La produzione ceramica
Nell’epoca villanoviana la produzione ceramica è caratterizzata dall’uso dell’impasto (argilla non depurata, modellata a mano e cotta), con il quale vengono prodotti contenitori di uso sia domestico sia funerario. Questi ultimi sono costituiti di norma da urne in terracotta a forma di capanna, come si è visto trattando dell’architettura civile, oppure da vasi biconici (55), cioè coperti da una ciotola rovesciata o da un elmo bronzeo; la decorazione è eseguita a incisione e a impressione con motivi geometrici, come meandri semplici e spezzati, riquadri e metope, motivi angolari e svastiche. Col tempo i vasi cinerari si arricchiscono di appendici plastiche a tutto tondo, come nel cinerario di Montescudaio, risalente all’VIII secolo a.C. (56). Sul coperchio è rappresentata una scena di banchetto, con un commensale seduto a un tavolo riccamente imbandito; accanto vi è una donna (forse una schiava) e a terra un grosso contenitore, forse per il vino; sull’ansa è posta una figurina seduta. Un notevole impulso al perfezionamento dell’arte ceramica è dato dalle prime importazioni dalla Grecia: agli inizi dell’VIII secolo a.C. dall’Eubea e, in seguito, da Corinto. Inoltre, alcune maestranze greche e greco-orientali si trasferiscono a Vulci, a Tarquinia e a Cerveteri, dove aprono botteghe che producono una ceramica di imitazione – detta ceramica etrusco-corinzia – destinata a un pubblico più allargato.A ceramisti di formazione ellenica, operanti a Cerveteri nella prima metà del VII secolo a.C., si deve probabilmente l’invenzione del bucchero, una ceramica nera, sia all’interno sia in superficie, ottenuta grazie a un particolare procedimento di cottura; prodotta esclusivamente in ambito etrusco, è l’unica a essere esportata fuori dall’Etruria. Da Cerveteri la produzione si estende a Tarquinia, Vulci, Orvieto e Chiusi, e forse anche ad altri centri che possono contare su botteghe locali. Utilizzato per realizzare vasellame destinato ai banchetti, si distingue, in base allo spessore, in bucchero sottile – come quello del kýathos o coppa su alto piede con ansa sormontante del VII secolo a.C. (57) – e in bucchero pesante, di epoca successiva.
Con l’importazione di ceramiche da Atene, si diffondono anche in Etruria le tecniche a figure nere e a figure rosse. Tra i maggiori esponenti della tecnica a figure nere, si ricorda il Pittore di Micali, di formazione ionica, trasferitosi a Vulci alla fine del VI secolo a.C. Tra le opere attribuite a questo ceramografo vi è un’anfora (58) decorata con due fasce, una sulla spalla e una sul corpo, con rappresentazioni di animali reali e animali fantastici, questi ultimi particolarmente cari al repertorio etrusco.
La ceramica etrusca è caratterizzata anche da tipiche produzioni locali: i crateri a colonnette volterrani (kelébai), la cosiddetta ceramica argentata e quella a vernice nera. Le kelébai, sebbene ispirate nella forma al cratere a colonnette di tradizione greca, hanno funzione prevalentemente funeraria. Uno tra gli esemplari più noti è la kelébe conservata a Perugia e datata alla seconda metà del IV secolo a.C. È un vaso eponimo (che cioè dà il nome al proprio autore) del Pittore di Esione (59): vi è rappresentato Eracle che libera Esione, figlia del re di Troia, dalla roccia cui era stata incatenata.
La ceramica argentata, invece, prodotta nelle città di Falerii e Orvieto, non presenta elementi dipinti, bensì decorazioni stampate a rilievo, ed è rivestita da una pellicola bianco-grigia che intendeva imitare l’effetto cromatico delle superfici dei vasi in metallo pregiato. Anche la produzione a vernice nera, una ceramica fine dal colore nero uniforme, molto brillante, presenta talvolta riflessi iridescenti che ricordano i materiali metallici. È prodotta, con alcune varianti, in Etruria e in molte aree del Mediterraneo.