Il Trecento – L'autore: Francesco Petrarca L’autoritratto idealizzato Petrarca ha voluto rappresentare sé stesso, agli occhi dei lettori a lui contemporanei e del pubblico futuro, in funzione del proprio lavoro di scrittore, come a sottolinearne l’importanza e l’eccezionalità. Sulla scorta di quanto aveva fatto un autore latino a lui molto caro, , egli procede, per così dire, nella costruzione di un monumento a sé stesso, e lo fa principalmente attraverso i propri scritti, in particolare le . A tal fine le rivede, nel corso degli anni, per renderle adatte alla pubblicazione, eliminando da esse molti elementi che considera troppo personali e contingenti. L’obiettivo è infatti quello di tramandare un’immagine di sé quanto più possibile degna di essere avvicinata alle biografie dei grandi uomini dell’antica Roma. Al punto che diverse lettere sono frutto di una corrispondenza fittizia: in altre parole, Petrarca le scrive non per inviarle a un destinatario (anche quando vi sia indicato), ma per completare il ritratto che si sforza di creare. Cicerone lettere Un monumento a sé stesso L’idealizzazione di sé stesso che Petrarca propone non esclude tuttavia che l’autore prenda in considerazione nei suoi scritti non solo le “luci” ma anche le ombre della propria personalità. Se da una parte, infatti, egli ribadisce più volte la superiorità della scelta di vita dell’uomo di lettere, rispetto alle normali occupazioni di chi si trovi impegnato in un’esistenza comune, e sostiene che una vita dedicata ai libri e alla cultura è una vita in qualche modo ascetica, a somiglianza di quella scelta in conseguenza di una vocazione religiosa, dall’altra parte non manca di indicare i propri : per esempio la schiavitù nei confronti di certe passioni, che gli impediscono di corrispondere fino in fondo a tale ideale. Anche questa scelta, peraltro, può essere letta come funzionale alla più ampia operazione di costruzione idealizzata della propria immagine condotta dall’autore. I difetti che Petrarca ci addita rendono infatti il suo ritratto più umano e gli consentono al contempo di rappresentare il suo aspro confronto e le difficili, talvolta parziali, vittorie contro di essi. limiti personali Luci e ombre T4 Alla posterità , XVIII, 1 Seniles La lettera è la testimonianza della volontà di Petrarca di accreditare presso i lettori un’immagine di sé coerente e in parte idealizzata. Il testo – scritto tra il 1350 e il 1355, ma rielaborato vent’anni dopo, senza che l’autore gli abbia mai dato una veste definitiva – era destinato a chiudere la raccolta delle , ma è rimasto incompiuto. Ne riportiamo la parte iniziale. Alla posterità Seniles Il di sé ritratto Forse ti accadrà di udire qualcosa di me, per quanto sia dubbio che il mio nome piccolo e oscuro possa giungere lontano nello spazio e nel tempo. E forse desidererai conoscere che uomo fossi o quali fossero gli eventi delle mie opere, soprattutto di quelle la cui fama sia giunta sino a te o di cui tu abbia sentito vagamente parlare. Riguardo al primo punto le opinioni degli uomini saranno sicuramente diverse, ché ciascuno parla non sotto la spinta della verità, ma del capriccio, e non c’è 5 >> pag. 327 misura né per la lode né per il biasimo. Io fui dunque uno del vostro gregge, omiciattolo mortale, d’origine non troppo grande né troppo bassa, d’antica famiglia come di sé dice Cesare Augusto, e, quanto al temperamento, d’animo non impudico né cattivo se non mi avesse nociuto una contagiosa consuetudine. L’adolescenza mi illuse, la giovinezza mi traviò, ma la vecchiaia mi corresse e, con l’esperienza, mi rese convinto di quanto avevo letto tanto tempo prima: perché vani sono i piaceri della giovinezza; ed anzi me lo insegnò Colui che creò tutte le età e tutti i tempi, e che talora permette che, tronfi di nulla, i miseri mortali vadano fuori strada perché possano, anche se tardi, conoscere se stessi e i propri peccati. Da giovane ebbi un fisico non troppo forte, ma di grande destrezza. Non mi vanto d’avere avuto una straordinaria bellezza, ma tale che nei miei anni più fiorenti poteva piacere: fui di color vivo tra il bianco ed il bruno; ebbi sguardo vivace e per moltissimi anni acutissimo, ma che inaspettatamente mi tradì dopo i sessanta, costringendomi, con riluttanza, a ricorrere all’aiuto delle lenti. La vecchiaia piombò di colpo in un corpo che era stato sempre sanissimo, e lo assalì con la consueta schiera delle malattie. Ebbi sempre grande disprezzo per le ricchezze, e non perché non le desiderassi, ma perché avevo in odio le preoccupazioni e gli affanni che ne sono inseparabili compagni. Non ebbi le possibilità, né la preoccupazione, di imbandire grandi tavole; contento di un tenue vitto e di cibi ordinari ho comunque trascorso la vita più lietamente che tutti i successori di Apicio con le loro squisitissime vivande; del resto quelli che si chiamano banchetti (e sono gozzoviglie, nemiche del vivere misurato e costumato) mi sono sempre dispiaciuti: e mi è parsa una fatica inutile invitarvi gli altri o, dagli altri, esservi invitato. Mi è piaciuto invece pranzare con gli amici, e mi è piaciuto a tal punto da non provare nulla di più gradito dell’averli a tavola e mai, di mia volontà, ho mangiato senza compagnia. Nulla mi è mai tanto dispiaciuto quanto il fasto, e non solo perché si tratta di un vizio contrario all’umiltà, ma anche perché oneroso e nemico della quiete. Nell’adolescenza fui tormentato da un amore ardentissimo, ma fu l’unico e fu casto, e più a lungo ne sarei stato tormentato se una morte acerba ma provvidenziale non avesse estinto quel fuoco già declinante. Potrei dire, e lo vorrei, d’essere stato senza libidine, ma se lo dicessi, mentirei. Questo posso dire senza esitazioni: d’avere sempre esecrato dentro di me questa bassezza, pur essendovi spinto dal fuoco dell’età e del temperamento. Ma quando fui sui quarant’anni, pur essendo ancora nel pieno delle forze, allontanai da me non solo quell’atto osceno, ma il suo totale ricordo, a tal punto che posso dire di non aver più guardato una donna. Cosa questa che pongo tra le mie maggiori felicità e non posso che ringraziare Iddio che mi liberò, ancora integro e vigoroso, da una servitù tanto bassa e da me sempre odiata. Ma passo ad altro. La superbia la conobbi in altri, non in me, e per quanto piccolo, mi sono giudicato ancor più piccolo. L’ira danneggiò assai spesso me stesso, mai gli altri. 1 2 3 10 4 5 15 20 25 6 7 30 8 35 9 10 11 40 45 un uomo come voi. dallo storico latino Svetonio (ca 70-140 d.C.), (Augusto, 2-3). lascivo, sensuale. Dio (perifrasi). orgogliosi senza motivo. alimentazione frugale. golosi. Marco Gavio Apicio (I sec. a.C.-I d.C.) fu un famoso buongustaio, autore di un ricettario dal titolo (Sulla cucina). impegnativo, esigente, anche dal punto di vista economico. prematura. Petrarca qui giudica addirittura provvidenziale la morte di Laura perché essa l’ha liberato dai risvolti meno nobili del suo amore per lei. disprezzato. 1 uno… gregge: 2 come di sé dice Cesare Augusto: Vite dei Cesari 3 impudico: 4 Colui… tempi: 5 tronfi di nulla: 6 tenue vitto: 7 i successori di Apicio: De re coquinaria 8 oneroso: 9 acerba: 10 provvidenziale: 11 esecrato: >> pag. 328 Non ho esitazioni a farmi vanto (so di dire la verità) di un animo sdegnosissimo, ma prontissimo a dimenticare le offese e a ricordare invece i benefici. Fui desiderosissimo di oneste amicizie e le coltivai con grandissima lealtà. Ma questo è il supplizio di chi invecchia: di dover piangere continuamente la scomparsa dei propri cari. Ebbi la fortuna, sino all’invidia, di godere della dimestichezza dei prìncipi e dei re e dell’amicizia delle persone altolocate. Cercai comunque di tenermi lontano da molti di costoro, che pure amavo assai; tanto fu in me radicato l’amore per la libertà da evitare con ogni cura chi mi pareva fosse contrario anche al suo nome soltanto. I più grandi sovrani del mio tempo mi amarono e mi onorarono; il perché non lo so: riguarda loro. Con alcuni d’essi fui poi in tali rapporti che, in certo modo, furono loro a stare con me; e dalla loro altezza non ebbi fastidio alcuno, ma ne trassi molti vantaggi. Fui d’intelligenza piuttosto equilibrata che acuta, adatta ad ogni studio buono e salutare, ma particolarmente disposta alla filosofia morale e alla poesia. Quest’ultima, con il procedere del tempo, l’ho abbandonata, preferendo le lettere sacre, nelle quali ho avvertito una nascosta dolcezza che per qualche tempo avevo disprezzato, preso com’ero dalla poesia intesa come puro ornamento. Tra le mie molte attività, mi sono singolarmente dedicato alla conoscenza del mondo antico, perché questo nostro tempo mi è sempre dispiaciuto; e se l’amore per i miei cari non mi spingesse in altro senso, direi che ho sempre desiderato d’essere nato in qualsiasi altro tempo, e mi sono comunque sforzato di dimenticare questa età, sempre inserendomi spiritualmente in altre. Per questo mi sono sempre piaciuti gli storici; pur deluso, talora, dalla loro discordanza, nel dubbio ho seguito o la verosimiglianza degli eventi o il prestigio dell’autore. Il mio dire, come a taluno è parso, fu chiaro e potente; a mio parere, fragile e oscuro. Del resto nella mia conversazione quotidiana con amici e familiari non mi sono mai preoccupato di apparire eloquente e mi meraviglio, anzi, che tale preoccupazione avesse un uomo come Cesare Augusto. Quando la questione o la circostanza o la persona che m’ascoltava parevano esigere altro, mi sono provato ad alzare un poco il tono; con quale risultato non so: ne giudichino coloro di fronte ai quali parlai. Per quanto mi riguarda, pur ché abbia vissuto bene, poco mi curo di come abbia parlato: gloria inane è cercare la fama dal solo splendore delle parole. 50 55 60 65 70 75 12 13 80 14 abile ed elegante nel parlare. Svetonio, (Augusto, 87). vana. 12 eloquente: 13 tale preoccupazione… Augusto: Vite dei Cesari 14 inane: Raffaello, (particolare con Corinna e Francesco Petrarca), 1510-1511. Città del Vaticano, Musei Vaticani. Parnaso >> pag. 329 Dentro il testo I contenuti tematici L’autore propone con questo testo . Inizia offrendo notizie sulla famiglia d’origine, poi si sofferma sul proprio carattere, sulle proprie debolezze e virtù, senza rinunciare a una breve descrizione fisica. Ripercorre poi le tappe della propria esistenza evidenziandone le luci ma anche le ombre. quasi una biografia ufficiale di sé stesso Il chiaroscuro di una vita Quando afferma che lo (rr. 10-11) si riferisce probabilmente ai sogni di gloria, peraltro almeno parzialmente realizzati: si pensi alla grande fama che ottenne già in vita. Giunge successivamente a riconoscere […] (rr. 53-54). In altre parole, è consapevole del pieno successo della propria carriera di intellettuale, apprezzato e onorato negli ambienti socialmente più elevati. Inoltre l’autore distingue nettamente tra un amore e (rr. 35-36), evidentemente quello per Laura, e la (r. 38), cioè una ricerca del piacere fine a sé stessa. l’adolescenza illuse la fortuna di godere della dimestichezza dei prìncipi e dei re e dell’amicizia delle persone altolocate ardentissimo casto libidine Il successo mondano e i due tipi di amore Le scelte stilistiche Il testo evidenzia l’appartenenza dell’epistola di Petrarca a un vero e proprio genere letterario, impostata sul modello dell’epistolografia classica, ma rivitalizzata dalla bravura dell’autore. Il , quasi si trattasse di una confidenza della quale chi scrive vuole mettere a parte il lettore. Lo si vede già a partire dall’inizio: […]. (rr. 1-3). tono è di tipo colloquiale Forse ti accadrà di udire qualcosa di me E forse desidererai conoscere che uomo fossi o quali fossero gli eventi delle mie opere Il genere epistolare Verso le competenze COMPRENDERE Che cosa significa che l’animo del poeta fu (rr. 9-10)? 1 non impudico né cattivo se non mi avesse nociuto una contagiosa consuetudine Qual è il momento culminante della carriera letteraria di Petrarca e, in un certo senso, dell’intero resoconto autobiografico? Perché? 2 Che cosa significa la frase: (r. 81)? 3 gloria inane è cercare la fama dal solo splendore delle parole ANALIZZARE A correzione della prima frase ( ), l’autore scrive subito dopo: . Quale atteggiamento retorico configura questa specificazione? 4 Forse ti accadrà di udire qualcosa di me per quanto sia dubbio che il mio nome piccolo e oscuro possa giungere lontano nello spazio e nel tempo Nell’espressione […] (rr. 73-74), quale figura retorica è utilizzata, e a quale scopo? 5 fu chiaro e potente fragile e oscuro INTERPRETARE Quando Petrarca scrive: (r. 11), a quale aspetto della propria vita allude con molta probabilità? 6 la giovinezza mi traviò La descrizione che Petrarca fa di sé stesso è obiettiva o rivela un intento di autodifesa? Rispondi, ricorrendo a opportune citazioni dal testo che esemplifichino le intenzioni dell’autore. 7 PRODURRE La tua esperienza Scrivi un testo di circa 20 righe in cui fornisci il ritratto di te stesso, seguendo lo schema narrativo di Petrarca; puoi corredare il testo anche di fotografie e immagini, motivando le tue scelte. 8