LEGGERE L'OPERA ZOOM I simboli della guerra e del potere Questa celebre stele, scolpita a bassorilievo in una grande pietra di calcare rosato, proviene da Sippar (vicino Baghdad nell’attuale Iraq). Sippar, in sumero Zimbir “città-uccello”, situata in posizione strategica, nel punto più stretto fra il Tigri e l’Eufrate, fu molto importante al tempo degli Accadi e dei Babilonesi. Insieme all’altrettanto famosa stele babilonese di Hammurabi, quella di Naram-Sin restò per molti secoli nell’antico tempio del dio-sole Shamash; da qui, attorno al 1150 a.C., Shutrukh-Nakhunte re di Elam e conquistatore di Sippar, la portò col bottino di guerra a Susa, dove fu rinvenuta nel 1898 dall’archeologo francese Jacques de Morgan, che la trasferì a Parigi. Sulla stele sono raffigurate (2254-2218 a.C.), che riuscì a espandere il proprio dominio fino in Anatolia e sulle coste del Mediterraneo, portando al massimo splendore la civiltà degli Accadi. Naram-Sin, nipote del re Sargon, si era autoproclamato divino, come pure “re delle quattro regioni” (cioè di tutto il mondo). Non a caso, questo rilievo lo mostra più grande di tutte le altre figure, come una regale divinità. Il testo sul retro della stele, redatto in accadico, celebra la vittoria di Naram-Sin su Satuni, re dei Lullubi, popolo della regione centrale dei Monti Zagros. le gesta del re accadico Naram-Sin Opera STELE DELLA VITTORIA DI NARAM-SIN Data 2250 - 2230 a.C. Tecnica Bassorilievo in pietra calcarea Misure 200 x 150 cm Luogo Parigi, Museo del Louvre Gli astri splendono e inviano raggi benevoli sull’esercito accadico. Naram-Sin ha in testa un elmo con le corna, simbolo divino. Le figure dei soldati e dei nemici sono tutte di dimensioni inferiori rispetto a quelle del re. Un nemico è stato colpito da una freccia scoccata dall’arco del re. Tutti i busti sono rappresentati di fronte, mentre il resto del corpo è sempre di profilo. I nemici precipitano colpiti dalle frecce. Un albero spoglio con il tronco contorto: forse è bruciato, come accade spesso sui campi di battaglia. Il linguaggio dell’opera La poderosa figura del re vittorioso sul popolo dei Lullubi si erge con la sua forza vitale e la sua statura maggiore rispetto a quella di soldati e nemici sconfitti. La scena va letta in dal basso verso l’alto, come a seguire la faticosa salita dei soldati su per le asperità dei Monti Zagros. È uno svolgimento narrativo inconsueto, perché di solito i rilievi mesopotamici sono stati ideati per essere osservati secondo linee orizzontali. diagonale Lamassu, 721-705 a.C., alabastro. Parigi, Museo del Louvre. Fra gli animali fantastici con ali di aquila dell’arte mesopotamica spiccano le figure maestose dei lamassu: oltre 4 metri di altezza per altrettanti di larghezza. Questi demoni proteggevano con il loro spirito benevolo le porte dei templi e dei palazzi reali. I due lamassu che vedi qui illustrati, scoperti nel 1843, provengono dalla facciata del Palazzo di Sargon II, nell’antica città assira di Dur-Sharrukin (l’attuale Khorsabad, in Iraq): la testa umana dalla lunga barba simboleggia la sapienza; le corna sono un segno del divino, mentre il corpo di toro con ali di aquila rappresenta la forza e la potenza. La loro funzione, oltre a essere apotropaica, cioè che allontana gli influssi negativi, era anche architettonica, perché con la loro struttura massiccia sorreggevano una parte del peso delle volte delle porte. CONFRONTI Nel Medioevo, molti secoli dopo, i leoni stilofori (“reggicolonna”) dell’arte romanica e gotica avranno una doppia funzione simile a quella dei lamassu: apotropaica (si pensava che scacciassero il diavolo dalle chiese) e architettonica (servivano infatti a sorreggere il peso delle colonne). Giovanni Pisano, , particolare del pulpito, 1310, marmo di Carrara e porfido. Pisa, Cattedrale. Leone stiloforo