti e comunisti.
I rapporti col Partito Popolare e con la Chiesa
Il congresso del Partito popolare del 1923 condannò l’uso della violenza da parte dei fascisti e Mussolini reagì costringendo alle dimissioni i ministri popolari presenti nel governo. Decise quindi di allacciare un rapporto diretto con Chiesa: introdusse il crocifisso nelle aule scolastiche, rese obbligatorio l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole; abolì le tasse sui ▶ seminari.
La nuova legge elettorale e l’assassinio di Matteotti
Nel luglio del 1923 Mussolini fece approvare una nuova legge elettorale che attribuiva i due terzi dei seggi parlamentari al partito che avesse raggiunto almeno il 25% dei voti.
I fascisti si presentarono alle elezioni del 1924 in un “listone nazionale” in cui erano presenti anche liberali di destra e cattolici conservatori.
Turbate dalle aggressioni ai candidati e dalle devastazioni alle sedi dei partiti, le elezioni si svolsero in un clima che non garantiva la libera espressione del voto, e a questo si aggiunsero i brogli nei seggi elettorali.
L’esito delle elezioni diede al “listone” il 65% dei voti, consegnando ai fascisti 374 seggi su 533, la maggioranza assoluta.
Alla riapertura del Parlamento il deputato socialista Giacomo Matteotti denunciò le violenze avvenute durante la campagna elettorale, e i successivi brogli chiedendo di invalidare le elezioni. Pochi giorni dopo Matteotti veniva rapito e ucciso da una banda di fascisti.
Lo sdegno attraversò il paese, che iniziò a provare insofferenza nei confronti dei metodi brutali del fascismo, anche in una parte di quei settori della società che l’avevano fin lì appoggiato. Le opposizioni decisero di non partecipare più alle attività del Parlamento finché non fosse stata ristabilita la legalità (secessione dell’Aventino).
La situazione si fece critica per Mussolini.
Tutti attendevano un intervento del re, che però ancora una volta non agì. Questo consentì a Mussolini di riprendere in mano la situazione e di presentarsi in Parlamento rivendicando la responsabilità dell’assassinio. La strada per la ▶ dittatura era ormai aperta.
ESERCIZI
1. Trova la parola.
• reduce • serrata • agrario • connivenza
.......................................................... | Grande proprietario terriero. |
.......................................................... | Chiusura degli stabilimenti industriali da parte degli industriali. |
.......................................................... | Sostegno non esplicito a un’azione scorretta o illegale. |
.......................................................... | Militare che torna alla vita civile dopo una guerra. |
2. Colloca sulla linea del tempo i seguenti avvenimenti.
a. Marcia su Roma.
b. Impresa di Fiume.
c. Assassinio di Matteotti.
d. Secessione dell’Aventino.
e. Istituzione del Gran Consiglio del fascismo.
f. Nasce il Partito nazionale fascista.
3. Fai la scelta giusta.
a. Il “biennio rosso” fu un periodo in cui:
- i socialisti parteciparono al Governo.
- si ebbero forti conflitti sociali con occupazione delle fabbriche e delle terre.
b. I Fasci di combattimento fondati da Mussolini nel 1919:
- erano un movimento politico conservatore.
- erano un movimento politico che agiva con violenza.
c. Le classi dirigenti liberali tollerarono le azioni fasciste perché:
- le ritenevano legali.
- le ritenevano utili per reprimere i conflitti sociali.
d. Vittorio Emanuele III:
- difese i principi liberali e democratici su cui si fondava il Regno d’Italia.
- favorì l’avvento del fascismo, tollerandone anche le azioni illegali.
4. Completa il testo.
Dopo le elezioni del ..............................................., con la nascita del ..............................................., Mussolini cambiò linea politica. Per evitare l’ostilità della monarchia abbandonò le posizioni ..............................................., per non avere contro la ............................................... rinunciò ai toni anticlericali e infine elaborò una proposta di politica economica liberista, gradita alla ................................................