ANDREA MANTEGNA ISOLA DI CARTURO, PADOVA 1431 - MANTOVA 1506 AL SERVIZIO DELLE CORTI La formazione di Andrea Mantegna si svolge a Padova nella bottega di un pittore locale, lo Squarcione, e a contatto con i molti artisti toscani che lavorano in città: Donatello, Lippi, Paolo Uccello, Andrea del Castagno. Tra le sue conoscenze, però, ci sono anche i veneti, in particolare Giovanni Bellini, di cui Mantegna sposa la sorella. Nel 1449 è a Ferrara, al servizio del marchese Leonello d’Este. Nel 1459 si trasferisce a Mantova, dove lavora a corte per il duca Ludovico Gonzaga e poi per suo figlio Federico; negli stessi anni in cui è presente in città anche l’architetto Leon Battista Alberti. La sua pittura è caratterizzata dall’ e dall’ . Si può dire che Mantegna sia il primo artista italiano che dipinge con la decisa e consapevole intenzione di imitare l’esempio dell’arte classica. È a Mantova che lascia la sua opera più rappresentativa, la a Palazzo Ducale: un’intera stanza decorata ad affresco dalle pareti al soffitto, in cui le scene simulano realisticamente uno spazio aperto e sono popolate di personaggi della corte ducale. L’intento politico-propagandistico della rappresentazione è la celebrazione delle glorie della famiglia Gonzaga. uso virtuosistico della prospettiva amore per la classicità Camera degli Sposi DI SOTTO IN SU Questa parte degli affreschi della è considerata la prima . Nel soffitto, la copertura sembra aprirsi al centro verso un cielo azzurro, mentre da una balaustra si affacciano putti che giocano vivacemente, una dama, alcune domestiche e perfino un pavone. Camera degli Sposi applicazione illusionistica della prospettiva (1465-1474 ca.), particolare con l’oculo del soffitto, affresco. Mantova, Palazzo Ducale. Camera degli Sposi UN CAPOLAVORO DI PROSPETTIVA Il dipinto raffigura Cristo su una pietra coperta dal sudario; accanto a lui, la Madonna, san Giovanni e la Maddalena in lacrime. Mantegna utilizza qui un artificio prospettico che prende il nome di : si tratta di una tecnica di rappresentazione che “accorcia” la figura, in questo caso facendo partire le linee di fuga dai piedi in primo piano e facendole riunire all’altezza della testa. Così il pittore ci dà l’illusione di essere dentro la scena, davanti a Cristo. Una tecnica che accentua la forza espressiva dell’immagine per comunicare il dramma e il dolore per la morte di Gesù. scorcio (1475-1478 ca.), tempera su tela, 68x81 cm. Milano, Pinacoteca di Brera. Cristo morto