Umanesimo e Rinascimento – L'autore: Ludovico Ariosto 2 Le opere Ariosto scrive quasi esclusivamente in volgare; l’uso del latino è episodico e riservato soltanto ad alcune poesie. Senz’altro il genere più importante da lui praticato è l’epica cavalleresca, che gli assicura un posto di primo piano nella storia della letteratura italiana. Va però anche ricordata la produzione satirica, utile per inquadrare meglio la personalità dell’autore, mentre meno significative sono le commedie scritte per il teatro della corte estense. Orlando furioso Intorno al 1505 Ariosto si accinge alla composizione dell’ . La prima edizione è del 1516 e la seconda del 1521, ambedue in 40 canti; la terza, in 46 canti, è del 1532. Al è dedicata la seconda parte dell’Unità ( p. 671). Orlando furioso Furioso ► Satire Scritte fra il 1517 e il 1524 (e pubblicate postume nel 1534), sono , dedicati a parenti e ad amici. Sono testi di contenuto autobiografico e di andamento narrativo, caratterizzati da una scioltezza e coerenza di stile – uno – che le rendono le più riuscite tra le opere minori di Ariosto. In esse l’autore svolge una meditazione, pacata e sorridente, sul proprio carattere e sui propri difetti: emerge a tratti la sua nitida coscienza morale, che gli vieta certi comportamenti e ne orienta le scelte di vita. Quello delle Satire è un Ariosto intento a un , che è quasi il rovescio di quella grande “favola” che è il . 7 componimenti in terza rima stile colloquiale, dimesso racconto concreto e personale Furioso La I è un bilancio degli anni di servizio agli ordini del cardinale Ippolito d’Este; la II è la cronaca di un viaggio a Roma, città dipinta a tinte fosche per gli intrighi politici che caratterizzano la curia papale; la III parla del nuovo servizio del poeta, quello presso Alfonso I; la IV racconta del suo incarico in Garfagnana, con tutti i problemi e i disagi che egli si trova a vivere; la V è indirizzata al cugino Annibale Malaguzzi nell’imminenza del suo matrimonio ed è un elogio della vita matrimoniale; nella VI l’autore traccia un crudo quadro della società letteraria contemporanea; la VII è un garbato rifiuto all’offerta di un posto di ambasciatore presso papa Clemente VII. Satira Gli argomenti e latini Rime volgari Carmi Le (raccolte per la prima volta in volume nel 1545) sono quasi tutte liriche d’amore che hanno per modello Petrarca, per quanto si avverta con chiarezza l’influsso dei poeti latini. In particolare, da giovane Ariosto si era formato sui versi di Catullo, Orazio, Ovidio e Virgilio, dai quali deriva, per la propria poesia, un insegnamento di stile, nei termini di una composta essenzialità. D’altronde Ariosto è anche autore di un cospicuo numero di (oltre una settantina), che attestano gli assidui studi giovanili sui classici. in volgare Rime poesie in latino Commedie Ariosto scrive : (1508); (1509); (1520); (1528); (rimasta interrotta e finita dal fratello Gabriele e dal figlio Virginio, che la intitolano ). Sono opere che non presentano particolari pregi letterari: Ariosto si limita a riprendere gli schemi formali delle commedie di autori latini, adattandone gli intrecci a situazioni contemporanee. 5 commedie in endecasillabi sciolti La Cassaria I Suppositi Il Negromante La Lena I Studenti La Scolastica >> pag. 660 Questa produzione per le scene rientra nell’attività cortigiana di Ariosto, che sovrintende alle rappresentazioni anche come regista e scenografo. L’amore per lo spettacolo classico era infatti assai vivo a Ferrara, la cui corte chiese ad Ariosto anche questo tributo, peraltro a lui non sgradito. Nelle commedie, la società rinascimentale è l’oggetto di un’analisi e di un commento sorridenti, pacati, talora moraleggianti. Una produzione cortigiana Lettere Di Ariosto ci sono rimaste anche 214 lettere di un epistolario certamente più ampio. Nate da contingenze e necessità pratiche, esse , risultando utili nella ricostruzione dei suoi servizi pubblici (soprattutto del commissariato garfagnino), e offrono alcune informazioni sulla composizione delle opere. aprono squarci sulla vita privata del poeta Erbolato Si tratta di un opuscolo uscito postumo nel 1545, della cui paternità ariostesca, peraltro, non tutti gli studiosi sono persuasi. È un’opera singolare, una sorta di che disegna . L’erbolato è una torta d’erbe di cui un medico un po’ ciarlatano decanta le portentose virtù terapeutiche. divertissement una gustosa caricatura dei medici del tempo Veduta del Castello Estense di Ferrara. >> pag. 661 La vita Titolo • Nasce a Reggio Emilia 1474 • Studia giurisprudenza e lettere a Ferrara 1495-1500 • Intraprende la carriera militare 1502 • Entra al servizio del cardinale Ippolito d’Este 1503 1508 La Cassaria 1509 I Suppositi • Incontra Alessandra Benucci, la donna che amerà per tutta la vita 1513 1516 Prima edizione dell’ Orlando furioso • Si rifiuta di seguire il cardinale Ippolito in Ungheria e lascia il servizio presso di lui 1517 1517-1524 Satire • È al servizio del duca di Ferrara Alfonso I d’Este 1518 1520 Il Negromante 1521 Seconda edizione dell’ Orlando furioso • È in Garfagnana come commissario per controllare i territori acquisiti dal ducato 1522 • Ritorna definitivamente a Ferrara 1525 1528 La Lena 1532 Terza edizione dell’ Orlando furioso • Muore a Ferrara 1533 1534 (pubblicazione postuma) Satire 1545 ed (pubblicazione postuma) Rime Erbolato 3 I grandi temi Le ansie della corte e l’ideale della vita semplice Pochi mesi dopo essersi liberato dal servizio presso il cardinale Ippolito, Ariosto si trova costretto ad accettare un nuovo incarico presso il duca Alfonso, ottenuto grazie all’interessamento di un cugino, Annibale Malaguzzi. Giacché deve guadagnare da vivere per sé e per la sua numerosa famiglia, sembra proprio che non ci sia per lui alternativa alla vita di corte. Diciamo innanzitutto che quella di Ferrara è una corte splendida, ma anche piccola, e che, come in tutti gli ambienti ristretti, non mancano , cui Ariosto è estraneo per carattere. Il poeta conosce bene vizi e difetti di chi gli garantisce il sostentamento. Nonostante egli indirizzi loro dediche piene di lodi retoriche, è ben consapevole di non avere a che fare con eroi, ma con semplici uomini: saggi e intriganti, pavidi e feroci, dominati dalla legge inesorabile della ragion di Stato. intrighi, invidie e gelosie Una corte piccola e splendida L’ideale di vita di Ariosto è di tutt’altro tenore. Egli un’esistenza tranquilla e serena, nella quale poter realizzare integralmente la sua dimensione umana; , non in senso assoluto, ma in senso pratico: la libertà a cui aspira è quella di avere tempo sufficiente per potersi dedicare alla lettura, alla scrittura e agli affetti familiari. vagheggia un’esistenza libera L’aspirazione alla libertà >> pag. 662 Tuttavia il desiderio di indipendenza di Ariosto non è ricollegabile soltanto a un carattere schivo e poco amante della vita mondana, ma va letto anche sullo sfondo del mutato contesto storico e culturale. Ariosto simboleggia appieno la , che si adatta con sempre maggiore difficoltà a farsi cantore del signore da cui è stipendiato. Per lui la letteratura è, al contrario, , spazio di autonomia rispetto alle richieste del potere. Scrivere rappresenta, in altre parole, il momento in cui l’uomo di corte rivendica e ricerca la possibilità di “rientrare in sé stesso” e di costruire qualcosa per sé, al di là degli obblighi professionali e sociali. Probabilmente è anche per questo che Ariosto coltiva la scrittura con una certa discrezione: egli forse è il primo letterato della nostra tradizione che non tende a offrire attraverso le sue opere un’immagine idealizzata della propria persona e del proprio lavoro artistico. crisi dell’intellettuale cortigiano esercizio libero e dignitoso La letteratura come ricerca di autonomia cronache dal passato La congiura di don Giulio Una feroce storia di vendetta familiare Nel 1505 il duca di Ferrara Ercole I d’Este muore, e gli succede il duca Alfonso, suo primogenito. Alfonso era stato un giovane turbolento, insensibile all’arte, amante dei divertimenti più sfrenati; ora però, nel regnare, mostra abilità e fermezza. Gli è solidale il fratello Ippolito, che lo appoggerà per tutta la vita, nonostante la grande diversità di carattere: Ippolito – creato cardinale all’età di quattordici anni – è colto, raffinato, calcolatore, ma anche irascibile. L’accordo tra Alfonso e Ippolito esclude un fratello, Ferrante, il secondogenito, che si sente messo da parte e non si rassegna a tale disegno. La sua ambizione è quella di sostituirsi ad Alfonso alla guida del ducato. Con i tre fratelli vive anche don Giulio, figlio illegittimo di Ercole, ma cresciuto ed educato con loro. Giulio è un giovane di bell’aspetto, frivolo e dissoluto. Non si interessa di politica, essendo invece dedito alle avventure galanti. Tuttavia proprio da lui ha origine un dramma che rischia di travolgere il ducato estense. Giulio, famoso per il fascino del suo sguardo, fa innamorare una gentildonna, a sua volta amata da Ippolito. Quest’ultimo, furente di gelosia, tende un agguato al fratellastro, facendolo colpire proprio agli occhi. Giulio rimane cieco da un occhio, mentre l’altro resta fortemente compromesso. Ippolito meriterebbe una severa punizione, ma le cautele diplomatiche (la necessità di evitare uno scandalo che potrebbe oltrepassare i confini del ducato) fanno sì che il duca Alfonso minimizzi l’accaduto. Naturalmente, Giulio è di diverso avviso, e il suo risentimento verso Ippolito e verso Alfonso cresce. Per questo motivo Giulio si avvicina a Ferrante. I due concepiscono un piano: uccideranno Alfonso e Ippolito; in tal modo Giulio soddisferà la propria sete di vendetta, Ferrante quella di potere. La congiura viene organizzata. Ma l’abile cardinale Ippolito si accorge di qualcosa. Freddo, lucido, attento, si mette in guardia, fa sorvegliare Giulio e Ferrante, li osserva, li controlla, e infine la macchinazione è svelata. I due giovani, non ancora trentenni, sono condannati a morte ma la pena viene poi commutata nel carcere a vita. È il settembre del 1506. Ferrante morirà in prigione a sessantatré anni, Giulio ne uscirà invece dopo avere superato gli ottanta (avendo dunque passato in cella oltre mezzo secolo), quando ormai i protagonisti dell’epoca della sua giovinezza sono quasi tutti scomparsi, Ariosto compreso. Battista Dossi, (particolare), 1534 ca. Modena, Galleria Estense. Ritratto di Alfonso I d’Este