Il Trecento – L'autore: Giovanni Boccaccio LETTURE critiche La «chanson de geste» dei paladini di mercatura di Vittore Branca Uno dei massimi studiosi di Boccaccio, il filologo Vittore Branca (1913-2004), si sofferma sulla particolare trasmissione manoscritta del Decameron, che si sviluppa attraverso canali alternativi a quelli ufficiali dei copisti di professione e delle scuole. A trascrivere il capolavoro boccacciano furono da subito dei “copisti per passione”, appartenenti a quel ceto borghese, mercantile e finanziario, che si trovava così ampiamente rappresentato in molte delle cento novelle: copiarne e diffonderne il testo diventava così una forma di omaggio da parte di un pubblico che individuava quel libro come propria opera d’elezione. La tradizione critica, lungo le varie età romantiche e fino alle posizioni crociane e postcrociane, è stata di una massiccia e singolare univocità nel vedere il come un'opera rinascimentale o prerinascimentale, in opposizione, anzi in polemica, con la poetica e con la visione del mondo nella tarda cultura medievale.. [...] Era una visione caratteristica della storiografia positivistica e ottocentesca (con chiare radici nel Rinascimento stesso) che opponeva, con spirito manicheo, a un Medioevo tutto tenebre e superstizione la gran luce del Rinascimento. [...] Il rivolgimento di queste salde e più che secolari posizioni è stato avviato recentemente, com'è noto, non tanto da discussioni o da approfondimenti in sede puramente critica, quanto da vaste e massicce indagini filologiche. Il centinaio e più di codici del e le quasi due migliaia di manoscritti di opere del Boccaccio che ho avuto la ventura, in trent'anni di ricerche, di esaminare e di studiare, hanno rivelato infatti, attraverso le scritture, le soscrizioni, le chiose, le note di possesso, le testimonianze dirette e indirette, una storia ancora insospettata. È una storia di interessi e di passioni, di gusti e di fanatismi, nutriti a volta a volta di cultura e di moda: cioè la storia della civiltà borghese che nello splendido autunno del Medioevo maturava quello che impropriamente chiamiamo ancora Umanesimo. Accanto ai soliti centri di trascrizione e diffusione della cultura fiorentina del '300 (scrittoi e conventi [...]) si pongono, con forza di propulsione insospettata, gli organi della nuova società finanziaria; cioè le compagnie mercantili più celebri, che attraverso i loro agenti fanno circolare le opere del Boccaccio con la stessa passione con la quale si palleggiano i bei fiorini d'oro da una capitale all'altra del commercio e della politica europea. A fianco a pochi copisti di professione lavora un'ampia legione di amanuensi irregolari e appassionati, che si strappano l'un l'altro gli originali, che li copiano – come scrivono alcuni – «per proprio piacere» nelle pause degli impegni civili e mercanteschi, a Firenze a Napoli a Bologna a Parigi a Bruges a Londra, che, lontani dalla dolce terra di Toscana per impegni di lavoro o per inesorabili condanne politiche, li trascrivono – come annotano altri – «per consolazione propia» e «per passar malinconia». Prima che il più aristocratico dei circoli culturali europei, quello del Petrarca, si rivolga con singolare interesse e con abbandonata commozione a pagine del Boccaccio, e che i primi umanisti si chinino su quei testi per tradurli chiosarli riassumerli ed esporli elegantemente, i rappresentanti di un gusto più spregiudicato e borghese [...] decretano clamorosamente il successo del , e i giullari e i cantastorie più amati dal popolo e persino i predicatori di maggior successo [...] diffondono le vivaci e splendide narrazioni nelle più diverse forme orali e scritte. Decameron Decameron Decameron >> pag. 596 A fianco ai rari ricchi esemplari su pergamena (uno solo, nel '300, per il oltre quello autografo), opera di calligrafi e miniatori di professione per biblioteche di conventi o di corti, pullula così la folla di codici cartacei, trascritti spesso alla buona, in tempi successivi e da mani diverse, non alieni da accorciamenti, da florilegi, da rifacimenti, da contaminazioni o avvicinamenti con altri testi: manoscritti che entusiasti lettori tagliano e compongono sui loro gusti più personali e privati. [...] A considerare criticamente in questa luce e in questa visione storica il , a scoprirlo e a leggerlo – come ho fatto nel mio – quale «chanson de geste» dei paladini di mercatura, sono stato proprio indotto (lo devo confessare candidamente) dallo studio della eccezionale tradizione manoscritta del capolavoro boccacciano, nel quadro di quella già straordinaria e insospettata delle sue opere. Manca assolutamente per il capolavoro del Boccaccio qualunque centro autorevole e accreditato che ne promuova la diffusione e il successo. La rapidissima fortuna extraletteraria del [...] caratterizza la sua tradizione manoscritta non solo agli inizi ma lungo quasi un secolo. [...] E del resto non è senza significato che anche la copia autografa del (che ho avuto la ventura di identificare nel codice berlinese Hamilton 90) dovette ancora dieci anni dopo, nel '70, essere preparata probabilmente dal Boccaccio per lo stesso ambiente dei finanzieri fiorentini operanti nel regno di Napoli. Lo rivelano le annotazioni e i conti annidati sui margini. E probabilmente (come ci narra la XXI epistola del Boccaccio, e come spero di dimostrare anche con altri testi finora non studiati) era proprio questo l'esempio sul quale, con interesse appassionato e con divertita curiosità, si chinavano gli uomini e le donne di Casa Cavalcanti (una famiglia legatissima negli affari e nelle parentele agli Acciaiuoli). Li sorprendiamo gareggiare a strapparsi di mano quel libro meraviglioso, ornato dalle pungenti figure uscite dalla penna dell'autore stesso. [...] Sono proprio questi mercanti e finanzieri delle più note compagnie fiorentine [...] a imporsi prepotentemente, anche quali protagonisti, nella prima vittoriosa circolazione del capolavoro del Boccaccio. Invano, in calce ai codici a noi pervenuti, si cerca invece qualcuno dei nomi degli amanuensi più noti in quel periodo. Non compaiono neppure quelli più operosi nella Firenze letteraria tra il secolo XIV e il XV. E invano si cerca il nome di proprietari illustri nel campo delle lettere o della cultura o della società aristocratica. I possessori che hanno lasciato una qualche traccia in tali manoscritti appartengono invece quasi sempre agli ambienti borghesi e finanziari. [...] Ripetutamente possiamo sorprendere infatti sui margini di quei codici non solo tracce di conti, di fitti, di prestiti, ma anche qualche volta la documentazione che quei manoscritti stessi furono oggetto di transazioni commerciali, di pegni, di contese ereditario-finanziarie. [...] Di fronte al i lettori non erano raccolti in un atteggiamento di ammirazione e di rispetto come di fronte ai capolavori di evidente e consacrata dignità letteraria. Lo sfogliavano e lo maneggiavano con la confidenza lieta e familiare che permetteva rimaneggiamenti e soppressioni e inserzioni di novelle estranee e accostamenti ad altri testi; con l'atteggiamento cioè del lettore che tagliava sui suoi gusti, sulle sue necessità, sulle sue preferenze il libro più suo, il libro di lettura amena, di compagnia più privata e confidenziale [...]. La personalità di questi trascrittori d'eccezione, che Emilio Cecchi ha chiamato «i fanatici del il loro lavorare «en amateurs» lascia così un ampio margine a scelte personali, a interventi di gusto più o meno notevoli, fino all'estremo di ritocchi o di rifacimenti che sono il massimo omaggio di una casta al libro più suo. Decameron, Decameron Boccaccio medievale Decameron Decameron Decameron Decameron», >> pag. 597 Come ho già [...] dimostrato in vari miei studi, alcune delle novelle di materia più tipicamente mercantile presentano, nei diversi e più autorevoli codici di uno stesso ramo della tradizione manoscritta, notevolissime varianti toponomastiche e onomastiche e rilevanti ritocchi degli elementi necessari o coloristici che ne dipendono. Già il Barbi si era trovato di fronte a un preoccupante variare dei nomi di persona e di luogo entro manoscritti chiaramente appartenenti allo stesso gruppo: e continuamente particolari aggiunti o tolti, sviluppi rapidi di situazioni, volute caricaturali o illustrative, intervengono a turbare e a sconvolgere le linee di un rigido stemma di codici, anche al di là di ogni ipotesi di contaminazione, anche al di fuori di ogni possibile intervento d'autore. Solo quando si siano scoperti quegli «scrittoi» d'eccezione che furono per il le varie compagnie mercantili e si siano identificate le loro abitudini; solo quando si sia riconosciuta negli svolazzi coloristici che appaiono improvvisamente, a un certo punto della tradizione, l'opera di persone di cultura, di gusti, di interessi tutti particolari, che espressero così la loro cordiale e familiare adesione al testo: solo allora si può sperare di ricostruire con una certa sicurezza le fasi successive della elaborazione dell'opera e le linee di trasmissione del testo. Vittore Branca, Jean Starobinski, Rizzoli, Milano 1977 1 Decameron La filologia e la critica letteraria, il filologo Michele Barbi (1867-1941), autore di importanti studi sul . 1 il Barbi: Decameron Il come "enciclopedia" della narrazione medievale Decameron di Amedeo Quondam Lo storico della letteratura Amedeo Quondam (n. 1943) sottolinea, nell’introdurre un’edizione del Decameron uscita nel 2013, la compresenza in quest’opera di molteplici tradizioni narrative. Boccaccio si fa collettore di storie della più disparata provenienza, soprattutto di tradizione orale, rielaborandole in un organismo nuovo e assolutamente originale, che testimonia la fitta rete di scambi culturali attiva, insieme ai viaggi e agli spostamenti delle persone, nel mondo medievale. Boccaccio vive di storie, quelle che ha scritto e quelle che non ha scritto, comprese ovviamente le cento del . Si sente felicemente parte, e attiva, del suo tempo, e intende esserlo fino in fondo. Proprio di quel Medioevo popolato di storie d'ogni genere che frequenta e ama da quando è nato e che il lungo soggiorno a Napoli angioina (dal 1327 al 1341, dai quattordici ai ventotto anni, si badi bene: tutta la fase della maturazione), peraltro mai definitivamente interrotto nei legami che contano, gli ha fatto meglio conoscere e apprezzare: nella dimensione di una grandissima capitale europea, che era la sola città, nella prima metà del Trecento, a poter offrire tanto a un giovane così bulimicamente curioso di storie. E se noi, per tornare ad avere un'idea non sommaria e banale dell'economia generale delle narrazioni in questa fase della storia delle culture europee, abbiamo dovuto impegnarci in tante ricerche nei campi delle tradizioni romanze e germaniche e degli intrecci interculturali con quelle orientali, per Boccaccio era ovviamente tutto più facile, e persino più chiaro. Decameron >> pag. 598 Navigava senza problemi, gioiosamente anzi e con leggerezza in oceani di storie che perdono ben presto la propria denominazione di origine, ammesso che l'abbiano mai avuta, e trovano anche il loro solidale traduttore istantaneo destinato a restare ignoto nelle fitte trame delle reti interculturali medievali. Storie senza alcun tipo di controllo proprietario: perché davvero di tutti, patrimonio immateriale dell'umanità, si potrebbe dire. Ma non dei soli lettori che le incontrano quando queste storie si fanno libro: perché [...] sono storie da raccontare e ascoltare, in primo luogo, con ordine e compostezza, in buona forma di testo orale, nei "cerchi" che le brigate d'ogni luogo e tempo formano per passare il tempo, quando il tempo disponibile sopravanza. Sono storie che infatti appartengono non solo alla storia delle letterature europee medievali e moderne, ma anche e soprattutto a quella dei tanto più radicati e pervasivi circuiti dell'oralità in quanto forma primaria di relazione e scambio culturale, con i suoi propri modelli e le sue infinite pratiche, che certo non lasciano tracce del loro esistere e comunicare, e dunque non sono soggetto né di storia né di filologia. Comunque siano, sono storie di quel Medioevo che è tutto un raccontare e raccontarsi infinito, con la voce e con i corpi, in ogni situazione relazionale, e soprattutto in brigate variamente oneste che si formano e si disfano ovunque in modi diversi e per ragioni diverse, nella lentezza ordinaria del tempo e della natura, che è misura anche antropologica per la ritualizzazione e socializzazione di tanta parte dei suoi ritmi e delle sue pause, quando diventa il tempo dell'uomo e della donna in azione. Anche per narrare e narrarsi. Boccaccio inventa l'«onesta brigata» proprio perché conosce molto bene tutto questo, e forse meglio di chiunque altro, e propone se stesso nella parte ancillare (di servizio, diremmo oggi) di chi racconta le storie raccontate. Quasi per essere in questo modo più sciolto, Boccaccio inventa la propria controfigura plurale, di più voci soliste, che possa lanciarsi in piena libertà negli sterminati oceani delle storie del suo tempo, sacre e profane che fossero, provenienti da ogni dove e in ogni lingua, da un Occidente e da un Oriente tanto vicini e tanto intrecciati; nella loro stessa serialità infinita di storie che si attraggono reciprocamente, s'incrociano, si riproducono per via endogamica, senza sosta. Il attesta che lo sguardo sul mondo e sulle «cose del mondo» di questo Medioevo fittamente, variamente confabulante non è mai diretto, ma sembra avere bisogno degli occhiali delle storie, di tante piccole storie diverse, più che della Storia, sempre che ci sia e conti qualcosa, questa Storia, nella banale ordinarietà del transito nel mondo di donne e uomini, tra Terra e Cielo (o Inferno), indipendentemente dall'infinita serie di differenze che li rende tutti diversi, per e situazioni, e tanto vale allora farsi compagnia tra chi c'è, qui e ora, per passare il tempo e la noia di vivere, in attesa magari dell'aldilà. Il ci porta a riconoscere l'estensione e la complessità di questo universo infinito di storie che arrivano d'ogni dove, perché lo spazio del Medioevo non era diviso e divisivo con le nostre categorie geopolitiche: a partire proprio dal Mediterraneo, per esempio, davvero centrale nella geografia del , con la rete dei rapporti tra le tante "nazioni" e le tante culture che vi si affacciano, un mare che da secoli, a metà Trecento, non è più per nessuno ma è per tutti, e si è trasformato in un frenetico crocevia di scambi di merci d'ogni tipo, culture comprese, e ciascuna con le sue storie. Occorre in particolare ricordare quanto fossero allora fecondi i rapporti tra Oriente (compresa Bisanzio ancora bizantina) e Occidente: sempre più interconnessi e contaminati, malgrado le crociate, malgrado i pirati, malgrado le tempeste di mare; non a caso protagonisti, crociate, pirati, tempeste di mare, di un repertorio vastissimo di storie, anche nel res nullius 1 2 Decameron 3 status Decameron 4 Decameron nostrum nostrum Decameron. cosa di nessuno (in latino). all’interno dello stesso gruppo sociale. dedito al racconto, alla narrazione. che determina divisioni. 1 : res nullius 2 per via endogamica: 3 confabulante: 4 divisivo: >> pag. 599 A partire da quel formidabile emblema di X 9: con il Saladino che nulla ha di feroce ed è anzi campione supremo di liberalità verso il «gentile uomo» Torello, a sua volta e per primo magnificamente liberale, in una spontanea gara di conformità culturale che non ha nulla a che vedere, e neppure ne è minimamente turbata, con il fatto che proprio in quel momento è in corso la crociata, e che i due sono quindi nemici, e mica nominalmente, se Torello si ritrova prigioniero del Saladino. Le storie sono mobili come lo sono le cose e le persone: nel Medioevo la mobilità, ogni tipo di mobilità, è fortissima, anche se con i suoi tempi tutti naturali, che solo le storie possono, fantasticando, accelerare per magia (come, ancora, nel caso di Torello). Non viaggiano però solo le persone e le cose, in particolare i militari e i professionisti del diritto e della medicina, i mercanti e i religiosi, i pellegrini e gli esuli; viaggiano anche i poveri e i vagabondi, i buffoni e i poeti, i pittori e i musici; e a muoversi sembrano essere più gli uomini che le donne. Ma viaggiano anche i beni immateriali, le "non merci" senza dogana: le consuetudini e le lingue, le tradizioni e le religioni, i riti e i miti. E anche le nostre storie d'ogni tipo, comprese quelle che narrano viaggi che nessuno ha mai fatto o viaggi impossibili o viaggi improbabili, e non sono poche in questo Medioevo fantastico, neppure nel . Amedeo Quondam, Introduzione a Giovanni Boccaccio, , Rizzoli, Milano 2013 5 Decameron Decameron il nome con cui era noto in Europa Abu l-Muzaffar Yūsuf ibn Ayyūb Salāh al-dīn, il sultano d’Egitto (1138-1193) fondatore della dinastia degli Ayyubidi. Nel 1187-1188 sottrasse al controllo cristiano Gerusalemme e Antiochia, difendendole contro la Terza crociata (1189-1192). Inizialmente ritratto come guerriero feroce e sanguinario, in seguito venne visto, anche in Occidente, come principe saggio e cortese. 5 Saladino: