Lo stesso linguaggio usato dagli artisti dell’Altare di Pergamo si ritrova in un’altra celebre opera proveniente da questa città, il cosiddetto Grande
Donario (11) commissionato intorno al 230 a.C. da Attalo I dopo aver sconfitto i Galati.
Il Grande Donario era posto su una base circolare che si trovava sulla stessa terrazza dell’acropoli su cui sorgeva il santuario di Atena. Il
gruppo scultoreo in bronzo, dall’evidente intento celebrativo, era al contempo un’opera dal forte
impatto emotivo, in grado di destare commozione nell’osservatore: le statue dei Galati sconfitti erano collocate secondo una
disposizione piramidale che culminava nel Galata suicida. Nella composizione non compaiono i vincitori, ma solo gli sconfitti, rappresentati
con grande rispetto per il loro dolore.
Galata suicida
Al centro del donario era posta, secondo la ricostruzione più attendibile, la scultura detta del Galata suicida, nota grazie a una copia romana
marmorea (12). Il corpo del guerriero, in piedi, è teso verso l’alto per sollevare la spada e conficcarla nel
proprio corpo, in un gesto ricco di pathos e teatralità. La torsione del busto, con la muscolatura
sotto sforzo, rimanda allo stesso stile del Grande fregio dell’Altare di Pergamo. In contrasto con la spinta verticale data dalla
posizione eretta dell’uomo è invece il corpo della donna, probabilmente la sposa, che il Galata sorregge con la mano sinistra: il braccio è abbandonato
verso il basso, la testa piegata senza vita; anche le pieghe dell’abito ricadono senza forza. Elementi come le capigliature o l’abito
sfrangiato della donna riproducono realisticamente la provenienza straniera dei due personaggi.