De Chirico, Carrà, Morandi: la metafisica Inquietanti manichini e atmosfere incantate creano visioni enigmatiche e misteriose e che svela misteri negli oggetti e nei luoghi del quotidiano. Il termine viene applicato per la prima volta alla pittura nel 1917 da (1888-1978): è questo grande pittore, dunque, che già da tempo dipinge opere irreali e inquietanti, il fondatore della pittura metafisica, una delle principali correnti artistiche del primo Novecento, a cui aderiscono subito altri pittori italiani come (1881-1966) e (1890-1964). La loro ricerca si basa sullo svelamento di sensazioni e stati d’animo enigmatici: nei loro dipinti, figure, oggetti e architetture di tutti i giorni, privati del loro significato consueto, appaiono come in sogno, senza un apparente legame fra loro, eppure ricchi di significati simbolici. Metafisico è ciò che che va al di là della realtà Giorgio De Chirico Carlo Carrà Giorgio Morandi Carlo Carrà, , 1917, olio su tela, collezione privata. L’idolo ermafrodito L’idolo metafisico di Carrà è un manichino dalla posa singolare, con un braccio alzato e l’altro dietro la schiena. La stanza con la porta socchiusa è inquadrata di scorcio e arredata da semplici cubi e parallelepipedi colorati. I manichini di Carrà e Morandi Carlo Carrà è stato un grande amico di De Chirico ai tempi del loro sodalizio “metafisico” a Ferrara, attorno al 1917. Carrà è però autore di opere più ordinate e composte, che lo porteranno in seguito a recuperare e rielaborare in modo personale la solidità dei volumi del più grande pittore medievale dell’Occidente, Giotto. Nei dipinti metafisici di Carrà ricompare l’antico tema della figura, anche se sotto la forma ironica del manichino. Carrà stesso ricorderà poi come aveva ideato nel 1917 le sue prime composizioni con questi soggetti: «Trovandomi una notte a girovagare per le vie di Ferrara, mi accadde di vedere dei manichini abbandonati contro una vecchia casa illuminata da una romantica luna. Un’apparizione...». Anche Giorgio Morandi aderisce alla pittura metafisica, e lo fa nel 1918, creando alcune nature morte concepite come teche (scatole trasparenti) contenenti manichini e altri oggetti simbolici. Giorgio Morandi, , 1918, olio su tela. San Pietroburgo, Ermitage. Natura morta con manichino Nella più celebre natura morta del periodo metafisico di Morandi compaiono, dentro una scatola prospettica, una sfera sospesa in magico equilibrio, un compasso, simbolo degli strumenti del pittore, e il mezzo busto di un manichino, che evoca l’inquietudine di un uomo senza volto. Le ombre sono nette e decise.